racconto

“E tre!” esclamò Rosy.

Marco annuì. Era un bel pezzo che non faceva servizio sull’ambulanza ma non poteva lamentarsi. Un infarto era un inizio tutto sommato accettabile, sempre meglio di ossa rotte, ferite da arma da fuoco o coltellate in pancia. Però la morte era pur sempre la morte, e lui ancora non capiva perché avesse scelto di impiegare il proprio tempo libero come volontario sulle autoambulanze.

“Son tre piccoli porcellin...” canticchiò Rosy.

“Dai, smettila. È pur sempre una persona, mica un ratto. Cristo, hai ventidue anni e sei già fusa.”

“Fa un freddo bestia, ma quando arriva il medico legale?” si intromise Gianni, l’autista.

Marco prese un lenzuolo dall’ambulanza e lo stese sul corpo dell’uomo.

“Però è strano – disse – tre infarti nel giro di un mese, e sempre mentre facevano jogging.”

Rosy lo colpì con uno schiaffetto sull’orecchio, facendolo urlare dal dolore.

“Lo vedi, fa un freddo pazzesco, e ti si stanno congelando le orecchie. Questi tripponi dovrebbero mangiare meno e mettersi a correre a primavera e in autunno, non quando si scoppia di caldo o in pieno inverno.” Si portò le mani al petto e simulò un lungo rantolo contorcendosi come colpita da un dolore lancinante. “Altrimenti... oddio! Il cuore... aaahhh!” e cadde in ginocchio abbandonandosi con la testa reclinata. Gianni scoppiò a ridere di gusto e si accese l’ennesima sigaretta, scaldandosi le mani alla tenue fiamma dell’accendino.

“Due teste di cazzo. Siete due emerite teste di cazzo.” sentenziò Marco. Poi, per fortuna, arrivò l’auto con il medico legale.

La notizia apparve sui giornali locali, con tanto di foto del cadavere sotto il telo bianco, disteso sul lungarno delle Cascine con una piccola folla di curiosi che si teneva a debita distanza. Mica c’erano sangue, intestini sparsi qua e là, bossoli o rasoi insanguinati. Insomma, niente violenza gratuita e quindi ben poco di morbosamente interessante. Al calduccio nel suo piccolo appartamento sui viali, Rosy lesse comunque con molto interesse tutti gli articoli che parlavano del terzo decesso di uomini di mezza età e oltre che correvano la mattina presto nel grande parco di Firenze. Sul suo volto c’era stampato un ghigno feroce, non di scherno come quello che aveva fatto infuriare Marco la mattina precedente, ma di vero, autentico disprezzo.

“Tripponi! Non siete altro che viscidi tripponi!” e scagliò via i giornali. Le ci volle qualche minuto per calmarsi, poi lentamente si alzò in piedi sul letto e si rimirò nel grande specchio che copriva quasi tutta la parete. Si mise in posa con le mani sui fianchi, poi di lato, e infine gettò uno sguardo al suo di dietro, sorridendo compiaciuta. Indossava una tuta da ginnastica molto larga e un po’ consumata dal tempo, che mascherava bene le sue forme. Con gesti languidi si tolse la parte superiore, e apparve all’improvviso fasciata da una magliettina elasticizzata nera che le metteva in risalto un seno formoso e giovane e un girovita che un tempo sarebbe stato definito vitino di vespa. Poi fece scivolare giù i pantaloni. Nessuno avrebbe potuto mai immaginarla così: slip di pizzo nero e autoreggenti di gran marca su due gambe semplicemente perfette.

“È così che dovreste essere. Come siamo io e il mio amore!” Si voltò di scatto e baciò la foto di George Clooney che teneva di fianco al letto. Lo baciò come se fosse lì presente in carne e ossa, gli leccò le labbra e ci strusciò le guance sopra. “Tripponi, voi siete solo grasso e arterie tappate. Non è vero, George?”

