4. Talis patre, talis fìgghiu
La seggiola su cui era seduta non era male, e nemmeno il poster vista mare al di là della scrivania che aveva davanti, ma i due gorilla che aveva alle spalle e i polsi ancora ammanettati dietro la schiena non li sopportava proprio.
Serena sbuffò roteando gli occhi da una parte all’altra, quando sentì dei passi echeggiare fuori dalla stanza. I passi si fermarono; la porta, alle sue spalle a destra, si aprì, ma Serena continuò a guardare davanti a sé, non degnando l’uomo che era entrato finché non le fu di fronte.
L’uomo, alto e robusto, si sedette, fregandosi lentamente i palmi delle mani. – Lei non conosce me, ma io conosco Lei. Mi chiamo Beppe Puglisi. Lei lavorò per mio patre, sa? –
Lei sorrise, civettuola. – Un brav’uomo, immagino. –
– Sissi. Con gli altri era tanticchia severo, ma era bonio con me. Dico era pirchì ora è in prigione. Per colpa sua. –
Sentendo quei cognomi, Pugliesi e Giuffrida, la mente della killer andò subito a Misterbianco al “contratto” Stefano Giuffrida: un contratto che non aveva adempiuto.
– Ma ora Vossia può rimediare. Uccidendo un omo. –
– Chi? – Lo sguardo di Serena era impenetrabile.
Il boss fece scorrere una foto sul tavolo. Era un uomo alto e castano, sulla quarantina, dalle spalle larghe ma senza il portamento dello sportivo. La foto lo ritraeva di tre quarti, in un locale affollato. Era serio.
– Si chiama Alfredo Musso. Ci deve una milionata, e si ostina a non onorare i suoi debiti. Lo può trovare al Gatto e la Volpe. Tutte le sire va là. Per ora, è nostra ospite. Agirà stanotte. Poi sarà libera. –
La donna osservò ancora la foto. Lei non poteva saperlo, ma proprio quella mattina, quell’uomo, si era presentato a Mister Noir sotto falso nome.
5. Trasferte incrociate
Accantonando per un attimo il giudice Anioni, che peraltro avevano aiutato negli ultimi due mesi, e ignorando che il loro cliente si era presentato con un nome falso, i due investigatori sfrecciavano di nuovo verso la cascina.
La domanda che aveva posto Cordieri era pertinente: “Ma se fino a ieri era impegnata a dare la caccia al giudice, perché ora [Serena Bonita] sarebbe interessata a perseguitare un pover’uomo rintanato in una cascina a Castelletto Ticino?”
Mr. Noir ed Elena decisero di percorrere l’unica strada a loro disposizione: quella che congiungeva Milano a Castelletto Ticino. Se la killer aveva studiato le mosse di Guido Stagni prima di agire, ora loro dovevano fare altrettanto se volevano salvarlo!
L’auto frenò sfrigolando nel piazzale ghiaioso.
Nel cortile non c’era nessuno.
Elena scese, andò alla porta della famiglia Stagni e bussò due volte, ma nessuno rispose. Provò anche ad aprire la porta, ma niente.
Tornò indietro allargando le braccia. – E adesso che si fa? –
– Si va a bussare alla porta della dirimpettaia, che fa rima con portinaia, e si chiedono a lei notizie sugli Stagni. –
– Aspetta. Prima di tirarti giù guardo se c’è. –
Elena bussò alla porta di fronte a quella degli Stagni. Una donna bruna e grossa uscì, ed Elena cominciò a parlare con lei.
– VOCE! – tuonò dall’auto Mister Noir.
Elena si voltò, abbozzò un sorriso tirato, e chiese alla donna di seguirla; una volta accanto all’auto, esclamò: – Lui è Mister Noir, il mio capo –.
Il donnone scosse la testa strabuzzando gli occhi. – Qual è il nome??? –
– Mister, che domande! – esclamò il detective.
Elena, conciliante come sempre, riportò l’attenzione della donna sull’argomento della loro visita. – Non ha proprio idea di dove siano andati i signori Stagni? –
– No. Anzi, sì. Oggi è mercoledì, e al mercoledì sera vanno al cinema con i coniugi Cigni. Laura e Roberto Cigni. –
– I Cigni sono amici degli Stagni? –
Il donnone, che evidentemente si sentiva un po’ presa in giro, rispose con un gelido – Sì, certo –.
