Forse Frank Miller ha fatto cose migliori. Spirit cattura solo parzialmente le atmosfere di Sin City del quale pare un episodio troppo lungo e non perfettamente ritmato. Ma coglie lo spirito del fumetto dello stesso Miller e di quello di Eisner che è stato un cantore del Pulp Hard Boiled. La città non è imbellettata come una sgualdrina. È come una vecchia puttana, che non nasconde le rughe, le cicatrici. Sa di odori, di profumi, di corruzione, di liquore e di scarichi. Ha una storia. È una madre, è un’amante, una complice. Con l’eroe dell’Hard Boiled ha un complesso rapporto di odio e amore. Il peccato e la redenzione. Pensa a lui, lo protegge e al tempo stesso lo vincola con un legame che non si può recidere.
Quando il West scomparve dalla mitologia dei Pulp o quantomeno lasciò spazio a eroi solitari, vagabondi ma inurbati, la Città divenne lo sfondo ideale per storie di sangue e violenza, seduzione e tradimento. Non c’era neppure bisogno che la Città fosse identificata con un luogo fisico reale anche se New York, Los Angeles, San Francisco, Detroit sono state portate con altrettanta efficacia dell’Isola di Ed Mc Bain. Ma perché limitarsi all’America che pure è stata patria dell’Hard Boiled della prima ora? Parigi, Amburgo, Hong Kong, Berlino, Marsiglia e perché no, Milano o Barcellona, sono palcoscenici di quella tragedia umana che si chiama ‘crimine della strada’. Il detective, il poliziotto, il gangster, la pupa, il poveraccio trascinato in un intrigo più grande di lui, l’ex galeotto in cerca di redenzione, il pugile fallito... persino il Punitore si muovono in questo luogo-non luogo dove è la Folla, anonima, olezzante, indistinta, ad affollare le strade. Di giorno e di notte. Tra i fumi degli scarichi, i vapori dei riscaldamenti sotterranei newyorkesi ma anche nelle paludi della periferia, i miasmi del porto o delle fabbriche abbandonate. La Città nutre e si nutre delle avventure dei suoi eroi-anti eroi. Ed è proprio dallo sfondo urbano, fatto di metropolitane, vicoli, sopraelevate, tetti, luci notturne di locali e banchi dei pegni quanto di case da ricchi, che nascono i personaggi dell’Hard Boiled. Informatori, sbirri, belle maliarde, allibratori, gangster. Ciascuno di questi personaggi archetipi esce da una porta. Da un edificio che costituisce una sorta di corsa a ostacoli di ogni vicenda. Che si tratti di un assassinio, di un colpo alla banca, di un ricatto o semplicemente di un delitto passionale o di una vendetta, i personaggi scaturiscono dagli scenari che la città offre come set. Non solo il night, il vicolo ma anche i moli del porto, il mercato del pesce,i garage che celano sempre dei bui sottoscala dove ‘la banda’ si riunisce. L’acqua è un elemento fondamentale. Non solo la pioggia che pare essere la condizione climatica ideale del nero ma anche quella del mare, del fiume che attraversa la città. Un serpente liquido dal quale affiorano corpi, in cui si scompare con le scarpe di cemento o ci si salva con un tuffo in una macchina in fiamme o anche trapassati di pallottole(come succede a Max Payne...). Lo scenario suggerisce intrecci e gli intrecci si legano tra loro attraverso personaggi che s’incontrano nei luoghi più strani. Un sottile gioco a incastro che il narratore conosce perché lo ha vissuto. È in questo modo che si suggella il patto tra chi scrive e chi legge. Il delitto della Scuola dei Duri si allontana dal palcoscenico del Mystery che era la magione avita, il paesino britannico- luoghi dell’immaginario anche questi con miti e regole propri- per scendere su viali umidi di pioggia, nebbiosi. Tra insegne di Diner o locali notturni più vicini al lettore di questo tipo di narrativa. La storia poi può essere inverosimile, complessa (pensate al ‘Lungo addio’ ricavato da diversi racconti usciti su Black Mask che neppure Chandler sapeva ricostruire esattamente per il regista John Huston alle prese con la continuità da filmare...) ma deve svolgersi entro scenari abituali, percorsa, anche solo trasversalmente, da gente comune, persino meschina,ordinaria. Questo per far spiccare i protagonisti ma creare anche un legame di verosimiglianza che il lettore possa accettare. Un lettore che cerca evasione ( e non vuole semplici cronache troppo simili alla sua esistenza ) ma allo stesso tempo pretende che l’emozione scaturisca da un territorio conosciuto. Come se il ‘thrill’, il ‘fremito’, possa scaturire da dietro l’angolo, cambiando la sua esistenza, così con la disinvoltura che caratterizza l’incontro casuale con una vecchia conoscenza. E la Città è lì, per fornire un sostrato, come una musica di sottofondo, per rassicurare il lettore che quello è il suo mondo. E in questo modo chi legge accetta che il narratore-eroe ( spesso nella Pulp Fiction coincidenti) frequentino ritrovi notturni, periferie abbandonate, gente pericolosa. L’autore si assume questo carico come l’eroe accetta di essere preso a pugni e pistolettate ma anche di baciare donne fatali e affrontare brutali criminali. Il lettore se ne sta lì, a leggere, rapido dalla vicenda ma senza rischio. Tutti, come diceva Melville nei ‘Senza Nome’: “vivono in un cerchio rosso”.
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