Ritorno a Bassavilla è un estratto, selezionato da Daniele Bonfanti, delle Cronache di Bassavilla pubblicate in passato su www.carmillaonline.it, una rubrica che, come ha dichiarato Danilo Arona, era situata «a metà strada tra il giornalismo alla fiction, tra la ricerca “curiosa” alla Charles Fort e l'elzeviro dotto delle Bustine di Minerva del mio illustrissimo concittadino Umberto Eco». Un tributo alla città di sempre, quindi, alla Macondo piemontese che è Alessandria, una città che assurge a negazione della città, un città sfuggente, impalpabile e impenetrabile soprattutto quando si tratta di lambirne le sfumature attraverso fantasmi e arcani. Un luogo geografico preciso che perde nitidezza nel momento in cui diventa letterario e nel momento in cui l’evento viene trasposto in bacheca cronachistica. Così Matteo Righini, nel suo saggio all’interno del volume, curato da Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, “I luoghi della letteratura italiana”, ha dato una spiegazione alla suddetta negazione: «La difficoltà di parlare della città in termini di “luogo letterario” sta nel fatto che la città moderna, come si è venuta sviluppando approssimativamente negli ultimi due secoli, non è un luogo.»
Bassavilla è un non-luogo, appunto, è i propri dintorni, le cronache, le ombre, gli spiriti che fanno spallucce alle tecnologie e alle miscredenze, Bassavilla sa far scomparire le certezze così come lei stessa è riuscita ad apparire dal nulla, tra le paludi, il primo giorno della sua genesi, grazie a una sinergia magnetica: «Bassavilla è stata costruita su una Sincronica Maggiore, una delle più potenti linee di scorrimento, e molti dei suoi abitanti vedono fantasmi e prevedono catastrofi. É una specie di talismano che pulsa in un certo modo. Sotto è piena di gallerie che conducono in strani posti con strani altari. Da quelle parti viaggiano le idee.» Un libro metaletterario che sa di storia, di horror, di giornalismo, di leggende antiche e recenti e il punto di partenza è ancora lei, quella Melissa ossessione non solo dell’autore ma anche di tutti coloro che, volenti o nolenti, vi si sono imbattuti.
Uno stile scorrevole, fluido, a tratti divertito, è stato utilizzato da questo seminatore di inquietudini che è l’autore, come lo ha definito nella quarta di copertina Valerio Evangelisti, anticipando ciò che ha sciolto subito dopo, quando ha proiettato il senso dell’inquietudine in una dimensione che è straniamento e distanziamento dalla realtà ordinaria: «(Danilo Arona) spezza i confini del quotidiano e ci sposta sull’orlo di abissi vertiginosi, popolati da fantasmi e infestati da strane entità. Sulla base di coincidenze, di prove, di analogie, di episodi tanto insoliti quanto documentati.» Arona, da bravo giornalista quale ha più volte dimostrato di essere, ci tiene ad argomentare le stranezze di cui la sua terra è stata (ed è tuttora) scenario ed ecco così una serie di date, luoghi, nomi, testimonianze incontrovertibili a sostenere i misteri delle sue pagine. Il lettore come me, quello scettico, se lo ripete: son solo coincidenze, autosuggestioni, leggende. Però il lettore come me ogni tanto viene scosso, chiude il libro, ci pensa, ci ripensa: mai sarà poi vero? E se fosse? E se fosse semplicemente che i nostri sensi non sono in grado di categorizzare eppure sentono, a volte? E se valesse il discorso quantistico di cui altre volte Arona ha rivestito di parvenza scientifica le stranezze interdimensionali? Già, perché se ci si appella alla scienza, allora i santi tommasi mandano giù lo sciroppo più facilmente. Non che questo libro abbia finalità di conversione, figuriamoci. Però qualche brivido lo mette. E quando si arriva alla fine, come ha comprovato Daniele Bonfanti nella sua seducente introduzione, «diventa impossibile resistere alla tentazione di saltare in auto, imboccare l’uscita per Alessandria, e scrutare –sperando e temendo insieme- se dalla nebbia sbuca d’improvviso il cartello “Bassavilla”.»
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