Il ragionier Costa era entusiasta della sua nuova attività. Non lavorativa, ma quella sana e ricostituente che gli aveva consigliato un suo collega in banca. Lo aveva trascinato in palestra e fatto scoprire l’hobby della corsa, prima sul tapis-roulant, poi all’aperto. L’inizio era stato traumatico, non tanto per lo sforzo fisico quanto per il rendersi conto dei numerosi chili che gravavano come parassiti sul suo corpo non più giovanissimo. La cosa lo aveva disturbato molto, e da allora si era impegnato per recuperare un po’ di fiducia in se stesso e perché no, anche di quel fascino che lo aveva contraddistinto negli anni del liceo e dell’università. Erano passate da poco le sette, la nebbiolina sull’Arno persisteva ancora visto che il sole era basso e la temperatura segnava un bel -1°. A quell’ora le Cascine non potevano dirsi il luogo più sicuro del mondo ma la presenza di altri sportivi permetteva di pensare solo alla corsa senza doversi guardare troppo alle spalle. Sennonché la ragazza che lo seguiva ormai da un centinaio di metri lo affiancò e gli sorrise. Era bella, giovane, con due seni sodi che sobbalzavano appena ad ogni passo, e non aveva neppure una stilla di sudore sul volto. Si guardarono e il ragionier Costa si inebriò di quel sorriso. Sfoderò tutto il suo vecchio charme e lo concentrò in uno sguardo ammiccante e voluttuoso. La giovane colse il messaggio. Si passò la lingua, un muscolo rosa saettante e provocante, sulle labbra lucide di burro di cacao e accelerò mettendosi a ridere. Il ragioniere avvertì nel petto il primo colpo fuori ritmo, ma non ci badò neppure per un istante. Allungò il passo e si riavvicinò. Ogni tanto la ragazza si voltava, invitandolo con il dito indice a raggiungerla. Altri cento metri, duecento... Adesso Costa aveva un po’ d’affanno e il cuore pompava più svelto. Trecento metri, e lei sempre lì, a portata di mano, ma sempre un pizzico lontano per essere presa. Poi, lei si voltò e si mise a correre all’indietro, guardandolo fisso negli occhi. Dio, quanto era bella! Ma cosa stava facendo, ora? Lo stava provocando in un modo... Costa non credette ai suoi occhi. La ragazza fece scivolare una mano nei pantaloni e armeggiò in mezzo alle proprie gambe. Ma si stava toccando, proprio lì! Il ragioniere deglutì con fatica ma non mollò e continuò a correre. Lei si accarezzò ancora per qualche secondo, poi estrasse la mano, se la portò alle labbra e se la baciò. Infine lanciò con un soffio leggero quel bacio peccaminoso verso il povero ragioniere. Lui incespicò per raccogliere il bacio, e il cuore mancò un altro battito. Quando riprese il ritmo regolare se lo sentì in gola, ma faceva troppo rumore, il povero cuore colpito dalla fatica e dalla freccia di Cupido, un rumore sordo e cupo. Costa accelerò con forza e solo per poco non afferrò la manica della ragazza. Lei emise un gridolino, si voltò e schizzò via. No bellezza, non te la cavi così, riuscì a dire tra un respiro e l’altro. Adesso ansimava proprio, i muscoli dell’addome faticavano a contenere il grasso in eccesso e le gambe gli parevano di piombo. Ma mollare proprio ora voleva dire consegnarsi alla vecchiaia e questa era la peggior sconfitta per un uomo come lui. Corsero ancora per chissà quanto, poi nel petto del ragionier Costa qualcosa si inceppò. Un colpo più forte degli altri gli piegò le gambe, mentre una sensazione di violenta oppressione iniziò a schiacciargli il torace. Fece per parlare, per chiamare la ragazza che ogni tanto si voltava e sorrideva incitandolo a seguirla con chiari cenni del capo, ma dalla bocca spalancata uscì solo un rantolo seguito da un colpo di tosse. Costa rallentò, inciampò ancora nei suoi stessi piedi, e cadde rovinosamente. Il grasso che si portava appresso lo preservò dal rompersi qualche osso, ma fece comunque un bel tonfo. La ragazza si fermò, gettò uno sguardo attorno e vide che nessuno si aggirava nei pressi. L’uomo era pallidissimo, gocce di sudore freddo gli bagnavano il viso e tutto il corpo. Avvertì un dolore acuto, violentissimo al braccio sinistro. Il cuore si inceppò ancora, e ancora, poi smise improvvisamente di pompare sangue nelle arterie incrostate di grasso.

Rosy si avvicinò al corpo disteso a terra e lo colpì con un paio di calcetti. Controllò ancora che non ci fossero occhi indiscreti e si chinò a tastare il collo dell’uomo. Zero, nessun segno di vita.

“Tripponi, ecco cosa siete. Solo dei porci tripponi. Ti sarebbe piaciuto acchiapparmi, eh? Ma io appartengo solo a George, capito? Tutti dovreste essere come lui.” Si alzò, si tirò su il cappuccio della felpa e si allontanò correndo.

