Credi di sapere che cos’è il dolore?” Con questa frase si apre La ragazza della porta accanto, un libro straordinario che finalmente vede la luce anche in Italia, a vent’anni dalla sua uscita negli Stati Uniti. Accusato da alcuni di violenza gratuita, idolatrato da eserciti di lettori e addetti ai lavori, questo romanzo doloroso ma necessario, trae spunto da fatti realmente accaduti per raccontare, con una scrittura solida, asciutta, ma di grande forza evocativa, una storia di formazione che è anche una inesorabile discesa agli inferi. “Di una cosa sono sicuro: la Disney non produrrà mai un film tratto da un romanzo di Jack Ketchum” ha detto Stephen King. C’è da crederci, vi assicuro. In compenso dai suoi libri sono già stati tratti quattro film, tra cui La ragazza della porta accanto. Ho incontrato l’autore per una breve chiacchierata in merito al suo lavoro.

 

Ciao Jack, benvenuto su Thrillermagazine. Il tuo stile è estremamente efficace: il linguaggio affilato ed evocativo è in grado di immergere il lettore fino al collo nell’atmosfera del romanzo. Per prima cosa, quindi, ti volevo chiedere: come sei arrivato alla sintesi del tuo stile narrativo?

Una volta hanno chiesto a Elmore Leonard: “Come fai a rendere i tuoi libri così tesi?” Lui ha risposto qualcosa del tipo: “Lascio fuori tutte le parti noiose”. Mi piace una scrittura solida, snella, e cerco di scrivere il tipo di libri che vorrei leggere.

So che Stephen King è un tuo grande ammiratore. Vorrei chiederti quali sono i modelli letterari su cui ti sei formato, ma soprattutto chi ammiri tu, nel panorama letterario e cinematografico contemporaneo?

Oddio! Ne ammiro troppi anche solo per provare a elencarli qui. Riguardo le influenze, sono stato influenzato da chiunque a partire da Henry Miller a Ernest Hemingway, da Stephen King a Ray Bradbury. Senza menzionare le migliaia di libri e film che ho letto e visto.

La maggior parte degli scrittori, penso, prendono in prestito trucchetti altrui costantemente. Siamo influenzati da ogni buono scrittore che leggiamo.

So che ti ispiri alla vita reale per scrivere i tuoi romanzi, e “La ragazza della porta accanto” non fa eccezione, ed è grande l’attenzione alla psicologia e alle dinamiche tra i personaggi. Ispirarsi alla realtà è un modo per tentare di comprenderla, o per esorcizzarla?

Per capirla. Per sentirla. Per farla diventare parte di te… anche l’aspetto peggiore.

Un rifugio antiatomico, il mantra “non ditelo a nessuno”, adulti disattenti e  Ruth che sottolinea le proprie efferatezze con l’assurda pretesa di impartire una lezione (“State attenti, questo è importante”). E ancora: “Era come se ciò che stava succedendo fosse una sorta di temporale o un tramonto, una forza della natura, qualcosa che talvolta accade”. Pensi che con le giuste condizioni ambientali, un essere umano che perde le proprie inibizioni e percorre la strada della sopraffazione, rivela la propria vera natura o si trasforma in qualcos’altro?

Credo un po’ di entrambi. Tutti abbiamo un lato oscuro, è parte della nostra natura. E in situazioni come la guerra, per esempio, quando ci viene dato il permesso, sfortunatamente, a volte, lasciamo in libertà quel lato. Ma è anche parte della nostra natura rispettare gli altri, essere protettivi. Tenere la bestia sotto controllo.

Sei stato coinvolto in qualche modo nella realizzazione degli adattamenti cinematografici dei tuoi romanzi? Sei soddisfatto dei risultati o cambieresti qualcosa?

Sono stato coinvolto in qualche modo con tutti quanti. La sceneggiatura di Offspring l’ho scritta io, naturalmente. Ma ho visto le sceneggiature di tutti gli altri film prima che fossero girati.

Nel caso di The lost, ho potuto leggere tutte le revisioni, e ho potuto commentarle, e perfino modificare qualcosa. Tutti gli sceneggiatori erano molto attenti al mio parere. Immagino cambierei qualcosa in tutti i film in qualche modo. Non puoi mai essere soddisfatto al 100%. Dubito che esista un regista che si ritenga soddisfatto al 100% dei propri film. Ma tutti hanno cercato di essere onesti al materiale originale e hanno dato il massimo, considerando il tempo e il denaro che avevano a disposizione. Quindi, nonostante ne preferisca alcuni piuttosto che altri, sono felice di poter dire che sono piuttosto soddisfatto, in media.