“Si può anche uccidere per lei”, il titolo di uno degli episodi migliori di Sin City di Miller. Rilettura a fumetti di uno degli archetipi del nero, la dark lady. Diciamocelo sinceramente: senza le donne, le ragazze sick, non ci sarebbero storie noir, né divertimento. Christophe Gans commentava una sequenza particolarmente riuscita di Crying Freeman in cui appariva Shimada Joko seguita dall’occhio indiscreto della telecamera: “A volte penso che il cinema sia stato creato dagli uomini per poter filmare e riguardare le donne all’infinito”. Pienamente d’accordo. Anche nella scrittura. Nel nero le figure femminili sono numerose e tutt’altro che stereotipate o ridotte a ruoli marginali. È vero che ‘la damigella in pericolo’ è un classico (ma più del romanzo d’avventura o del western tradizionale) e che la fidanzata di Dick Tracy si chiamava Tess Trueheart (cuore puro o sincero a seconda di come vi sembri più appropriato!), ma sono le ragazze cattive a segnare autori e protagonisti. La protagonista della ‘Fiamma del peccato’ è l’archetipo della donna calcolatrice, abile nel manipolare gli uomini giocando con un groviglio di sentimenti e attrazione sessuale. La donna ‘marcia dentro’, feroce eppure in qualche modo indifesa, maledetta. Quella che ti spinge a ucciderne il marito o l’amante per poi rigirare tutto contro di te. È un classico del nero. Da ‘Femme fatale’ a ‘Brivido caldo’ sino a ‘The Hot Spot’, il nero trabocca di queste figure femminili. Personaggi amati e odiati la cui personalità s’intreccia con quella di altre figure femminili come la ‘Dalia Nera’, vittime e ossessioni di epopee come quella di Ellroy. Ma ci sono anche figure assolutamente fuori regime, oscure e assassine spietate. Elektra, Ma’Baker le protagoniste di ‘Cosa avete fatto a Baby Jane?’ e ‘Piano piano, dolce Carlotta’. In pratica l’universo immaginario noir si popola di donne perdute, volitive, disperate, tenere e brutali che sembrano dominare le trame dei romanzi e dei film. La pupa del gangster ha sempre qualcosa di sottilmente elusivo, un mistero da scoprire che tiene avvinto sia il buono che il cattivo che il cattivo di turno perché, entrambi sono uomini quindi vulnerabili al fascino femminile. Con l’uomo appunto la dark lady gioca rivelando solo a metà le cose, celando i segreti e suggerendo passioni. Sempre Gans osservava che in quegi adorabili film noir pieni di dialoghi in auto o in fumosi locali l’interazione tra uomo e donna, ancor prima che su un piano sessuale, si gioca sugli oggetti. C’è sempre un feticcio, una bottiglia, una sigaretta, un accendino o anche una pistola, che passa da una mano all’altra. Oggetti che creano legami, mostrano ciò che non si vuole (o non si può) dire. Ricordiamoci che in America nel cinema il famigerato codice Hays imponeva un’auto censura che diventava più rigida soprattutto in materia di sesso. Allora sfiorare il collo di una bottiglia, accendere una sigaretta,aprire la portiera di un’auto diventavano gesti simbolici, fortemente allusivi. E chi non ricorda la famosa sequenza di sesso tra Nick Fury e Val, riassunta in quella pistola inserita nella fondina appesa al bracciolo di una sedia accanto al letto? Se il sesso a volte esplicito fa un po’ parte della regola del gioco, in altri casi è sufficiente una provocazione. Nell’immagine più esteriore del pulp, la copertina, la ragazza con lo sguardo ardente, possibilmente in lingerie con la pistola è diventata quasi d’obbligo. E non solo nel romanzo di spionaggio di stampo jamesbondiesco. Sfogliando le cover dei vecchi pulp degli anni ‘30 e ‘40 ma anche delle riviste d’avventura nate dopo la Seconda guerra mondiale l’elemento sessuale, perverso rappresenta un richiamo irrinunciabile. E, alla fine, non v’è nulla di male. Le signorine ammiccanti da quei servizi e da quelle cover, giocavano sapendo di avere in mano le carte vincenti. Negli anni ‘60 Longanesi pubblicava in edicola un periodico chiamato ‘Suspense’ in cui infilava noir e western aggiungendo servizi (veri o costruiti ad arte) con procaci signorine, reportage sui postriboli di cuba, la tratta delle bianche e le torture cui venivano sottoposte bionde fanciulle occidentali dalle terribili spie comuniste. La figura femminile, oggetto feticcio ma non semplice soprammobile- casomai il contrario! - è parte dell’immaginario pulp e non c’è da vergognarsene. Tempo fa un editor (dei quel genere che non mi piace, ossia quelli che pubblicano certe cose solo perché vendono ma in realtà sono convinti di esserne ben al di sopra) ironizzava sulle cover dei miei romanzi su Segretissimo. “Ma non ti vergogni un po’ che i tuoi libri abbiano delle copertine un po’ da... spogliatoio maschile?” No, non mi vergogno,, proprio come credo che non si vergognasse Spillane esibire le gambe della moglie in ‘Dog, figlio di...’ Spogliatoi maschili? Immagini da calendario per camionisti? Certo. Posti veri di gente vera. Che ho frequentato e frequento. Persone che leggono il pulp. Persone per cui, alla fine, scrivo. La vergogna appartiene a chi si tinge di nero o di giallo solo perché quello è il modo per vendere (credono) e in realtà ci propina scemenze varie senza capo né coda.
E tornando all’argomento di questa nota, una riflessione sui miei libri quanto su quelli di autori più noti e bravi di me. Vi siete mai chiesti come mai i ruoli meschini, vili, spregevoli siano sempre riservati agli uomini mentre le donne, per quanto perfide, mantengono sempre una loro dignità di persone? In ‘Gangland’ Yamaguchi chiude la partita sparando in testa ad Antonella un colpo di pistola. “Lei è una donna coraggiosa”. E, nell’universo del noir, non sono parole che si pronunciano a vuoto.
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