Mister Noir incalzò. – Al mercoledì sera, ha detto? Perché, hanno degli altri impegni fissi durante la settimana? –
– Sì, al giovedì sera. Vanno al Circolo a giocare a carte. Lui con gli uomini, lei con le donne. –
Elena, col suo tono dolce di sempre, disse: – Senta, signora, gli altri giocatori di carte, chi sono? –.
– Federico Bruglia, Renato Alpi, e lo stesso Roberto Cigni. Serve altro? –
– Sì. Ci può dare i loro indirizzi? Ci sarebbero molto utili. E pure quello del Circolo – chiese il detective.
Il donnone, che dopo la risposta iniziale che le aveva dato non lo prendeva più sul serio, lo squadrò, poi guardò Elena per chiederle conferma. Lei, con un sorriso, assentì.
Nel frattempo, rinchiusa in una stanza quasi disadorna, Serena si guardò intorno. Era in una camera lunga e stretta, con un letto e un’unica finestra “protetta” da un’inferriata, che le bloccava l’unica via di fuga, e la donna studiava un piano per uscire da quella situazione.
Non si era mai piegata ai ricatti, e non avrebbe cominciato certo ora!
Durante il viaggio di ritorno, Mr. Noir non aveva aperto bocca. Non gli andava di dover aspettare fino a domani per contattare gli Stagni. Comunque loro, quella sera, sarebbero stati rintanati in un cinema e quindi era impossibile scovarli, anche per la killer; ma lui era un uomo d’azione, e quindi non poteva stare fermo. Non poteva proprio.
Appena giunti a casa, Mr. Noir si rivolse a Elena. – Chiama subito il volpone del nostro cliente, e digli che dobbiamo parlargli –.
– Come sei serio ora; a momenti non ti riconosco! – esclamò lei, cavandosi di tasca il foglietto col numero di cellulare di Augusto Russo.
– Io sono il cacciatore della Cacciatrice, l’antitesi della killer: lei è Serena, io no! –
– Ecco. Ora sono sicura che sei proprio tu! –
Compose il numero, ascoltò per qualche secondo, poi increspò le labbra e avvicinò il telefono all’orecchio di Mr. Noir. Una voce femminile, calma e compassata, diceva “…Il numero da Lei composto è inesistente”.
– Ottimo! – disse. Con Serena Bonita a piede libero e un cliente del genere erano proprio messi bene!
Cominciò a pensare dove si sarebbe potuta nascondere la killer. Mise alla prova la sua assistente.
Elena sbuffò: immedesimarsi nella sua sosia cattiva non le piaceva neanche un po’, però poi cominciò. – Dunque: io sono una killer professionista, maga dei travestimenti, e ho bisogno per un po’ di tempo un luogo sicuro e insospettabile. Dove vado? In un albergo. –
– No. In un posto più intimo! –
– Una camera da letto? –
– Quasi. Un “Bed & Breakfast”. Discreto, tranquillo, sicuro!… Continua, e impegnati di più: puoi fare molto meglio!… Quali caratteristiche deve avere? –
– Devo uccidere un giudice, – rispose Elena, continuando a immedesimarsi nella killer, – quindi ho bisogno di privacy e di facilità di movimento coi mezzi pubblici; devo abitare abbastanza vicino al mio obiettivo, ovverosia il Palazzo di Giustizia, ma non troppo, e devo avere una camera singola –
– Ottimo!… E ora cerchiamo su Internet un B&B che abbia queste caratteristiche! –
Serena Bonita era come un animale in gabbia, e, come tutti gli animali predatori che non si possono sfamare, stava diventando feroce.
Ritornò con la memoria al passato.
Vito Puglisi era un boss malavitoso che viveva a Misterbianco, una località agricola in provincia di Catania, a capo di un traffico d’armi che mascherava con il commercio di grano.
Avrebbe continuato così, nei suoi illeciti affari, se una sera un certo assicuratore di nome Stefano Giuffrida non avesse visto Puglisi uccidere un uomo nella sua stessa villa dopo una conversazione compromettente.
Il boss se n’era accorto e aveva contattato Bonita per eliminarlo.
Lei si era documentata sulla vita dell’uomo; dopodiché, aveva dato il via alla caccia.
