Sei uno dei cofondatori (l’altro è Marco Cassini) della casa editrice minimum fax (www.minimumfax.com) che deve il nome al fatto che nel 1993, ancora in embrione, raggiungeva i suoi lettori sotto forma di rivista via fax. Ci racconti un aneddoto di quel periodo?
Un corso di scrittura, che si teneva in un pub romano il pomeriggio. Conobbi il mio socio, che lo organizzava, e con lui scrittori veri, acclamati e aspiranti, tra i quali alcuni si sarebbero affermati di lì a pochi anni. Si creò un bel gruppo, e un facile accesso a materiali inediti, testimonianze, interviste. Da qui la voglia di fondare una rivista, ma eravamo senza un soldo, quindi nessuna possibilità di distribuzione né di sostenere costi tipografici. Era il Natale del ’92, il mio socio acquistò il primo Mc Powerbook, che aveva fra le sue funzioni il Fax manager, un programma che impaginava e sparava fax. Da qui la sua idea di distribuire per via telefonica su abbonamento i numeri della prima rivista via fax spediti sulle “rotative domestiche” degli abbonati.
C’è qualche errore che avete fatto allora, per via dell’inesperienza, che ora non rifareste?
Tutti quelli possibili, ma per fortuna allora gli errori costavano poco, producevano pochi danni economici. La rivista in sé comunque era già una buona palestra: aveva per unità di misura ogni grado della orologeria produttiva editoriale: fra gli altri, la periodicità, l’impaginazione, l’editing, la grafica, la correzione di bozze, l’acquisizione dei diritti.
Quanto, invece, la passione, la caparbietà e la determinazione di due giovani appassionati di scrittura e lettura, hanno influito nel buon esito del vostro progetto?
Abbastanza anche nella chiave dell’incoscienza. Un mercato come quello del libro in Italia di fronte ai nostri mezzi era impensabile accostarlo. Per anni abbiamo lavorato solo per passione. Una realtà aziendale vera è propria si è costruita gradualmente, nel tempo.
Le iniziative parallele all’editoria libraria (attività teatrali, reading, corsi di scrittura e di editoria) arricchiscono il lavoro della casa editrice o sono fondamentali per essere in linea col mercato?
Lo sono per misurarsi con altri linguaggi, per guardare in faccia gli appassionati e osservare le loro reazioni, e di certo anche per finanziarsi. Per uscire dallo specifico letterario. Fare l’editore oggi significa ascoltare e osservare tutti i linguaggi in evoluzione, quello teatrale, il cinema, la musica, le arti figurative.
Se tu dovessi condensare la casa editrice in pochissime parole caratterizzanti, destinate a un biglietto da visita, cosa scriveresti?
minimum fax, editore indipendente, ancora libero di stampare. Una sorta di epitaffio, ma l’aria che tira è questa.
Secondo te è vera la previsione che, fra non molti anni, il fatturato più importante per le case editrici, sarà realizzato in formato elettronico scaricabile solo via internet?
No. Che i contenuti d’autore avranno diversi supporti oltre al libro e che questi cresceranno, sì. Altrimenti il libro sarebbe già dovuto essere stato ammazzato e sepolto da altri medium dominanti, radio, internet, e tv. Sono vettori che si integrano. Qualsiasi contenuto è frutto di scrittura, si parte sempre da là. Anche se in contesti diversi, il libro ha ancora parecchia strada da fare.
Cosa ne pensi della pubblicazione, da parte di grandi case editrici, di libri commerciali firmati da soubrette, calciatori, ex concorrenti del grande fratello?
Niente di bene, niente di male. Il gossip c’era pure nel Medioevo. É lo spazio enorme che hanno in libreria che preoccupa. I libri commerciali non vanno demonizzati di per sé. Tengono in piedi il fatturato dei librai. Il rilievo che gli viene dato oscura quanto di buono viene fatto dalle stesse grandi case editrici. É un boomerang, i lettori dei libri commerciali spariscono. I lettori forti sono quelli che hanno un’esigenza di lettura che ha una vera durata nel tempo. Quindi sono quelli la vera risorsa, che viene seppellita da tanti libri di nessuna qualità.
