Vedersi affidato lo studio e la catalogazione di una ricca biblioteca a cui nessuno accede da svariati decenni... ammettiamolo, è il sogno di ogni bibliofilo. Una fortuna che a ben pochi è capitata, e spesso chi si è visto affibbiare questo compito non è stato in grado di apprezzarlo.
Così come non lo apprezza Edward Wozny, protagonista del romanzo “Codex” (2004) di Lev Grossman. A lui infatti, durante un’estate che precede l’inizio di una nuova vita lavorativa a Londra, viene affidata la catalogazione ma soprattutto lo studio di una biblioteca di una ricca ed antica famiglia londinese, gli Went, la quale ha trasferito i propri beni negli Stati Uniti durante il periodo bellico per evitarne la distruzione o la dispersione. Fra questi beni c’è anche una fornitissima biblioteca, a cui invero la nobile famiglia tiene ben poco: i libri addirittura sono ancora imballati dagli anni Quaranta.
Al giovane Edward la duchessa di Went ha fatto una personale quanto accorata richiesta: se nel catalogare la biblioteca trovasse un antico codice medievale, deve informarla immediatamente. Il titolo del testo cercato è “A Viage to the Contree of the Cimmerians”, “Un viaggio nella contea dei Cimmeri”, ad opera di Gervase di Langford.
Va brevemente ricordato che “Cimmeri” è il nome che da tremila anni viene attribuito a popolazioni su cui storici e studiosi non sono in perfetto accordo. Per convenzione con questo nome si indica un’antica popolazione nomade che abitò le coste dell’odierno Mar Nero e da cui la penisola di Crimea prenderebbe il nome, ma non mancano fonti con tesi diverse: addirittura da alcuni è avanzata l’ipotesi che si trattasse di un popolo che abitava il Mezzogiorno italiano! D’altronde in un “Dizionario universale della lingua italiana” del 1828 si legge che Cimmeria è una «Città d’Italia, nella Campania, sul lago d’Averno»...
Tornando al nostro protagonista, egli non sa nulla né di codici medievali, né di cimmeri né tanto meno di viaggi nelle loro contee, così decide di informarsi in biblioteca.
Qui conosce Margaret, coprotagonista femminile del romanzo, giovane studiosa erudita che riempie le lacune di Edward ma che gli dà anche una cocente delusione.
«Verso la metà del Settecento - racconta Margaret al loro primo incontro - un uomo di nome Edward Forsyth possedeva una piccola tipografia di basso livello in un vicolo dei bassifondi di Londra. Forsyth stampò una raccolta contenente quelli che lui sosteneva essere i frammenti di un libro di profezie scritto da un monaco medievale chiamato Gervase. Il libro era intitolato “A Viage to the Contree of the Cimmerians”. [...] I frammenti raccontavano, in modo enfatico e di tanto in tanto salace, di un viaggio allegorico culminato in una visione mistica della fine del mondo. Forsyth, un ex carcerato che dava lavoro a scrittorucoli dozzinali, la spacciò per una profezia dell’Apocalisse, e la pubblicò con tanto di illustrazioni adeguatamente stucchevoli. Il risultato fu strabiliante: il libro divenne un bestseller e Forsyth fece soldi a palate. Da quel momento molti bibliofili dilettanti e zelanti studiosi sono riusciti a dare un impulso alle loro carriere ipotizzando che un libro mistico del genere esistesse davvero, con quello stesso titolo, e che il presunto monaco Gervase fosse in effetti Gervase di Langford, uno studioso minore dei primi del Trecento, realmente esistito. A parte i voli di fantasia, però, i veri studiosi sono tutti d’accordo sul fatto che “A Viage to the Contree of the Cimmerians” sia solo una beffa».
Non certo una bella notizia per la contessa di Went, che sembra tenga parecchio a questo codice!
Va bene, il “Viage” è un falso storico, ma di cosa parlerebbe questo testo attribuito al monaco Gervase?
«Il “Viage” pretende di essere ciò che resta di una narrazione medievale perduta, un romanzo composto di cinque frammenti. Comincia come una leggenda del Graal. La ricerca del Santo Graal coinvolse molti cavalieri, a centinaia, non soltanto Lancillotto e Galahad e quei pochi di cui lei avrà sentito parlare, e ciascuno di loro ha avuto le proprie avventure lungo la strada. Alcune positive, altre no. Il “Viage”, all’inizio, si inserisce in quel genere, e racconta la storia di un cavaliere fino ad allora sconosciuto, ma ben presto prende un’altra direzione.» In realtà prende parecchie altre direzioni, raccontando una storia lunga e delirante, che però sul più bello si interrompe... Il motivo dell’interruzione? «La successiva pagina del volume è interamente inchiostrata di nero»...
Le altre parti “Viage” parlano tutte di deliranti avventure che saltano nel tempo e nello spazio, dove lo stesso personaggio riappare dopo essere morto nella storia precedente... come se fosse in un videogioco dove si riprende la partita dopo essere morti...
Non è un accostamento assurdo, il videogioco e il codice medievale, perché nel romanzo di Grossman c’è una storia parallela, quella appunto di un videogioco che cattura l’attenzione del giovane Edward, un videogioco che sembra ambientato in una terra che ha fin troppe similitudini con la contea dei Cimmeri... e con alcune vicende del codice medievale.
Ma chi può aver progettato un videogioco con delle attinenze ad un antico e rarissimo codice medievale? E perché la contessa di Went ha così necessità di trovare il “Viage”, tanto quanta ne ha il conte di impedirglielo?
Devo dare una delusione ai lettori: le risposte a queste domande sono molto meno affascinanti delle domande stesse! Grossman, infatti, è uno scrittore alle prime armi, anche se promettente (in realtà di “mestiere” fa il critico letterario per il “Time” e varie altre prestigiose testate statunitensi). Troppi nodi del romanzo non giungono al pettine, troppe connessioni non trovano adeguata spiegazione, così come la storia in generale non regge sui propri piedi, se non fosse per l’alta quantità di “bibliofilia” presente in ogni pagina! Per non parlare poi del finale, del tutto inconcludente, che sembra più imposto dall’editore per mere questioni tipografiche che per ragioni letterarie.
Comunque il “Viaggio nella contea dei Cimmeri” rimane uno pseudobiblion molto affascinante: proprio perché il suo inventore, Grossman, non è riuscito a spiegarlo, perché non è riuscito a delinearlo né a rispondere alle domande che da solo ha inventato! Se fossimo negli anni Trenta, qualche altro scrittore citerebbe il “Viage” e magari ne spiegherebbe alcune parti (come quella cancellata dall’inchiostro nero), così da iniziare uno stuzzicante gioco letterario... Invece siamo in un’èra buia... altro che medioevo!
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