Ma l’uomo, anziché andare direttamente alla polizia, che gli avrebbe procurato morte istantanea, o tentare di rifugiarsi in luoghi da lui considerati “sicuri”, si fiondò nel primo portone aperto, trovando rifugio, aiuto, e salvezza.
Stefano Giuffrida testimoniò, e Vito Puglisi fu condannato.
Puglisi, però, aveva un figlio, Beppe, che controllava il traffico a Milano e procurava documenti falsi ai clandestini, che, non potendoli pagare, accettavano di effettuare certe consegne un po’ “particolari” gratis.
La donna sorrise. C’era solo un uomo che riusciva a riprodurre documenti perfettamente falsi. E Serena lo conosceva bene!
Vito Puglisi era stato condannato per omicidio, ma niente di più. Beppe Puglisi, invece, era rimasto immacolato, come un bambino; e ora, come un bambino, pensava di poter giocare con Serena Bonita.
Ma sarebbe stata la donna a giocare con lui!
La ricerca dei due detective in Internet aveva dato i risultati sperati. C’erano molti bed & breakfast a Milano, molti di più di quanti Mister Noir pensasse; un po’ cari, forse, dato che offrivano solo la colazione e un letto non commestibile per dormire, ma c’erano.
Tra i tanti, Mister Noir ne individuò uno, nel comune di Sesto San Giovanni, che sembrava proprio quello giusto: abitato da una famiglia con cui condividere il bagno, vicino alla metropolitana che in 15 minuti porta in centro, con camera singola abbastanza spaziosa con angolo di lavoro.
Elena aveva cercato di portare l’attenzione su Mr. Noir su altri possibili B&B, ma l’investigatore li aveva scartati tutti; compresi quelli, apparentemente più logici, che presupponevano la presenza di una persona sola, offrendo quindi la presenza di un solo potenziale testimone. Ma Serena Bonita, maestra dei travestimenti, si sarebbe presentata completamente diversa da com’era, e, stando a contatto con un’intera famiglia, avrebbe avuto più testimoni a descrivere una ragazza che non c’entrava niente con lei.
Ora, mentre stavano salendo in ascensore all’appartamento B&B, Mr. Noir notò che Elena guardava per aria e batteva il tallone del piede destro, impaziente.
Prima che il detective potesse aprire bocca, però, l’ascensore arrivò a destinazione e le porte si aprirono al sesto piano.
Restava solo un interrogativo. Cosa avrebbero detto per farsi aprire e, soprattutto, per carpire più informazioni possibili su Serena Bonita, che, all’insaputa dell’intera famiglia, probabilmente avevano ospitato?
Mr. Noir calcolò velocemente che, considerati gli avvenimenti legati al giudice Anioni, la killer doveva essere stata loro ospite almeno un mese.
Non avendo altri elementi decise di cominciare da lì. Era un po’ complicato trovare una scusa plausibile, non sapendo neanche il nome con cui si era presentata, ma in qualche modo avrebbero fatto.
Elena suonò il campanello. Una signora alta, snella, e dai capelli grigi ben tenuti, aprì quasi subito la porta. – Sì? –
Elena rimase interdetta per un istante, quando un bambino biondo, di circa cinque anni, le corse incontro a braccia spalancate e sorridendo. – Sylvie! Ciao, Sylvie! –
Elena, colta di sorpresa, si chinò verso il bambino e, improvvisando un perfetto accento francese, disse: – Io non sono Sylvie, mi dispiace!… Io sono Monique, sua sorella, e la sto cercando. Non è qui? Mi aveva detto che veniva qui. –
– No, è andata via un paio di giorni fa. Peccato. Era così brava! – rispose candidamente la signora. – Ma lo sa che Lei le assomiglia proprio?… Prego, entrate! –
Elena spinse il detective dentro casa, mentre il bambino guardava esterrefatto Mister Noir e la sua carrozzina a mano con quelle ruote così grandi.
Alle 8 di sera, la porta della cella di Serena Bonita si aprì, e un energumeno dalla testa rasata le ordinò di seguirla.
La donna si alzò dal letto, e lo seguì.
L’energumeno la fece camminare davanti a sé, sospingendola verso i lunghi e ampi corridoi, bianchi e luminosi.
La donna si guardò intorno, memorizzando tutto.
L’uomo la fermò davanti ad una porta, che aprì facendola accomodare.