Nella collana “Sotterranei” compaiono nomi di musicisti come Lou Reed, Leonard Cohen, Pete Townsend, Suzanne Vega, Miles Davis, Thelonious Monk e Chet Baker. Qual è la sintonia tra musica e narrativa?
L’innovazione, la capacità di trasformare un canone preesistente per non subirlo passivamente come un’inevitabile eredità, questa capacità è la stessa in Miles Davis come in David Foster Wallace. Molti musicisti dichiarano nelle loro autobiografie di essere dei raccontatori, degli story teller. Molti scrittori hanno un grandissimo senso del ritmo e del suono nella loro scrittura.
Ti rivolgo la medesima domanda a proposito della collana Cinema.
La stessa cosa. Sono gli autori che a loro modo hanno lasciato un segno forte, per il quale il cinema dopo di loro non è più stato lo stesso. La loro libertà di sguardo ha generato stili nuovi fondamentali per la crescita espressiva dei loro successori.
Tra le collane ne spicca una interamente dedicata a Carver. Quali sono i punti in comune tra la sua poetica e l’impostazione letteraria della casa editrice?
La cura dei dettagli in un libro è un atto di attenzione, una sorta di amore, che costruisce comunità di lettori che restituiscono questa forza affettiva in senso inverso, sotto forma di altra fiducia e attenzione. L’essenzialità della riscrittura di Carver (che ironia della sorte in inglese vuol dire “incisore”) è stata per noi una lezione importante in questo senso, anche al di là della letteratura stessa.
Tra i circa 400 titoli del catalogo Minimum Fax ti chiedo: qual è il più sofferto (e perché)
“La posizione della missionaria” di Christopher Hitchens, un libro di forte critica su Madre Teresa, un’inchiesta seria e dura su questo personaggio. Qualche problemino ce lo ha procurato. Uscì un giorno prima della sua morte, e fu reso in blocco dai librai. Tre anni dopo, riproposto, ebbe un successo forte, ed è tuttora ristampato, fu poi seriamente preso in considerazione da Woytjla per la famosa causa di beatificazione, tanto che Hitchens fu interpellato come “avvocato del diavolo” per sentire le sue obiezioni.
Qual è quello che ha dato più soddisfazioni in termini di vendita (e perché)
“Revolutionary Road” di Richard Yates. Un capolavoro letterario assoluto, ha avuto un’esplosione al di là delle aspettative, grazie anche alla felice concomitanza con l’uscita del film diretto da Sam Mendes, con Di Caprio e Kate Winslett, tratto dallo stesso romanzo.
In termini di critica (e perché)
“Il tempo materiale” di Giorgio Vasta, il più bell’esordio nella nostra collana di narrativa italiana.
La rassegna stampa di questo libro sul sito www.minimumfax.com parla chiaro, un evento vero e proprio. Uno scrittore del quale si percepisce forte che ha un presente e un futuro.
Quello con cui avete più osato (e perché)
L’avventura della traduzione per primi in Italia di David Foster Wallace. Sia lui, l’autore, che i suoi agenti letterari sostenevano la sua intraducibilità. Il corpo a corpo con i suoi testi di traduttori come Martina Testa hanno dimostrato il contrario.
Un libro pubblicato da altri che tu avresti voluto pubblicare
Qualsiasi libro di Philip Roth.
Ci ragguagli sulle ultimissime pubblicazioni?
Appena uscita l’autobiografia di Tito Stagno scritta con Sergio Benoni. Una galoppata sugli eventi più importanti del secondo Novecento, vissuti sulla pelle di un ragazzo sardo che da un giorno all’altro si trova inviato in prima linea con Kennedy, Aldo Moro, lo sbarco sulla Luna.
Intenso, per scrittura e densità aneddotica.
Ci anticipi qualcosa delle prossime uscite?
“Vita di Eduardo” di Maurizio Giammusso, che uscirà il 3 novembre in occasione del 25ennale della morte di De Filippo. La biografia definitiva, curatissima, introdotta da uno scritto inedito di Dario Fo, che fu autore all’epoca dell’orazione funebre per la sua scomparsa.
E poi “To be or not to bop”, l’autobiografia di Dizzie Gillespie, un genio della tromba e della musica jazz.
E “La fine degli Ebrei” di Adam Mansbach, grande promessa della nuova narrativa angloamericana. Un romanzo importante, che farà parlare tanto di sé.
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