Sangue del mio sangue è il terzo romanzo di Salvo Toscano con protagonisti i fratelli Corsaro, coppia ben assortita di segugi atipici – un avvocato e un giornalista – che questa volta si trovano invischiati in un omicidio dai risvolti politici.
I libri dello scrittore/giornalista siciliano (soprattutto i primi due, Ultimo appello e L’enigma Barabba) sono, a una prima lettura, molto “easy”: caratterizzati da una scrittura fresca e ironica e un’ottima caratterizzazione psicologica dei protagonisti, uno l’opposto e complementare dell’altro, che da soli basterebbero a mandare avanti la storia, tanto sono “sfiziosi”.
Ma con quest’ultimo capitolo della serie, com’era giusto aspettarsi, c’è qualcosa di più: il gioco dei contrasti diventa ancora più marcato e, sul loro sfondo, appare un ritratto della Sicilia di una lucidità talmente vivida che sorprende e spiazza. Sotto la leggerezza narrativa si nasconde un realismo quasi spigoloso.
Sei d’accordo?
Sì, direi di sì. Tengo molto a mantenere una certa “leggerezza”, nel senso calviniano del termine, che in questo romanzo credo comunque ci sia. Ma c'è anche tanto marcio e guasto della mia terra, e dell'Italia in genere, che avevo necessità di raccontare.
Abbiamo un protagonista che difende anche dei mafiosi. Hai solo voluto rafforzare la verosimiglianza di un personaggio o cos’altro? Ho avuto come l’impressione che sei voluto andare contro alcuni stereotipi di certa letteratura impegnata (tipo personaggi senza esitazioni morali).
Beh, guardi gli avvocati di certa letteratura e pare che gli manchi solo l'aureola. L'avvocato non è un missionario, esercita una professione che qui a Palermo può voler dire anche difendere dei mafiosi. Ho amici avvocati che lo fanno e sono persone perbene. Parlare con loro e ascoltare il loro disagio mi ha ispirato.
Il rischio di apologia è sempre dietro l’angolo, però, infido e insidioso. Come evitarlo?
Con la forza della verità. I miei personaggi sono autentici e sinceri. E quando l'avvocato nella sua parte racconta dei clienti mafiosi credo che emerga molto netto il suo giudizio sul fenomeno mafia.
La mafia, nelle storie dei fratelli Corsaro, rimane quasi sempre sullo sfondo. Certo, non perde di importanza, ma sembra quasi che tu voglia dire al lettore: guardate che non è come credete.
Direi che nelle prime due storie la mafia non c'era proprio. Qui si vede ed è una presenza ingombrante. Di romanzi e saggi incentrati sulla mafia sugli scaffali delle librerie i lettori ne trovano quanti ne vogliono. Ci può essere un altro modo di raccontare la Sicilia? Io credo di sì. Soprattutto credo che sia interessante soffermarsi sulla cultura dell'illegalità, che è un fenomeno più ampio di quello mafioso. Anzi, la mafia ne rappresenta solo un aspetto.
Attraverso Fabrizio Corsaro, il fratello giornalista, sottolinei una flessione nella qualità dell’informazione, soprattutto nella carta stampata. È un tema che tiene banco proprio in questi giorni. Come scrittore e giornalista, ti chiedo: quanto siamo messi male?
Direi malissimo. Sui telegiornali sorvolerei per carità di patria. Quanto ai quotidiani, che comunque sono letti da una sparuta minoranza, trovi un'omologazione e una superficialità che fanno cadere le braccia.
Possibili vie d’uscita?
Non ne vedo di semplici all'orizzonte. Questo Paese avrebbe bisogno di uno shock culturale, mi sembra alquanto narcotizzato. Molte persone si informano coi settimanali che un tempo si leggevano dal parrucchiere. E nessuno sembra reagire più a niente. La gente non si indigna più.
Vedo, in quello che scrivi, delle note camilleriane, soprattutto nell’attenzione che hai per i vernacoli locali. Confermi?
Non saprei. Io uso il dialetto con più parsimonia e generalmente lo utilizzo solo nei dialoghi, perché voglio che i miei personaggi parlino come effettivamente parla la gente. E in Sicilia molti concetti si esprimono in dialetto anche tra persone che parlano normalmente in italiano. Ad ogni modo, di Camilleri ho letto molto in passato, adesso un po' meno.
Altri punti di riferimento?
Ho letto e leggo molto giallo e noir italiano. Chi preferisco? Scerbanenco su tutti, ma anche il Lucarelli dei romanzi storici, Carlotto e tanti altri. E poi mi piace molto il sense of humour tipico di certi narratori barcellonesi, giallisti e non. Mi sento vicino a loro, in qualche modo.
Fai un grande uso di citazioni cinematografiche e musicali. Sono solo omaggi oppure parte integrante della narrazione?
In Sangue del mio sangue ce n'è una in particolare molto funzionale. E riguarda Bud Spencer e Terence Hill. Certo, fa più chic citare Roth, magari, ma l'amore deve affrancarsi dal pudore. E io i film di Trinità li amo alla follia.
Nelle tue storie il cibo ha un ruolo tutt’altro che marginale. Ho subito pensato a Pepe Carvalho e a Fabio Montale, grandiosi personaggi nati dalla penna di Manuel Vázquez Montalbán e di Jean-Claude Izzo. Come immagini una cena tra loro e i fratelli Corsaro? Cosa mangerebbero e soprattutto di cosa discuterebbero?
Penso che dopo qualche divagazione finirebbero per parlare di donne, ciascuno a suo modo. In fondo, c'è forse un tema più interessante e gradevole per una conversazione tra uomini? Quanto al menu, ci vedrei bene tanto vino rosso, magari un syrah, una caponata per cominciare. E poi pasta con pomodoro, melanzane fritte e pescespada. Al secondo di pesce sarebbero già tutti e quattro alticci, soprattutto Roberto. Li vedrei bene in un ristorantino vista mare con le tovaglie di carta sui tavoli. Dove si mangia senza vergogna. Carvalho ne sarebbe entusiasta, soprattutto con un buon liquore a fine pasto.
Lo scinderti nei fratelli Corsaro, che intanto crescono e vanno avanti, quanto ha pesato nella tua vita reale e, viceversa, quanto pesa la tua vita sulla loro?
C'è molto di mio nelle vicissitudini dei fratellini. Soprattutto nel vissuto di Roberto, l'avvocato. Ma col tempo i due Corsaro hanno acquistato vita propria e si scrivono da soli i loro romanzi. Alle volte dicono cose sulle quali io non sono d'accordo, ma fanno di testa loro.
Pensi di lasciarli un po’ in standby, i cari fratellini? A quando un romanzo senza di loro? Credi che prima o poi sia un passo che ti interesserebbe fare?
Credo che i tempi siano maturi per una cosa del genere. Se i fratellini lo permetteranno. Loro hanno sempre urgenza di raccontarsi.
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