Serena entrò in un immenso salone arredato in stile vittoriano. Individuò subito il boss, che la stava aspettando seduto all’estremità di un lungo tavolo posto al centro della stanza. Lei si accomodò all’altro capotavola, dove era apparecchiato.
Il padrone di casa prese un campanello alla sua sinistra, e lo suonò. Un cameriere comparve e cominciò a servire.
– Allora, signorina Bonita, il cognome che porta fa onore al suo aspetto. –
– Muchos Gracias! – esclamò lei, sorridendo e inchinandosi leggermente.
– Mi stavo chiedendo una cosa: Ma perché una professionista come lei, sempre attenta allo studio dei propri piani e a non lasciare tracce, si è fatta beccare così facilmente dalla polizia? –
– Anch’io mi sono chiesta una cosa – disse la donna, fissandolo intensamente negli occhi. – Ma non gliela dico! – E ricominciò a mangiare.
Tornato a casa e congedata Elena, il detective, dopo cena, andò al computer, cercando di collegare i fatti del celebre “caso Giuffrida” con quello che stava succedendo in quel momento.
Adoperando una tradizionale tastiera munita di scudo, ovvero di una griglia leggermente sopraelevata che impedisce di premere più tasti contemporaneamente senza volerlo, entrò nella cartella Documenti, e aprì, nell’ordine: Articoli, Nera, e Bonita; ovvero la cartella dedicata alla killer, con gli articoli che la riguardavano, scannerizzati da vari quotidiani e riviste.
Si concentrò su una foto di due anni prima in cui il fotografo, infischiandosene della privacy e della sicurezza altrui, aveva ritratto la moglie di Stefano Giuffrida nell’’atrio di un’aula del Palazzo di Giustizia di Catania.
“Il caso Giuffrida” l’avevano chiamato i giornalisti, dando maggior rilevanza al testimone-chiave che all’imputato in sé, facendo infuriare ancora di più quest’ultimo.
Il detective privato ingrandì il viso. La donna era ritratta di 3/4, ma non c’erano dubbi: la capigliatura era riccia, il volto più magro e spigoloso, ma gli occhi erano proprio gli stessi: quella donna, che la didascalia della foto presentava come Monica Giuffrida, moglie di Stefano Giuffrida, era la signora Stagni.
Mr. Noir, aiutato dagli articoli, riportò alla mente quel caso; un caso che aveva visto coinvolti lui, Elena Fox, e Serena Bonita.
FLASHBACK
Due anni prima. A luglio.
Mr. Noir si era concesso qualche giorno di vacanza, scegliendo un luogo lontano non solo da casa sua ma pure da se stesso.
Mister Noir capitò quindi a Misterbianco, curioso di vedere se era vero che due poli opposti si attraggono.
Era vero.
Ma non nel senso che sperava lui!
Una sera, quando era ospite della sua amica giornalista Giulia Desideri, piombò in casa un uomo, tutto trafelato e rosso in volto.
Era Stefano Giuffrida.
L’uomo cominciò a tartagliare, sostenendo affannosamente che aveva visto un omicidio e che ora una donna voleva ucciderlo; una donna che aveva telefonato tre volte e gli aveva lasciato altrettante rose nere.
Il marchio inconfondibile di Serena Bonita!
Mister Noir, che fino a pochi istanti prima s’illudeva di essere in vacanza, lo guardò male. – E perché non è andato dalla polizia? –
– Scherza??? Si tratta di Serena Bonita, non mi avrebbe mai fatto arrivare fin lì. –
Era vero. Serena Bonita era una leggenda, la Leggenda del Male, resa tale dai mass media. E chi aveva tentato di non farla divertire, non rispettando le sue regole, l’aveva eliminato all’istante.
– Dobbiamo chiamare la polizia! – chiese l’uomo.
– No. Prima risponda a qualche domanda: sono una giornalista. –
Mister Noir approvò. Se Giulia faceva le domande “giuste”, domandando all’uomo delle sua vita privata, delle sue conoscenze, e delle sue abitudini, avrebbero potuto giocare d’anticipo: lei avrebbe avuto il suo scoop, e lui avrebbe potuto catturare la Cacciatrice. E, per far ciò, occorreva destabilizzare la sicurezza della killer. E cosa c’era di meglio di una detective privata, cugina affezionata della vittima, che arrivava per difendere il malcapitato parente e beccare la famigerata killer?
Niente, esatto!
