Con questo appuntamento si conclude un altro anno. Un anno che abbiamo passato in compagnia di autori esordienti, personaggi, romanzi, storie, emozioni e molto altro… Siamo stati in uno studio psichiatrico con Marilù Oliva e la dottoressa Malaspina, abbiamo sondato la vita di un killer professionista e viaggiato nella Terra di silenzi, solo per citare alcuni mesi trascorsi. Per l'ultima puntata del 2009, invece, andiamo in Sardegna in compagnia di Gianni Tetti e del suo I cani là fuori (libri/9032). Per prima cosa grazie Gianni per aver accettato l'invito e, come sai il libro mi ha convinto solo in parte e, in un certo senso, questo è lo spazio giusto per ribattere alle mie osservazioni.
Partiamo dall'impatto visivo: la copertina. Personalmente non mi attira molto, vorrei capire in base a cosa è stata scelta, da dove nasce e se ha un significato particolare.
Non saprei, bisogna chiedere all'autore della copertina, che si chiama Toni Alfano ed è un grande artista milanese. La casa editrice me ne ha proposto tante e alla fine ho scelto quella che mi piaceva di più e mi sembrava più vicina alla mia idea del libro. Una copertina pop, con dei colori insoliti e la presenza inquietante di un mostro mezzo uomo mezzo caprone. Sì, mi piace proprio tanto.
E passiamo poi al titolo "I cani là fuori"…. Fuori dove?
Il titolo è preso direttamente da una frase del libro, lascio al lettore il piacere di scovarlo tra le pagine. In ogni caso anche il titolo l'ha scelto la casa editrice, che alla fine mi ha convinto: a ogni presentazione sottolineo questa cosa, perché una domanda sul titolo non manca mai. Comunque, avendo letto il libro ti sarai resa conto di quanti personaggi del mio libro, a un certo punto, si mettano a guardare fuori dalle finestre, quasi tutti i personaggi guardano "là fuori" e cercano qualcosa o aspettano. Potrei dire che il fatto che i personaggi guardino spesso fuori dalla finestra in attesa non si sa di chi, sia un altro punto in comune tra tutte le storie. I cani là fuori fa leva sul fatto che la gente pensa che i cani siano gli altri, stiano fuori dalla finestra, e invece i cani siamo noi, o comunque sono molto molto vicini a tutti noi. I cani là fuori sono l'umanità che vaga nel mio mondo buio e pieno di pioggia.
Quindi i cani cosa rappresentano?
I cani sono il parallelo dell'uomo. Un uomo senza libero arbitrio, che non riesce a scegliere per se stesso. Un uomo costretto a muoversi come portato da un istinto primordiale. Costretto ad arrivare alla fine della storia senza decidere quale percorso fare. L'uomo del nostro presente. Il problema è che questi uomini cani, non hanno padrone.
Bene, come abbiamo già detto, il volume è costituito da undici racconti. I singoli racconti sono nati tutti pensando a questo progetto o sono stati poi uniti in un secondo momento?
I primi due no. Poi mi sono reso conto che alla fine parlavo sempre della stessa cosa, avevo gli stessi temi, le stesse ambientazioni, la stessa sfiducia nell'uomo. E mi sono anche reso conto che c'era sempre un cane che scodinzolava qua e là. E allora ecco che ho iniziato a pensare ai racconti come un tutt'uno. Non a caso, nell'ultimo anno lavoravo ai racconti come fossero capitoli di un romanzo.
E allora, permettimi la provocazione, perché non un romanzo?
