- Cristo santo – commentò Paolo – Che gran figlio di puttana.
- Già – concordò l’uomo, la cui espressione gelida e distaccata ora ricordava decisamente Bogart - Un vero figlio di puttana.
Paolo annuì, pensieroso. Lo sconosciuto si accese un’altra Camel e lo fissò sornione.
- Avanti, ragazzo. Chiedimelo.
Touchè, pensò Paolo.
- Che cosa scelse Andrea?
- Bingo. Eccoci tornati al nostro discorso – disse l’uomo, sorridendo – Come ti dicevo, scegliere è oggettivamente difficile, specie in alcune situazioni. Alcune volte non si vorrebbe scegliere proprio, come nel caso di Andrea. Tu cosa avresti scelto?
Paolo provò a figurarsi la scena e vagliò tutte le soluzioni.
- Non ne ho la più pallida idea – concluse alla fine.
- Finché non ti ci trovi non potrai mai dirlo, infatti, ma rimane una scelta oggettivamente difficile. Però puoi sempre pensarci su.
- Significa che non mi dirà com’è andata finire, vero?
- Vero. Oltretutto si è fatto tardi, a quanto vedo.
In effetti, era mezzanotte passata. L’uomo con l’impermeabile si alzò dalla sedia, tirò fuori una banconota da cinquanta euro e la appoggiò sul bancone.
- Offro tutto io, non preoccuparti. E’ stato un piacere chiacchierare con te – disse.
- La ringrazio, anche per me è stato un piacere. Però mi tolga una curiosità.
- Sentiamo.
- La storia che mi ha raccontato è vera?
- E’ così importante il fatto che sia vera o meno, ai fini del nostro discorso? – replicò l’uomo. Paolo, un po’ interdetto, non rispose.
Intanto, il vecchio Antonio spuntò fuori dal retrobottega. Lentamente, tornò al bancone e mise via il bicchiere vuoto dello sconosciuto.
- Grazie di tutto, Antonio. Ci vediamo alla prossima.
- Alla prossima, tatuato – rispose Antonio, facendo un cenno di saluto con la mano.
- Arrivederci, giovanotto. Stammi bene.
Paolo osservò l’uomo con l’impermeabile uscire dal locale, mentre ancora ripensava a quella storia incredibile e convincendosi che quell’uomo fosse molto più Humprey che Colombo. Si rese conto che aveva ancora il bicchiere mezzo pieno e che gli era passata la voglia di bere. Anche la delusione per il suo appuntamento andato male era meno cocente.
- Sembra un tipo in gamba – disse poi Paolo al barista, porgendogli il bicchiere.
- Il tatuato? Si, credo che lo sia – rispose Antonio.
- Non conosce il suo nome? Credevo foste amici di vecchia data.
- Viene qui saltuariamente da quasi tre anni, ma sinceramente non gli ho mai chiesto come si chiamasse e lui non me lo ha mai detto. Così lo chiamo semplicemente Tatuato.
- Buffo, però. Uno che indossa un simile impermeabile non mi pare tipo da tatuaggi.
- Da quello che ho visto, ne ha uno solo, sull’avambraccio sinistro. Una rosa rossa, per la precisione.
- Una rosa rossa… - ripetè Paolo sottovoce.
Sconcertato, si chiese una volta ancora se la storia delle tre bare fosse vera. In silenzio, si alzò dalla sedia e si sistemò la giacca, a capo chino.
- Tutto bene, giovanotto? – chiese Antonio.
Paolo rassicurò il vecchio e lo salutò. Uscendo dal locale, pensò che avrebbe dovuto scegliere cosa fare l’indomani. Forse telefonare ad Angela.
O forse era molto meglio andare in libreria. Magari Wilde non era proprio una palla.
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