“Cazzo, fa davvero freddo!” Gianni si soffiò nelle mani. “Se vinco al Superenalotto me ne vado a vivere ai Caraibi, giuro.”

“Neppure sai dove stanno, i Caraibi.” gli fece eco Marco. Non riusciva proprio a capire come solo lui fosse così colpito dalla perdita di una vita umana. Se ci fosse stata Rosy avrebbe canticchiato Quattro piccoli porcellin... Eh sì, perché anche questo era decisamente sovrappeso. Ma che diamine, anche i grassi hanno diritto a una bella corsa nel parco, o no?!

Cascine, ore sette meno cinque. Eccola lì, fasciata nella sua tuta Adidas viola e rossa, scarpe ultratecnologiche ovviamente della stessa marca e guanti di cachemire bianchi. Perfetta, bella, giovane, senza una smagliatura, con il culo bello tondo e i seni dritti e sodi, i capelli corvini e lucenti stretti in una morbida coda di cavallo. Magari crede pure di essere intelligente, spiritosa e solare, sì, proprio così si defiscono tutte queste piccole zoccole in carriera. Mario, il re del lampredotto, il mago degli hamburger e della piadina, il Michelangiolo degli hotdog, il cuoco titolare del chioschetto alla Fortezza, continuò a correre incontro alla ragazza, trascinando a fatica i suoi centodue chili lungo lo stretto sentiero sull’argine dell’Arno. Non vi basta che madre natura vi abbia regalato un corpo perfetto, no, voi siete talmente ingorde che fate palestra, yoga, saune e massaggi, e ovviamente jogging. Zoccole fin dalla nascita, ecco cosa siete, zoccole! Mario aveva da poco iniziato a correre, ma già non ne poteva più. Per fortuna stava tutto per finire. Erano oramai a pochi metri l’uno dall’altra, e il re del grasso e del colesterolo si spostò a sinistra obbligando la ragazza a percorrere il lato del sentiero che costeggiava il fiume. Vide che lei gli sorrise ma lui non ci cascò. Appena le fu accanto dette appena un colpetto con l’anca alla ragazza che come una pallina da flipper fu scaraventata giù dalla corta scarpata. Un secondo dopo annaspava nell’acqua. Rosy tentò di gridare ma la morsa di quella sporca massa gelata le tolse il respiro. Aveva piovuto molto negli ultimi giorni e il fiume era gonfio anche se non proprio in piena. I mulinelli disegnavano spirali ovunque, intrappolando tronchi secchi, bottiglie di plastica, sporcizia varia. Tese la mano verso Mario, e lo vide ridere di gusto mentre la corrente se la portava via. Il freddo la paralizzò. Rosy sentì che i muscoli non rispondevano più e le parve di pesare una tonnellata, come i poveracci di cui andava a caccia nel parco. Un gorgo più forte la tirò giù e fu come essere abbracciata dal ghiaccio. Riemerse, ma si accorse che non respirava più. Poi il cuore le mandò una fitta lancinante. E tutto si fece buio.

“Un infarto? A Rosy? Ma non è annegata?” Marco aveva gli occhi sbarrati.

“No, mio caro. Niente acqua nei polmoni. Le è proprio scoppiato il cuore. A lei, così magra e così fissata per la salute.” gli rispose Gianni accendendosi l’ennesima sigaretta.

“Non ci posso credere!”

“E con questa, caro amico, Son cinque piccoli porcellin...”

Luca Bandini è nato a Firenze nel 1958 e vive da più di vent’anni a Sesto Fiorentino. Dopo varie esperienze lavorative, dal 2001 si dedica esclusivamente alla scrittura, sua grande passione insieme alla musica e alle gare automobilistiche degli anni ’60-’70. Ha esordito nel 2003 con un giallo-fantasy ambientato a San Francisco dal titolo “In fondo al buio” (Ed. Medicea). Con il secondo romanzo “Controllo Assoluto”, che affronta il problema del condizionamento della mente umana, ha vinto il Premio Palazzo al Bosco 2005, venendo così pubblicato da Marsilio Editori. Nel 2009 il racconto “La ragazza dell’Est” viene pubblicato nell’antologia “Toscana a Luci Rosse” edito da Laurum, mentre per Edizioni Medicea esce il romanzo “Giallo Fiorentino”.