Quindi, Mister Noir se la inventò: prima che Giulia cominciasse a formulare le domande, lui le chiese di prendergli il cellulare; lei glielo prese, lo posò sul tavolo, e lui, col pollice della mano destra, compose il numero di Elena Fox, interrompendola dalla sua meritata vacanza.
Approdata a Misterbianco, Elena, seguendo un piano di Mister Noir, sfidò apertamente Serena Bonita, la Leggenda del Male, nota per i suoi mirabili travestimenti, dichiarando, attraverso i canali televisivi, che i suoi trucchi erano stati scoperti, che ormai sapevano dove beccarla, e che sarebbe stata proprio lei a consegnarla alla polizia. Così almeno imparava a importunare la sua “famiglia” e a rovinarle le vacanze.
Le panzane di Elena sortirono l’effetto desiderato: la killer s’innervosì, accettò la sfida della detective, e si fece sempre più ardita.
Non potendo seguire, come era sua abitudine, la sua vittima, cambiando spesso travestimenti, Serena fu costretta a cambiare tattica.
Basandosi sulle informazioni che aveva appreso su Giuffrida, la Bonita cominciò ad attentare ai luoghi che Giuffrida di solito frequentava, con lo scopo di stanare la sua preda, ma la preda non si faceva stanare, e, ogni volta che la killer lasciava come firma la sua immancabile rosa nera, Elena compariva in tv e la sbeffeggiava, ringraziandola per aver sterminato un nugolo di zanzare e rivelandole il luogo “esatto” dove si era rifugiato quel giorno suo cugino. L’informazione ovviamente era falsa, ma, riferendosi ai reali “punti di riferimento” di Giuffrida, riduceva automaticamente i luoghi dove Bonita poteva andare a colpire, eliminando, in un colpo solo, due luoghi: quello preso di mira quel giorno dalla killer, e un altro, scelto dai due investigatori.
Nessuno poteva sapere dove Giuffrida si era nascosto, e nemmeno la polizia poteva dedurlo, dato che si era tuffato nel primo portone che gli era capitato.
I due investigatori e la giornalista continuarono così, a registrare i messaggi di Elena su vhs e a inviarle alle varie tv, che regolarmente le mettevano in onda, diminuendo sempre più il numero dei possibili bersagli rimasti.
Serena Bonita perse ogni sua sicurezza e spavalderia, si sentiva braccata da tutti: per lei ogni volto poteva essere quello di un poliziotto o di un uomo di Puglisi.
Così, fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare: si dileguò, senza lasciare alcuna traccia, ma lasciando per la prima volta un lavoro incompiuto.
Stefano Giuffrida aveva testimoniato, Vito Puglisi era finito in prigione. Di Serena Bonita, invece, per due anni non si seppe più nulla.
FINE FLASHBACK
Mr. Noir si appoggiò allo schienale, completando il quadro con la sua immaginazione: Stefano Giuffrida era entrato nel programma Protezione Testimoni ed era stato trasferito a Castelletto Ticino, diventando Guido Stagni.
Serena Bonita, dopo due anni era tornata in Italia e aveva rintracciato Stefano Giuffrida, alias Guido Stagni, per ucciderlo. Non più per denaro, ma per puro “orgoglio professionale”.
Ecco quindi la risposta al quesito di Cordieri: Serena Bonita aveva deciso di perseguitare Guido Stagni per vendetta!
E, per essere proprio sicura che si capisse che l’esecutore era proprio lei, seguì la solita prassi: minacciando tre volte Stagni e lasciandogli tre rose nere come firma.
L’investigatore cercò di ricostruire i movimenti della killer.
Serena si era installata nella famiglia B&B, che continueremo a chiamare così per tutelarne la privacy, per tre mesi. L’ultimo mese l’aveva utilizzato per minacciare il giudice e attentare alla sua vita, ma gli altri due a cosa le erano serviti?
Mister Noir rifletté. In effetti, la visita che gli aveva fatto Bonita sotto le sembianze di venditrice di libri risaliva circa a tre mesi prima. Ma allora perché aspettare tutto quel tempo per mettersi in azione contro il giudice Anioni, per poi farsi beccare?
Su cosa aveva lavorato in tutto quel tempo?
