Lo spionaggio è un filone della narrativa di intrattenimento presente in libreria ancor prima di essere classificato tale. Dai romanzi di Buchan (‘I 39 scalini’) a certe avventure di Arsenio Lupin all’’Agente segreto’ di Conrad gli elementi della spy-story, il romanzo di intrigo politico-avventuroso ci sono già tutti. Personalmente ho sempre considerato la spy-story come una derivazione del nero a volte contaminata con l’avventura d’azione. Insomma un grande contenitore che permette agli autori una grande varietà di spunti e sfaccettature con cui sviluppare storie e personaggi. L’eroe della spy-story più strettamente legata al Pulp e alla narrativa di evasione ha molti tratti in comune sia con il cowboy dei ‘ dime novel’ che con l’eroe di guerra o il detective privato. Fondamentalmente rientra nella categoria dell’eroe solitario. Non tragga in inganno il fatto che l’agente segreto abitualmente risponda al capo e, tramite questi, a un Servizio segreto. Anche nelle serie dove il classico schema della ‘famiglia allargata’ sembra essere applicato con maggior efficacia, l’eroe, al momento cruciale,è sempre solo. Un esempio? L’agente 007 cinematografico ( più che quello letterario che ha una componente noir ripresa solo negli ultimi film con Craig) è un po’ il figlio ribelle ma ‘speciale’ dell’MI6. M rappresenta una figura paterna, burbera quanto si vuole ma benevola, Mathis, i vari residenti, Tanner e persino l’armaiolo Q sono degli zii, i colleghi(spesso meno esperti e destinati a una cattiva sorte) sono fratelli mentre Moneypenny, segretaria del capo innamorata ormai rassegnata alla castità, è la zia di volta in volta benevola e maliziosa. Colleghe di ogni rango che cadono nella trappola del fascino dell’eroe sono le classiche “cuginette”... con cui non è peccato. Struttura rassicurante tipica dello spionaggio avventuroso e manicheo che colloca il bene dalla parte dell’eroe. Sembrerebbe tutto molto definito sennonché l’indole stessa dell’eroe lo spinge verso vendette private, azioni spericolate contro i regolamenti e qualche volta a confrontarsi con il tradimento, di solito perpetrato da uno dei “fratelli”(ricordiamo Trevelyan in ‘Goldeneye’ o Amanda Frost in ‘Die Another day’. Curioso è che, anche in uno scenario più realistico e nero, come quello che ritroviamo nei romanzi di Le Carré l’eroe non si accontenti di essere solo persino contro la sciocca burocrazia dei suoi colleghi gelosi intrallazzoni (più di una famiglia di parenti serpenti riproducono il mondo del lavoro in cui anche il lettore normale può trovare punti di contatto) la spia resti un duro. Forse non nel fisico che spesso è men che atletico e sulla via della vecchiaia ma dello spirito. John Smiley, l’epitome dell’eroe di Le Carré, è un uomo anziano sulla soglia della pensione che tutti immaginiamo curvo,con sciarpa e bombetta. Soffre per amore (il tradimento di Ann rischia persino di fargli perdere la ragione in servizio) eppure ha qualcosa di duro, spietato. Chi non ricorda il selvaggio scambio di pugni nel finale di ‘Lo specchio delle spie’ (film di Lumet dove aveva un altro nome) in cui il protagonista scarica tutta la sua rabbia sulla talpa dei russi tra gli inglesi, l’uomo che ha sedotto sua moglie pur di metterlo su una falsa pista. Smiley diventa duro quanto Bond, scaltro, senza sentimenti se non l’istinto del combattente.
