Nel 1948 il britannico George Orwell scrive una pietra miliare della letteratura mondiale: “1984”. La data invertita (48-84) strizzava l’occhio al lettore e gli diceva: «sì, il mio romanzo si svolge nel futuro... ma in realtà parlo di cose attuali!» Ogni anno, da allora, è sempre più incredibilmente simile alle cupe atmosfere della creazione orwelliana, fino al punto che la sua più suggestiva ed inquietante invenzione (il Grande Fratello, che continuamente spia e giudica le azioni di ogni cittadino) è diventata purtroppo il titolo di una popolare trasmissione televisiva: il monito dell’autore contro l’eccessivo controllo dello schermo televisivo sulla vita e sul pensiero della gente si è avverato in tutta la sua forza (malgrado film come l’ottimo “Truman Show” e il divertente “EdTV” avessero messo in guardia dal pericolo imminente, così come il durissimo “Live - ascolti record al primo colpo” ha ribadito l’ammonimento). Ma torniamo all’argomento di cui trattiamo in questa rubrica.
Ma il crimine di Goldstein non si limita al tradimento. «Si mormorava anche dell’esistenza di un libro terribile, una sorta di compendio di tutte le eresie, di cui Goldstein era l’autore e che circolava in copie clandestine. Non aveva titolo. Per la gente era, semplicemente, “il libro”. Ma queste cose erano soltanto il frutto di dicerie indistinte».
Invece la Confraternita di Goldstein esiste, e il protagonista ne verrà a contatto. «Più in là vi manderò un libro - gli dice un adepto - dal quale apprenderete la vera natura della società nella quale viviamo e la strategia con la quale la distruggeremo. Quando l’avrete letto sarete a tutti gli effetti membri della Confraternita». La semplice lettura di un libro come rito di iniziazione...
In questo romanzo, infatti, i libri (intendendo ovviamente le opere in essi contenute) sono ferocemente vietati dalla società del futuro, tanto da istituire un corpo di vigili del fuoco preposto alla distruzione di questi. Per evitare questo abominio, dei ribelli si inventano un sistema per coservare le opere senza l’ausilio della carta: le imparano a memoria, diventando essi stessi quelle opere! «Ti piacerebbe, uno di questi giorni, leggere la “Repubblica” di Platone? [..] Sono io la “Repubblica” di Platone. Vuoi leggere Marc’Aurelio? Il professor Simmons è Marc’Aurelio». Ci sono Jonathan Swift, Charles Darwin, Albert Schweitzer, Schopenhauer e tanti altri.
Il protagonista porta con sé, nella mente, un gran dono per i ribelli: l’“Ecclesiaste”. Già ce n’è una “copia”, ma va bene ugualmente: «Sii prudente. - gli dice il capo dei ribelli - Abbi cura della tua salute. Se dovesse succedere qualcosa a Harris, “tu” sei il Libro dell’Ecclesiaste». Imparare a memoria un’opera sia per diventare l’opera stessa sia per prevenirla è lo stesso procedimento utilizzato dai sovversivi di “1984”.
Per chiudere il discorso sull’opera di Bradbury, merita la citazione uno pseudobiblion scritto da uno dei ribelli. «Quanto al sottoscritto: pubblicai un libro intitolato “Le Dita nel Guanto: del Giusto Rapporto tra l’individuo e la Società”»: un titolo che fa tornare alla mente l’uso dei capi di vestiario come sottile critica alla società umana nel “Sartor Resartus”, di cui abbiamo già trattato precedentemente.
Nelle parole di Orwell, «Il libro lo affascinava o, per dir meglio, lo rassicurava. In un certo senso non gli raccontava nulla di nuovo, ma proprio questo costituiva parte della sua attrattiva. Diceva quelle cose che avrebbe scritto lui se fosse stato capace di riordinare i frammenti dei suoi pensieri. Era il prodotto di una mente simile alla sua, ma immensamente più poderosa, più sistematica, meno condizionata dalla paura. I libri migliori, pensò, sono quelli che vi dicono ciò che sapete già.»
Ma il “Libro” di Goldstein non è l’unico pseudobiblion del romanzo. Orwell, infatti, inventa anche un «libro di storia per bambini», un cui brano merita di essere citato: «Tanto tempo fa, prima della gloriosa Rivoluzione, Londra non era la bellissima città che oggi conosciamo. Era un posto buio, sporco e miserabile, in cui quasi nessuno aveva cibo a sufficienza e centinaia, anzi migliaia di poveri andavano a piedi scalzi e non avevano nemmeno un tetto dove poter dormire. [...] In mezzo a tutta questa terribile povertà, c’erano però alcune case bellissime, abitate da ricchi che avevano fino a trenta persone al loro servizio. Questi uomini ricchi si chiamavano capitalisti. Erano brutti e grassi, con facce crudeli [...] Quando una persona qualsiasi si rivolgeva a un capitalista, doveva piegare la schiena, inchinarsi, levarsi il cappello e rivolgersi a lui chiamandolo “Signore”. Il capo dei capitalisti si chiamava re.»
Va specificato come il rapporto coi libri sia molto intimo ed attraversi tutto il romanzo. I libri, che li si legga o meno, sono comunque veicoli di informazioni e di opinioni che una mente non allenata (o peggio, soggiogata dal Grande Fratello) può mal digerire. «Era improbabile che in tutta l’Oceania fosse sopravvissuta anche una sola copia di un libro stampato prima del 1960». Il protagonista di “1984” tiene stretto a sé il “libro di storia per bambini” perché, malgrado sia palesemente fazioso, è pur sempre una fonte di informazioni; tiene un diario in assoluta segretezza, in quanto è una pratica vietata: i suoi pensieri in forma scritta su carta sembrano acquisire valore di realtà...
Va infine citata la versione cinematografica omonima del romanzo che nel 1984 (data non certo scelta a caso!) Michael Radford adatta e dirige, con uno straordinario John Hurt protagonista e un ancor più straordinario Richard Burton come antagonista. In questo adattamento viene dato grandissimo risalto al diario del protagonista, riportandone ampi brani e lasciando molto in disparte il Libro di Goldstein, rispetto al romanzo: la scelta però non nuoce alla pellicola, né al suo indiscusso fascino.
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