Solo poche persone (come chi scrive) hanno avuto la rara opportunità di gustarsi in lingua italiana il film “Il grande peccatore” (The Great Sinner, 1949), diretto da Robert Siodmak ed interpretato da due grandi nomi del cinema statunitense: Gregory Peck e Ava Gardner. Molte delle suddette poche persone (come chi scrive) l’ha cercato per anni ed anni senza trovare altro che blande citazioni o rare menzioni: rimane ignoto il perché questo film vada ad arricchire la folta schiera di titoli-fantasma che vengono regolarmente ignorati da qualsiasi distribuzione nostrana.

Data l’estrema rarità del film le informazioni sulla trama e sullo svolgimento sono spesso di seconda mano: ecco così che quei pochi testi o database che citano questo titolo capita che lo definiscano come un film biografico. Liberiamo subito il campo da equivoci: non si tratta assolutamente di un film biografico bensì di una discutibile operazione di “fusione”, o meglio ancora... di “con-fusione”.

“Il grande peccatore” altro non è che la trasposizione cinematografica del romanzo “Il giocatore” (Igrok, 1866), con la non trascurabile sostituzione del protagonista della storia: non più l’Aleksej del romanzo bensì un celebre scrittore di nome Fedja. Visto che questo nome è il diminutivo di Fëdor, si può pensare che il protagonista sia ispirato al celebre scrittore russo Fëdor M. Dostoevskij, ma gli sceneggiatori non si sono voluti sbilanciare: mai, in nessuna parte del film, viene citato il cognome del maestro russo, anche perché le vicende della storia poco hanno a che vedere con lui. Anche il legame con il romanzo “Il giocatore”, va specificato, non è ufficialmente dichiarato (sebbene la storia e i personaggi siano identici!). Ideatori della storia risultano essere due ungheresi: il prolifico soggettista Ladislas Fodor e lo scrittore e sociologo René Fülöp-Miller, mentre autore della sceneggiatura è un poco noto Christopher Isherwood.

"Confessioni di un peccatore"
"Confessioni di un peccatore"
Questi autori cedono ad un gioco letterario che va comunque apprezzato. Nell’ultimo decennio della sua vita Dostoevskij andava elaborando una serie di almeno cinque romanzi di largo respiro che sarebbero stati accomunati da un unico titolo raccoglitore: “La vita di un grande peccatore”. Quest’idea alla fine non vide la luce, ma alcune delle tematiche elaborate dall’autore divennero i due celebri romanzi “I demoni” e “L’adolescente”. Quasi come omaggio al grande russo, il film si apre con lo scrittore protagonista che ha ultimato con fatica il suo romanzo autobiografico: il titolo si legge chiaramente, ed è “Memorie di un peccatore”, e la storia che verrà narrata è estrapolata proprio da queste memorie.

Le vicende iniziano intorno al 1860 nella tedesca Wiesbaden (anziché l’inventata Roulettenburg del romanzo). Fedja è diretto a Parigi ma decide di fermarsi in questa cittadina termale perché lusingato dalle attenzioni di una bella sconosciuta. Saprà in seguito che la donna, Pauline, è un’incallita giocatrice come suo padre, il generale Ostrovskij: entrambi stanno dilapidando il patrimonio della nonna di Pauline, che è sempre sul punto di morire ma poi torna sempre in salute. Fedja, che non ha mai giocato in vita sua, si ritrova catapultato in un mondo fatto di speranza e disperazione, di gente che perde completamente ogni pudore nel giocarsi persino la vita al casinò. Innamorato di Pauline, vorrebbe sposarla ma la donna è già stata promessa al direttore del casinò come “risarcimento” di un debito di gioco contratto dal padre: l’unico modo per avere la donna è pagare quel debito. Fedja si lascia vincere dal gorgo del gioco e la fortuna gli arride: vince tanto da poter liberare Pauline, ma ormai è diventato schiavo dell’ebbrezza della vincita e non saprà resistervi.

Non solo perderà al tavolo verde tutti i soldi che servivano ad estinguere il debito, ma sarà costretto ad indebitarsi enormemente anch’egli per coprire le gravi perdite. Riuscire alla fine a scrivere il romanzo a cui stava lavorando, “Memorie di un peccatore”, sarà l’atto che salverà l’uomo dall’abisso in cui è caduto.

 

Come si diceva, la storia del film si rifà al romanzo “Il giocatore”, a sua volta basato in parte (si badi bene: in parte) su elementi lievemente autobiografici. Che Fëdor M. Dostoevskij sia stato un incorreggibile giocatore d’azzardo per tutta la vita è cosa nota. I diari della seconda moglie, Anna Grigor'evna, sono una testimonianza inequivocabile del tarlo che arrovellava la mente dello scrittore, ma qui finisce ogni similitudine con la storia del romanzo o del film: Dostoevskij seppe descrivere meglio di altri cosa provi un giocatore incallito perché lo era anch’egli, ma non cadde mai nelle sabbie mobili in cui finiscono i suoi personaggi.

Per questo all’inizio si è parlato di “con-fusione”: nel fondere la vita dello scrittore con quella del suo personaggio si è creata una confusione che non rende omaggio né all’uno né all’altro. Non rende poi di certo omaggio l’aver sostituito con delle vertigini l’epilessia di cui è noto lo scrittore abbia sempre sofferto, così come il lasciar intendere che i romanzi del maestro di Pietroburgo siano “pesanti”: «Cominciai un vostro libro ma non lo finii», dice Pauline. Una battuta simile forse può andar bene per un lettore statunitense del XX secolo (come l’autore della sceneggiatura): erano di tutt’altro avviso i lettori russi di fine Ottocento che invece apprezzarono sempre Dostoevskij e i suoi racconti e romanzi che uscivano regolarmente a puntate su riviste e giornali.

Gregory Peck nel ruolo di Fedja
Gregory Peck nel ruolo di Fedja
Anna Grigor'evna racconta che quando lo scrittore riunì in volume il suo romanzo “I demoni” e lo vendette personalmente (per non dividere i proventi con gli editori e librai), la sua casa venne presa d’assalto da gente che “cercava i demoni”, facendo scandalizzare la povera cameriera!

 

Se si dimentica per un attimo il riferimento al personaggio storico, al Dostoevskij uomo, il film si lascia godere in pieno e procede senza scossoni, senza sorprese ma in modo soddisfacente fino alla fine. Sia Gregory Peck che Ava Gardner sono in gran forma e danno vita a personaggi credibili ed appassionanti. Le scene più memorabili sono ovviamente quelle al tavolo da gioco, soprattutto nella prima esperienza di Fedja.

Di sicuro non è uno dei migliori adattamenti di un testo dostoevskijano, ma al contrario di altri non ne tradisce lo spirito.