Come prima regola l’eroe (o anti eroe) è solo. Il secondo cardine di questo genere di avventura è l’assoluta incertezza che domina lo svolgimento della trama. Conseguenza diretta della condizione del protagonista cui accennavamo e legame più evidente con il noir. La spy-story diventa così una vicenda da incubo in cui sia lo scenario glamour che quello più tetro e realistico si rivelano disseminati di trappole, false informazioni,professioni di amicizia, lealtà e amore totalmente fittizie. È logico che, per mescolare meglio le carte, ci siano anche amici sinceri e donne innamorate ma, fondamentalmente emergeranno dopo un’iniziale ambiguità. Il protagonista vive quindi una paranoia continua. “non fidarti di nessuno” o addirittura “il nemico siamo noi” diventano temi fondamentali. Non ci sono ideali, la guerra dell’ombra diventa un Gioco non solo figurativamente ma anche letteralmente. Molte volte senza un reale perché. Anche il migliore agente è una pedina sacrificabile e, spesso, il ricordo dei vecchi tempi in cui si sapeva chi era il nemico vengono evocati come un’età dell’oro di mitica memoria. Ma, come tutte le età dell’oro, scopriamo che non è mai esistito un tempo in cui i nemici avevano i cappelli neri ei buoni quelli bianchi. Se esaminiamo l’evoluzione della Spy Story nelle varie epoche che hanno generato filoni differenti raramente troveremo situazioni di netto contrasto. Negli anni della Guerra fredda si trovano romanzi con agenti provenienti dall’intelligence militare che rimpiangono la partita delle spie della seconda guerra mondiale e oggi, in piena epoca terroristi dopo la caduta del muro vecchie spie dell’est e dell’ovest sembrano rimpiangere gli anni 60. La verità è che senza l’inganno, la disinformazione, i traditori, la spy story non potrebbe esistere.
Altro elemento distintivo è la presenza femminile che, sin dai tempi di Mata Hari e di Madame Claude ha sempre aggiunto quel pizzico di ‘pepe’ necessario a ravvivare l’intreccio. Che si arrivi agli estremi erotici a luci rosse di SAS o si passi per le femmes fatales di ‘Casablanca’ e dei film di Hitchckok, dalle Bond Girl alle maggiorate deii flm di Andy Sidaris, il personaggio femminile gioca un ruolo fondamentale nel conflitto tra i personaggi quanto nell’intreccio. Non è solo un suppellettile come spesso si è detto,è un motore importante della vicenda. Ovviamente come per i personaggi maschili ci sono comparse e protagoniste. Lucy in la cruna dell’Ago è un esempio di personalità femminile forte, se vogliamo una preda sessuale combattuta trai protagonisti, ma anche elemento risolutore della vicenda. E se nei vari 007di maliarde destinate a “sesso di sera e morte la mattina” ce ne sono molte, personaggi come Vesper Lindt o Fiona Volpe hanno un ruolo ben preciso. Sono le dark ladies del noir in versione energica, armate di pistole e lame avvelenate, forse più provocanti, ma decise a restare al centro dell’azione. È la famosa ‘ trappola del miele’ così comune nella narrativa quanto nella realtà dello spionaggio di ogni epoca. C’è poi un altro’ topic’ irrinunciabile in questo primo sguardo sulla narrativa di spionaggio. La fascinazione per le armi, i gadget, gli improbabili ordigni di distruzione dal raggio della morte alla superbomba, sono elementi irrinunciabili. Se pure nella famosa pistola allungata dal silenziatore di 007 c’è innegabilmente qualcosa di fallico la questione non è così semplice. Prima di tutto lo spionaggio vero, sin dalla Seconda guerra mondiale, ha fatto uso di strumenti di intercettazione, di armi celate in oggetti qualunque e tecnologia avanzata. Negli anni 60 c’era il mito della radioattività - e la paura della bomba-, oggi il computer fa tutto e un po’ viene da sorridere se pensiamo alle macchine fotografiche nascoste dentro penne, pipe, anelli delle vecchie spie se pensiamo che con un semplice cellulare possiamo fare e spedire immagini all’istante. Di fatto nello spionaggio l’agente ha sempre un rapporto conflittuale con armieri e tecnologie. L’agente senza nome di Deighton non si fa lavare il cervello, Bond preferirebbe la sua vecchia piccola Beretta alle nuove armi imposte dal maggiore Boothroyd, persino Ethan Hunt di ‘Mission impossibile’ deve ricorrere alla sua inventiva e umanità quando i gadget non funzionano. Non per niente sono sempre i cattivi a usare lame nelle scarpe, laser mortali, bombe-fine-di-mondo. L’agente segreto, fedele al suo modello di eroe solitario, alla fine distrugge con estremo piacere le macchine infernali che sono appannaggio di organizzazioni dittatoriali o folli capitalistiche cercano di distruggere il mondo. Tutto un patrimonio di situazioni che sarebbe errato definire luoghi comuni. Come già mi è capitato di dire, nulla esiste davvero di nuovo, tutte le storie sono già state raccontate. Il punto è come ci vengono narrate, con quanto cuore e capacità di coinvolgimento. E alla fine il narratore pulp è un cuoco che usa ingredienti e spezie già esistenti con una sua particolare ricetta.
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