E’ buona norma evitare di cadere vittima della nostalgia: se fine a sé stessa, può diventare una droga auto-prodotta assai appagante. E piuttosto perniciosa.
Ma c’è anche la nostalgia sana: un’emozione gentile e discreta, espressione di un ricordo che non è rimpianto. La nostalgia va dosata, gustata saltuariamente, al momento giusto. Come un bicchierino centellinato dalla bottiglia “speciale”. In questo modo non è un vizio pericoloso, e rimane un piacere lecito e sacrosanto. Non si trasforma in mero e stagnante rimpianto del passato.
Anche per noi lettori, la nostalgia gioca un ruolo fondamentale, a livello conscio e inconscio. Intellettivo ed emozionale. Ed è una nostalgia sana quella che, catalizzata dal piacere della lettura, mi ha risvegliato il romanzo La vittima (La victime), di André Héléna: un ottimo esempio di noir puro e primigenio. Di noir francese. Quello che, nel riprendere la lezione dall’hard boiled americano, calò la narrativa nera in atmosfere dallo stile europeo.
La vittima è un romanzo dei primi anni ’50 del secolo scorso, quindi di decenni sul groppone ne porta parecchi; eppure, come solo i bei libri sono in grado di fare, conserva tutta la sua freschezza narrativa. Non mostra segni di età, semmai stimola a ricercare quali siano le radici del nero contemporaneo. In più, ad oltre cinquanta anni di distanza, per noi lettori del XXI secolo acquisisce anche il prezioso valore aggiunto di film d’epoca, che riflette un momento storico e sociale preciso: gli anni del dopoguerra francese, della successiva ripresa. E le città e i quartieri che, tra l’altro, fungevano anche da habitat per la malavita.
Assieme a Léo Malet, André Héléna viene considerato uno dei maestri del noir francese, soprattutto per alcune delle sue opere, considerate classici del genere: Le gout du sang, Les clientes du Central Hotel, Le bon dieu s’en Fout, Par mesure de silence...
In realtà, oltre che nel noir e nell’affine polar, Héléna per mantenersi si cimentò anche in altri generi, spesso sotto pseudonimo. Per dirla tutta, nella sua prolifica produzione di oltre 200 titoli si contano persino una cinquantina di romanzi porno! Scrisse pure sceneggiature per il cinema.
Nato nel 1919 a Narbonne, nella Francia meridionale, figlio di un archeologo, emigrò a Parigi a soli 17 anni. Mosse i primi passi letterari come poeta. Partecipò alla guerra civile spagnola e alla resistenza francese. Dopo la guerra, finì in carcere per una truffa legata alla vendita di abbonamenti di una rivista letteraria. Pubblicò il suo primo romanzo nel 1949: Les flics ont toujours raison. Tra gli anni ’50 e ’60, ebbe una buona notorietà di pubblico. Morì però solo, e mezzo alcolizzato, nel 72. Aveva 53 anni.
E’ lo specchio di un’esistenza vissuta in modo intenso, scialacquando soldi nei bistrot, a contatto con il mondo urbano che poi diventava protagonista dei suoi romanzi: ambienti sociali che capiva e descriveva senza remore, senza orpelli, senza annacquamenti. Ben consapevole della realtà di cui diventava poi testimone narrante. Conscio però di quanto il suo stesso modo di vivere lo logorasse. Evidentemente, non riusciva a farne a meno.
E’ sicuramente anche per questo, oltre che per le sue doti narrative, che le sue opere più esemplari sono noir straordinari.
Fortunatamente, Héléna è un autore in fase di riscoperta. Grazie alla scommessa di un paio di editori, da un paio d’anni viene riproposto anche in Italia. Sei sono stati i romanzi usciti di recente sul nostro mercato: quattro da Aìsara (Il buon Dio se ne frega, I clienti del Central Hotel, I viaggiatori del venerdì, Il gusto del sangue) e due da Fanucci (uno è quello di cui parlo, l’altro è Un uomo qualunque).
La vittima è una tipica storia di Mala, con balordi e sbirri. Di debolezze (se non addirittura miserie) umane, di frammenti di esistenze sbandate: fili intessuti in una trama profondamente noir.
La “vittima” del titolo è Edgar Verblanc, detto “la larva”, truffatore e ladruncolo di scarsa abilità e fortuna, il quale finisce per restarci secco in un affare che coinvolge pesci un po’ più grossi di lui. Non sarà l’unico a lasciarci le penne. Gli altri personaggi principali sono i criminali Charlot, Étienne e Fredoli, e poi gli sbirri Bernard (ispettore di poco nerbo, condizionato da una moglie che è una vera troia – un confronto morale indiretto vinto dalle professioniste incrociate “casualmente” nel libro -, per la quale egli salta il fosso della corruzione), e il veterano Gribert, caparbiamente intenzionato invece a riannodare le fila della verità. Arriverà a farlo, anche se attraverso un percorso di sangue. Riuscirà persino a trovare un minimo di giustizia, forzata e peraltro fuori legge, per chi è crepato e per chi rischia di pagare le conseguenze di altrui errori e colpe. E’ un epilogo che lascerà comunque un retrogusto amaro in bocca.
La trama si dipana con fluida precisione e apparente semplicità, grazie anche ad una costruzione narrativa che converge risoluta verso un finale in parte dichiarato sin dalle prime battute; il ritmo è sempre mantenuto vivo da uno stile che non inciampa mai; i personaggi sono straordinariamente umani, nel contempo vittime e cause dei loro rispettivi mali: Héléna li tratteggia dosando azioni e pensieri, presente e passato, fiction e realtà. Non c’è (ok, lo so: è quasi superfluo sottolinearlo; ) ) nessun eroe, o pseudo tale. Nessun puro di cuore. Le uniche figure che ne vengono fuori meglio sono quelle di una bambina che non ha (ancora) avuto il tempo di deviare e perdere la rotta e un commissario di polizia (il sopra citato Gribert) con qualche scrupolo morale.
Tra i vari ritratti dei protagonisti che emergono con tanta efficacia in un numero di pagine contenuto, quello più notevole è forse quello di Edgar, la vittima (ma è davvero lui, o solo lui, “la victime” del titolo?). I suoi ricordi, dall’infanzia in poi, sono la rappresentazione di come, a causa della mediocrità abbinata all’assenza d’una adeguata forza di volontà, si possa facilmente cedere alle attrattive della criminalità. Tra gli stralci del testo che mi sono segnato tra quelli che riguardano Edgar, ne tiro fuori due a caso. Nel primo, “la Larva” rammenta la sua infanzia di strada, e commenta: “La strada se da una parte insegna a vivere, dall’altra insegna anche a non fare un cazzo.” E’ il ricordo di un mondo infantile che, poco più avanti, collegherà alla sua vita adulta, attraverso un singolo, semplice ma poderoso, passaggio narrativo e visivo: “(...) con lo sfondo sinistro di una scuola oscura, dipinta con la calce, con basamenti marrone sporco. Più tardi ho ritrovato gli stessi colori in caserma e in prigione.”
Colori sporchi. Scuri. Sinistri...
Sarà la copertina. Sarà l’istinto generato nella memoria. Sarà la nostalgia di cui parlavo all’inizio. Sarà condizionato da tutto ciò, ma riconosco che La vittima è un romanzo che ho letto, e immaginato mentre scorrevo avido la prosa di André Héléna, in un evocativo ed emozionante gioco di chiaroscuri, rigorosamente in bianco e nero.
Soprattutto: nero.
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