Per me non fa grande differenza, ho pubblicato semplicemente l'opera a cui stavo lavorando. A questi racconti ho lavorato tre anni, che non sono uno scherzo, e ho deciso di pubblicarli solo quando mi sono assolutamente convinto che fosse il momento di pubblicarli. È arrivato il momento e li ho pubblicati. E poi, se vuoi, questa raccolta è quasi un romanzo, un romanzo polifonico, con tanti personaggi diversi che si muovono nello stesso ambiente, hanno gli stessi sogni, le stesse speranza, vivono le stesse degradanti esperienze, muoiono come cani e si mangiano tra loro. Comunque il romanzo arriverà, Chiara non preoccuparti che arriverà, è già in programma e lo sto già scrivendo da un po' di tempo. Resta il fatto che a me scrivere racconti piace, e tornerò comunque volentieri su nuovi racconti, quando sarà il momento.
Come hai detto tu stesso poco fa i racconti hanno una serie di fili comuni, di temi e di protagonisti che rappresentano, più o meno sempre la stessa "tipologia" di umanità. Chi sono gli uomini e le donne delle tue storie?
Un'umanità disumanizzata. Alcuni li ho visti passarmi davanti, altri li ho immaginati, altri ancora sono proiezioni di me. Comunque sono esseri umani verosimili, persone che potresti incontrare ovunque. C'è un piccolo scarto di follia che li rende diversi dal resto, solo un piccolo, minuscolo momento nel quale loro perdono il controllo.
Personalmente trovo che ogni singolo racconto sia davvero una piccola perla letteraria, ma che tutti e undici, uno dietro l'altro, nello stesso volume, non abbiano la stessa forza. Secondo me, infatti, pur essendoci rimandi e richiami, la "macro-struttura" del volume è debole, non si fonda, diciamo così, su una idea forte…
Intanto ti ringrazio per aver definito ogni mio racconto come "una piccola perla letteraria". Per quanto riguarda il tuo dubbio, ci tengo a precisare che non sono d'accordo con te, a parte che non credo che sia obbligatorio che una raccolta di racconti debba avere una "macrostruttura", anzi, penso proprio che una raccolta di racconti debba essere solo una raccolta di racconti, con varie storie a cui il lettore può attingere per distrarsi, spaventarsi, passare il tempo o pensare. Quindi a parte tutto questo trovo che quella che tu chiami "macrostruttura" ci sia, e sta dentro ogni racconto, che ha uno stesso tema, e parla delle medesime paranoie, e sviscera le stesse paure e richiama gli stessi sensi, oltre ad avere, in alcuni casi, gli stessi personaggi, gli stessi oggetti che ritornano spesso, le stesse automobili, e molti personaggi hanno anche le stesse sensazioni e tanti fatti si svolgono negli stessi identici luoghi. E questo per dirti che quella che tu chiami "macrostruttura" è forte e, in varie recensioni, è stata sempre sottolineata come un pezzo forte del libro, addirittura qualcuno mi ha detto che il libro è in realtà un romanzo. Chiara, le raccolte di racconti sono così, non saprei che altro dirti per dissipare il tuo dubbio. Dici che i racconti sono "piccole perle letterarie", e allora non riesco a capire cosa debba avere di più una raccolta di racconti. Non dispero di farti cambiare idea però…
Torniamo alla tua antologia e ai suoi fili conduttori. Possiamo dire che i personaggi di tutti i racconti si muovono nella stessa "città immaginaria", come se ne fossero gli abitanti?
Di sicuro tutti i racconti sono ambientati nella stessa città, che non è troppo immaginaria, perché è Sassari. Diciamo che i racconti sono ambientati nella mia Sassari, immaginaria provincia ideale. Con qualche variazione nel primo e nell'ultimo racconto, che sono ambientati in paesi vicino, pure loro reali ma allo stesso tempo filtrati dai miei ricordi. Di sicuro ogni personaggio abita questa città che ho in testa, ovvero la Sassari immaginaria che descrivo. Ma è altrettanto vero che i personaggi sono inventati, completamente inventati. Restano le loro facce, che vengono dal miscuglio di visi che ogni giorno vedo in giro, in macchina al semaforo, nei super market (in ogni racconto c'è un super market, che non a caso rappresenta "il timer" della raccolta, chi leggerà capirà) dal dottore, al bar, di fronte al video poker, nelle strade in ciottolato della mia Sassari e così via. Raccolgo sensazioni nell'aria della città e ci costruisco personaggi
Quindi quanto c'è della Sardegna nei tuoi racconti?
