Rimaniamo stabili negli anni Trenta, facendo la conoscenza di due autori, Manly Wade Wellman e Gladys Gordon Pendarves, che si sono lasciati ammaliare dal grande “gioco degli pseudobiblia”, pur non facendo parte della cerchia degli amici e colleghi di Lovecraft. È ovvio che non potevano essere totalmente esenti dalle influenze e dai temi che infiammarono tutta la stampa “di genere” dell’epoca, e va ricordato come Wellman citi due capisaldi lovecraftiani come il “Necronomicon” (nel racconto The Letters of Cold Fire) e la Miskatonic University (nel racconto Voice of the Mountain): entrambi però hanno creato pseudobiblia minori che non sono stati ripresi da altri autori, rimanendo propria prerogativa.
Nell’aprile del 1935 Manly Wade Wellman (1903-1986) pubblica su “Strange Stories” un racconto ricco di pseudobiblia: “Veglia” (Vigil che darà poi il nome ad un’antologia di suoi racconti), nel quale si trova uno dei molti personaggi “feticcio” dell’autore: il Professor Enderby.
Una sera una visitatrice coglie il professore mentre è intento a studiare un libro molto particolare: “Il Diavolo in Gran Bretagna e in America” di Ashton. Ma la discussione verte subito su altro libro, che la donna trova sul comodino del professore, il quale risulta essere rilegato in pelle umana! Enderby educatamente fornisce alla propria ospite la storia del libro: «Circa duecento anni fa, nel paese di Myersville dove lei ora alloggia, fu impiccato un uomo. [...] Era uno stregone. [...] Il libro che vede fu trovato in possesso di quell’uomo quando fu arrestato... un manoscritto che era già antico molto tempo prima dell’impiccagione. La rilegatura è più recente, probabilmente opera dello stesso stregone. E gli accusatori lessero solo poche righe dell’inizio, prima di consegnarlo a un pastore. Quell’uomo di chiesa decise che doveva essere sepolto, con adeguate preghiere. [...] Il libro fu dissepolto molti anni dopo. [...] Provocò numerosi guai. Tre anni fa giunse in mio possesso, dopo una sgradevole avventura.»
Salutata la visitatrice, Enderby ricomincia la lettura della parte finale della prefazione del libro: anche in questo caso merita veramente d’essere citata per intero ««Si ritiene che il frontespizio, prelevato dalla "Introductio in Chaldaicam Linguam" di Albonesi (Pavia, 1592), costituisca l’unico esempio di calligrafia satanica ancora esistente. L’autore sostiene che, a mezzo di una solenne evocazione, Ludovico Spoletano riuscì a materializzare il Diavolo e a strappargli l’impegno di scrivere una risposta chiara e leggibile a una domanda che gli sarebbe stata posta. Una forza invisibile si impadronì della penna, che parve sospesa in aria e vergò quanto viene riprodotto in fac-simile. La scrittura venne attribuita allo stesso Albonesi (il quale, tuttavia, confessò che nessuno era in grado di decifrarla) e fu riprodotta minuziosamente dal suo stampatore. Secondo alcuni esperti questi caratteri contengono tracce di Amharico, una lingua parlata nella sua versione più antica nella regione di Amhara (Etiopia), e che, stando alla leggenda, costituiva la lingua primitiva parlata nell’Eden.» Wellman, non c’è dubbio, sa come creare uno pseudobiblion che stuzzichi la fantasia del lettore.
La donna cederà all’impulso di rubare il libro in pelle umana, dando il via ad avvenimenti al limite dell’umano che solo il professor Enderby potrà affrontare.
Nello stesso racconto Wellman cita un’altra propria creazione: «“Casi scelti di contatti con streghe e stregoneria” del reverendo John Gaule, e l’anno stampato sul risguardo era il 1646.»
Nei racconti apparsi su “Weird Tales” sul finire degli anni Trenta, Manly Wade Wellman inventa alcuni personaggi “feticcio”, fra cui Keith Hilary Pursuivant, un giudice in pensione studioso dell’occulto nonché autore prestigioso in questo genere: la sua opera più famosa è il “Vampiricon”, il quale «parla delle credenze sui Vampiri nel Connecticut». Appare per la prima volta nel 1938 (in piena èra “pseudobiblica”), e dopo quattro racconti sembra scomparire, per riaffacciarsi nel 1979 con il racconto “La tomba” (Chastel).