Nella loro visita di quel pomeriggio alla famiglia B&B, che si era trasformata in un gradevolissimo Thè delle 5, la signora aveva parlato della loro presunta Sylvie come di una ragazza gentile, “a modo”; stava molto tempo in camera, e quindi la signora, ogni tanto, si permetteva di invitarla nel salotto per offrirle un tè e chiacchierare un po’.
Serena Bonita aveva previsto questa eventualità, e si era inventata una storia: Sylvie era una ragazza parigina che era venuta a Milano per fare praticantato in uno studio legale; avrebbe lavorato come assistente di un avvocato, proprio come aveva fatto suo padre quand’era giovane.
La signora, commossa da quel discorso e incuriosita dalla giovane, le chiese come mai passasse così tanto tempo chiusa in camera, e lei le rispose che doveva ascoltare le registrazioni di alcuni processi e prendere appunti.
Il bambino, attratto da quella ragazza dolce e carina, un giorno aprì la porta della camera di uno spiraglio, e sbirciò: Sylvie era seduta alla piccola scrivania ottocentesca posta in un angolo della stanza, impegnata a ripetere qualcosa che stava ascoltando nelle cuffie.
Il bambino non seppe trattenersi, gridò – Sylvie –, e le corse incontro. Serena, che aveva una notevole prontezza di riflessi ed era un’ottima attrice, si tolse subito la cuffia e lo accolse con uno dei suoi splendidi sorrisi.
Una volta raggiunta, il bambino indicò le cuffie, e domandò: – Musica? –.
– No, sono persone che parlano. Una barba!… Vuoi sentire? –
– Sì! – disse il bambino, accompagnando la risposta con un deciso gesto del capo.
Serena gli mise la cuffia, e l’espressione del bambino diventò molto accigliata, come se volesse impegnarsi a capire una cosa decisamente strana. (La stessa espressione, immaginò Mister Noir, che gli era venuta quando aveva sentito parlare l’investigatore per la prima volta.)
Subito dopo arrivò la signora, che sottrasse il bambino rimbrottandolo bonariamente.
Serena si rimise le cuffie, e, nelle simpatiche vesti di Sylvie, commentò: – Eh! Hai proprio ragione a fare quella faccia strana: non si capisce niente! –
Questo era quanto il detective era riuscito a ricostruire dal racconto della signora B&B.
Ora doveva collegare questi fatti agli ultimi avvenimenti riguardanti il giudice Anioni e Antonio Russo, il suo “impacciato” cliente. Avrebbe dovuto ricontattarlo, ma il numero di cellulare che gli aveva dato risultava inesistente.
Cercò sul sito delle Pagine Bianche, sperando che avesse anche un telefono fisso; ma, manco a dirlo, non fu così.
Cominciò a pensare a quali tipi di locali potesse bazzicare. Ne passò in rassegna un po’, fino a soffermarsi su uno in particolare; un locale che sembrava essere la fiocina degli esseri più diversificati di Milano, un porto di mare senz’acqua in cui si ritrovavano tutti gli uomini che si consideravano “di passaggio”: Il Gatto e la Volpe.
Telefonò subito a Elena, per andare a controllare con lei, ma il suo cellulare era spento.
Nel frattempo, nel salone della villa di Beppe Puglisi, a cena conclusa il cameriere servì alla killer una valigetta nera. Lei l’aprì: conteneva una parrucca, un paio di lenti a contatto azzurre, e due pistole di grosso calibro.
La donna alzò lo sguardo su Puglisi e disse: – E’ proprio sicuro che non le costi più quest’equipaggiamento della milionata che non vuole più recuperare? –
L’uomo rise. – Lei è molto spiritosa, Serena. Non credevo. – Poi, diventò subito serio. – L’accompagneranno quattro dei miei òmini, in macchina. Si fermeranno a cento metri dal locale dove Lei entrerà, ucciderà il quaquaraqua, e uscirà. Tornerà ca, i miei òmini mi confermeranno il lavoro svolto, e lei tornerà libera di volare come una colomba. Tutto chiaro? –
– Sì. –
Indice delle puntate del racconto Caccia alla Cacciatrice
1. rubriche/8825 (dal 2-11-2009)
2. rubriche/8826 (dal 3-11-2009)
3. rubriche/8827 (dal 4-11-2009)
4. rubriche/8828 (dal 5-11-2009)
5. rubriche/8829 (dal 6-11-2009)
La presentazione di Mister Noir di Sergio Rilletti è in rubriche/8901
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