Le facce, i modi di dire, la geografia, la mentalità, io.
Visto che stiamo parlando della Sardegna parliamo ora di quella vera e quotidiana: con che realtà si deve confrontare un giovane autore sardo che vuole emergere? Secondo te riscontra più difficoltà rispetto a un "continentale"?
Uno scrittore sardo si confronta con la stessa realtà degli altri autori di tutto il mondo. La verità è che bisogna solo scrivere e sbattersene del resto. Io penso solo a scrivere, il resto lo fa l'opera che hai scritto. E fortunatamente I cani là fuori sta già andando molto bene. Le opere letterarie, per muoversi non hanno bisogno dell'aereo, e questa è la loro grande fortuna. Le opere letterarie non sono direttamente legate ai loro autori, e arrivano in luoghi che gli autori non riescono neppure ad immaginare. Le difficoltà sono le stesse per tutti, bisogna rimboccarsi le maniche e iniziare a scrivere. Il resto viene da se, che tu stia a Cagliari o a New York.
A questo proposito come sei arrivato alla pubblicazione, è stato complicato?
Ho conosciuto gli editori della NEO., scrivendo per una loro antologia. Mi hanno detto che gli piacevano molto il mio stile e le mie storie. Gli ho detto che ne stavo scrivendo altre. Le hanno volute leggere. Sono rimasti entusiasti e hanno deciso quasi subito di pubblicarmi. Ho fatto il diffidente. Loro hanno insistito. Ed eccomi qua.
Sei soddisfatto?
Premettendo che io non sono quasi mai soddisfatto di nulla, e che voglio sempre ripartire per la nuova avventura, devo ammettere che in questo caso sono soddisfatto. È un lavoro che è durato circa 3 anni, lungo e intenso. Ora che è arrivato alla fine, non posso che essere soddisfatto. Ma molta della mia soddisfazione viene dai riscontri che il mio lavoro sta avendo, sia tra i lettori che nelle recensione sulla carta stampata. Per ora insomma va tutto bene.
Qual è il racconto in cui ti riconosci di più?
Domani, l'ultimo racconto della raccolta. In Domani sentirete la mia voce.
Con quale invece hai fatto più fatica?
Io scrivo, vado, metto una parola dietro l'altra, e nel fare questo mi diverto sempre, mi sembra di recitare i miei personaggi. Insomma, quando scrivo io godo, sempre. Però il piacere è più grande quando è mischiato al dolore. Non c’è racconto che non mi abbia fatto sudare o soffrire. Una fatica che non so descrivere, ma so di cosa parlo.
Scegli tre aggettivi per descrivere il tuo lavoro.
Duro, fulminante, cattivo.
E ora che andiamo verso la fine dell’intervista ti faccio la più classica delle domande: progetti? A quando il primo romanzo?
Sto scrivendo il romanzo, ma io di solito le cose le faccio con calma, mi sembra l'unico modo per farle bene. Quindi ci sarà da aspettare ancora un po', più di un anno. Intanto l'anno prossimo firmerò la regia di un film documentario che si intitolerà Corri uomo corri, e racconta la storia di un gruppo di ragazzi affetti da autismo che gareggia con i cosiddetti normo-dotati nelle gare di maratona e corsa campestre. E infine, sempre l'anno prossimo, dovrebbe uscire il lungometraggio Sagràcia (La Grazia, regia di Bonifacio Angius) del quale firmo la sceneggiatura insieme al regista e a Stefano Deffenu. In mezzo a tutto questo, scriverò anche il romanzo…
Aspetteremo allora…
A questo punto, prima di salutarci, auguro a tutti un sereno e felice Natale e vi aspetto a gennaio per un nuovo anno pieno di novità letterarie mozzafiato!
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