Stieg Larsson non ha bisogno di presentazioni.
Così come La regina dei castelli di carta, ultimo capitolo della famosa Millennium Trilogy.
Perciò andiamo dritti al sodo: il voto in stelline.
Come i più attenti avranno notato non c'è.
Il motivo è molto semplice: il romanzo meriterebbe due voti per ciascuna delle due grandi parti in cui è diviso e fare una media di 2,5 stelline, oltre a non essere possibile, non renderebbe giustizia a nessuna delle due.
La vicenda prende le mosse dal punto esatto in cui si interrompe nel volume precedente (La ragazza che giocava con il fuoco): Lisbeth Salander è gravemente ferita e immobilizzata in un letto di ospedale con una pallottola in testa, piantonata constantemente dalla polizia, che è convinta di avere finalmente la sua colpevole.
Mikael Blomkvist, giornalista amico di Lisbeth, continua a indagare per liberare la ragazza da un complotto alle sue spalle, in cui è invischiata da quando ha dodici anni.
E' Lisbeth, infatti, la regina prigioniera di un castello di bugie, carte, intrighi di stato, imbrogli e illegalità. Se la verità venisse a galla i servizi segreti, il governo e l'intero paese potrebbero tremare.
Per questo Lisbeth deve tornare sepolta in un manicomio dove sarà innocua per tutti. Ma lei non ci sta.
Riassumere in poche righe la trama di questo volume di circa 900 pagine è impossibile, ma per tornare alla divisione in due parti dell'opera, possiamo affermare senza ombra di dubbio che i capitoli si dividono in quelli "in cui c'è Lisbeth" e in quelli "in cui non c'è Lisbeth".
Ancora una volta, infatti, è la figura della giovane hacker il pilastro portante di tutta la narrazione. Il romanzo prende ritmo, vita e interesse, quando lei è padrona della scena, mentre si spegne e dilunga quando lei non compare.
Perciò 5 stelline a Lisbeth, al suo carattere lunatico, al suo sorriso storto e alla sua "sociopatia; al suo abbigliamento strampalato e alla sua abilità coi computer.
D'altra parte 1 stellina agli excursus di storia, al ritmo lento e burocratico dei servizi segreti, alla miriade di nomi tutti simili, alle frasi ripetute inutilmente, alle lungaggini fini a se stesse.
Nel complesso una lettura a tratti molto godibile, che avrebbe sicuramente guadagnato in agilità se l'autore avesse sfoltito parecchi passaggi, ma che in ogni caso mette il punto a una trilogia che, nel bene e nel male, si è imposta sul panorama della letteratura internazionale.
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