Satelliti della morte, appena uscito nelle librerie da Iperborea, ha dalla sua almeno due pregi e un difetto.
I pregi: innanzi tutto sdogana definitivamente il noir all’interno di una casa editrice, benemerita in Italia per la diffusione della letteratura scandinava, ma fino a ora pervicacemente chiusa a ogni spiraglio sulla narrativa d’indagine; in secondo luogo ripropone un eroe, il detective privato Varg Veum del norvegese Gunnar Staalesen, in Italia fuggevolmente apparso nel “Giallo Mondadori” di qualche anno fa (e da noi puntualmente recensito), che è uno dei più longevi e “professionali” dell’intero Grande Nord.
Il difetto: come succede di solito in Italia (anche se la casa editrice afferma di aver preso la decisione di concerto con l’autore) non è stato rispettato l’ordine di uscita interno alla serie; questo che abbiamo letto è il penultimo di una quindicina di avventure; poi, l’anno prossimo, si passerà al secondo mentre quello uscito da Mondadori – è il caso di dirlo? – era il quarto.
Nulla di personale con l’Iperborea (e d’altro canto la Longanesi & C. con lo scozzese Rankin, la Piemme con il californiano Connelly e la Sellerio con la coppia svedese Sjöwall & Wahlöö non hanno fatto, anni addietro, le stesse scelte?), ma abbiamo sempre ritenuto che, specie in un’editoria medio-piccola se non di nicchia, una maggiore attenzione al lettore “forte”, e soprattutto “specializzato”, non guasterebbe.
Ma veniamo al nostro Marlowe dei ghiacci.
L’accostamento in verità non è originale: ma possiamo farlo nostro visto che Varg Veum, questo ex assistente sociale di Bergen, in Norvegia, trasformatosi di investigatore privato, deve molto al suo antenato americano. Situazione sentimentale precaria (divorziato con un figlio universitario); sostanzialmente solo anche se non disdegna occasionali avventure, magari con donne dal forte carisma; spesso fatto oggetto di pesanti attenzioni da parte dei criminali che combatte, ma sempre pronto a rialzarsi e ricominciare; ma soprattutto – specie in questo romanzo – alle prese con vicende familiari degne del Chandler migliore e, aggiungiamo sommessamente, di qualche tragedia classica.
Meno scontata è invece la parentela con la coeva produzione scandinava. L’aspetto infatti che più caratterizza il noir nordico in questi ultimi anni, e ne ha fatto in sostanza la fortuna, è stata l’attenzione al dato sociale non esente da un’aspra critica del modello di welfare affermatosi in quell’angolo d’Europa e ammirato – forse perché non ben conosciuto – dal resto del continente. Staalesen però qui sta ben attento a dosare gli ingredienti per non correre il rischio, come in certi romanzi-fiume degli svedesi Mankell o Persson, di scrivere un saggio sociologico travestito da noir.
Certo, la storia nerissima del protagonista Jan Egil, narrata fin dai suoi primi anni di vita, ha lo scopo di mettere il dito nella piaga di un’assistenza sociale che non riesce ad adempiere con successo al suo compito; il colpo di scena finale, che svela il responsabile delle macchinazioni che hanno avuto Jan Egil più come oggetto che come soggetto attivo, è anche una denuncia della volontà di arricchimento, in una ipercapitalistica Norvegia, ormai completamente disgiunta da una qualsiasi etica; e in fondo anche l’amara sorpresa che si trova a dover affrontare Varg Veum nasce da una limitata capacità di lettura del reale, di conoscere veramente gli altri, anche quelli con cui si è condiviso molto, per non dire tutto.
Ma la critica sociale, e persino il richiamo – per noi non norvegesi assai poco interessante – a un fatto criminoso ottocentesco, viene costantemente miscelato all’azione, alla detection, alla ricerca del bandolo in una complessa matassa genealogica che insaporisce – anche se talora affligge – il romanzo.
Riassumendo, possiamo infatti affermare che la cifra caratteristica di questo Satelliti della morte è l’insistita volontà di fondere tre piani narrativi tendenzialmente divergenti: la critica sociale; il dramma familiare allargato; l’indagini di polizia. Ma spesso si ha l’impressione che l’autore si fermi un attimo dopo, piuttosto che uno prima, aggiungendo particolari invece di asciugare l’intreccio, moltiplicando i punti di fuga piuttosto che ridurli: come se in questo interminabile flash-back che è il romanzo Staalesen avesse voluto in qualche modo chiudere fastosamente i conti – nel passato e nel presente – col suo eroe di sempre.
Ecco dunque il motivo di una nostra parziale insoddisfazione e, al tempo stesso, di una forte curiosità nei confronti dell’ultimo romanzo della serie, ancora da noi inedito: che ne sarà di Varg Veum?
Ma già, quando lo leggeremo in Italia?
Voto: 6.5
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