Il racconto parla di un'operazione veramente singolare: la messa in scena di “La terra oltre la foresta”, un musical ambientato in Transilvania e che parla di vampiri! Il titolo non è scelto a caso, visto che si rifà ad un testo «scritto da Emily de Laszowska Gerard. Parla della Transilvania, la terra da cui proviene Dracula». Ricordiamo che la Gerard (1849-1905) fu autrice di alcuni scritti sul folklore transilvano che ispirarono Bram Stoker e il suo “Dracula”.
Ci sono dei problemi nell'allestimento del musical, e la storia permetterà a Wellman di citare di sfuggita i contenuti del suo pseudobiblico “Vampiricon”, giocando sul fatto che (come rivela l’autore stesso nell’introduzione) molti giornali locali del Connecticut hanno riportato avvistamenti e casi di vampirismo!
Insomma, Wellman gioca con la realtà e la finzione, creando una storia finta che si rifà a notizie vere su storie finte!
Non pago di aver inventato un libro e uno spettacolo musicale, Wellman cera anche dei versi, attribuiti all'autore ignoto dei "Misteri da tutti i paesi": vale la pena citarli. «Erano i cacciatori dei nostri cimiteri / Che a mezzanotte si raccolsero sulle nostre scale; / Succhiarono il nostro sangue, bevvero al loro / Sanguinoso banchetto, / E riempirono ogni anima di orrende paure...»
L’autrice britannica Gladys Gordon Pendarves (1885-1938) è invece specializzata in pseudobiblia senza nome.
Nel maggio del 1930 pubblica su “Weird Tales” il racconto “L’impronta” (The Footprint). «Il libro era stato scritto da un certo conte von Gheist e, ad una prima occhiata, sembrava una raccolta di racconti umoristici che avevano, come protagonisti, sognatori e mistici del secolo scorso. E proprio questa era la trappola... era scritto con uno stile cinico ed elusivo, grazie al quale von Gheist accalappiava le sue vittime»: questa la presentazione del libro senza nome protagonista del racconto, un libro che (ripete sin dall’inizio l’io narrante) porterà alla rovina chi lo leggerà.
Il protagonista e il suo sfortunato amico Jerry decidono di eseguire uno strano rituale riportato dal libro, così in determinate circostanze recitano: «Phlagus! Taram! Zoth! / Fonti di tutte le conoscenze, volontà e poteri! / Dal Toro Errante e i Quattro Corni dell'Alter, / Trapassate il velo della mia oscurità...» Non è prudente giocare con rituali che non si conoscono, insegnano i romanzi di genere, e così i due sono protagonisti di un’inquietante apparizione satanica!
Ma a volte il Diavolo viene aiutato: si scopre infatti che von Gheist altri non è che il nonno di Jerry: «Quel libro è stato scritto da mio nonno! L'ha lasciato come ultima arma perché io la usassi contro me stesso!» A poco varranno gli sforzi dei protagonisti: Jerry è ormai in balia di forze sataniche che lo perderanno!
Un altro pseudobiblion senza nome, intriso di elementi diabolici, è quello protagonista del racconto “Il Signore del Fuoco” (Abd Dhulma Lord of Fire, 1933), pubblicato sempre su “Weird Tales”. In esso, l’americano Warren è ad un passo dalla fama imperitura: ha messo le mani su degli antichissimi manoscritti trovati nella tomba del sultano Izzard ben Kari, ma proprio prima di iniziare a tradurli è diventato cieco! Un’antica maledizione, sicuramente, e Warren non sa cedere quando un uomo gli propone di riavere la vista per un anno in cambio dell’anima... Non è certo un uomo qualunque: si tratta del sacerdote Abd Dhulma, che calca questa terra da secoli e secoli, un essere demoniaco che si nutre delle anime umane.
Warren però accetta: ha troppa voglia di tradurre quegli antichi manoscritti! Resterà colpito quando, traducendoli, scoprirà che ciò che gli è capitato lo accomuna proprio a chi ha scritto quei testi: «Abd Dhulma, il Signore del Fuoco, ha innalzato le sue barriere intorno a me, cosicché io non riesca ad allontanarmi da lui e dalla fine che mi attende. La mia vita è giunta al termine.»
Ma è proprio in questo manoscritto senza nome, depositario di una sapienza perduta, che Warren troverà la chiave per combattere e sconfiggere Abd Dhulma quando questi verrà a reclamare ciò che gli spetta.
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