Suzuko (Yu Aoi), esile come uno stelo travolto dal vento ma tenacemente intenzionata a resistere, a ventun’anni conosce già il peso del destino. È appena uscita di prigione, dove è finita con l’accusa di furto per un’amara casualità: il suo scortese coinquilino le aveva buttato via un gattino, e lei per vendicarsi gli aveva gettato via la borsa, non sapendo che contenesse dei soldi. Quella scelta apparentemente insignificante dettata dalla rabbia segna la sua vita per sempre, arrivando anche a guastare i rapporti familiari: ormai ha la fedina penale sporca, e non solo gli estranei o i conoscenti, ma anche i genitori e il piccolo fratellino Takuya (Ryusei Saito) si dimostrano impietosi con lei. Scacciata da tutti, senza amici e senza un vero motivo che la spinga ad avere fiducia nell’umanità, Suzuko decide di cercare un lavoro fuori Tokyo (che le ricorda troppo l’assurdo incidente che l’ha portata in prigione) e di accumulare soldi fino ad arrivare a un milione di yen, cifra con cui dovrebbe riuscire a coprire tutte le spese per affittare una casa e cominciare finalmente a vivere. Unico filo rosso che legherà le tappe del suo viaggio fra loro saranno le lettere che, come promesso, spedirà al fratellino, apparentemente spietato con lei ma altrettanto vessato dalle crudeltà della vita.
Il viaggio intrapreso da Suzuko è diviso in tre tappe diverse, sia per caratteristiche geografiche che per implicazioni esistenziali: la prima tappa è uno stabilimento balneare, dove la ragazza prepara gelati che tutti trovano buonissimi. Purtroppo, nonostante la ferma decisione di non avere a che fare con l’umanità se non lo stretto necessario per la comunicazione quotidiana, Suzuko è costretta ad andar via per via delle inopportune attenzioni di un ragazzo, che prima la invita a una festa sulla spiaggia, poi addirittura vorrebbe diventare la sua anima gemella. Come spiegargli che lei non vuole avere alcun contatto con il genere umano, per evitare di bruciarsi e magari finire ancora in prigione?
Ma la seconda tappa non va certo meglio: passando dal mare alla montagna, Suzuko si stabilisce in un paesino di anziani la cui sussistenza dipende dalla raccolta delle pesche. Le sue mani sembrano quelle di una raccoglitrice modello, e il sindaco e tutti gli abitanti decidono di comune accordo di eleggerla come testimonial per pubblicizzare il villaggio e attirare turisti. L’umanità sembra ostinarsi a non voler lasciar vivere Suzuko tranquilla, non solo disturbando il suo progetto di solitudine ma addirittura minacciando di far riemergere il suo passato: se apparisse in televisione, tutto il Giappone verrebbe a sapere della sua condanna, e non potrebbe più farsi una nuova vita. Questa volta, per allontanare lo sguardo molesto degli altri non le basterà allontanarsi come ha fatto con i genitori o con il ragazzo dello stabilimento balneare: alle insistenti e assillanti richieste degli abitanti del villaggio montano non potrà che opporre la durezza della verità, per cui, delusi, dovranno lasciarla andare per forza. A questo punto, scartati mare e montagna, Suzuko non può che riprovare a portare avanti il suo progetto in città, a un’ora di distanza da Tokyo.
A differenza delle altre due, la nuova tappa costringe Suzuko a fare i conti con se stessa e con il bisogno naturale che ognuno, lei compresa, avverte: avere contatti veri con un altro essere umano. Trovato un lavoro presso un negozio di articoli per la casa, Suzuko scopre un’inaspettata affinità con il collega Nakajima (Moriyama Mirai), timido e solitario come lei. Forse ha finalmente incontrato qualcuno che intuisce il suo dolore senza volerlo condannare? “Sorridi come se fossi nei guai”, le dice Nakajima osservandola imbarazzata in mezzo agli altri colleghi, e lei gli rivela tutto. Le parole, invece che provocarle sofferenza, la aiutano a liberarsi e a capire che forse il viaggio, oltre che una fuga continua e un tentativo di cancellare se stessa, può diventare qualcosa di più, un modo per trovare un suo posto nel mondo. “Non devi scappare da me,” le dice ancora Nakajima ormai innamorato, e Suzuko capisce che non si può fuggire dai sentimenti. Ma è davvero l’amore a poterla salvare dal destino e da nuove, probabili partenze? “Se incontri nuove persone,” scrive al fratello all’apice della vicinanza emotiva fra loro, “dovrai sempre affrontare gli addii.”
Al suo esordio alla regia, in One Million Yen Girl Tanada Yuki costruisce una bellissima storia il cui espediente narrativo principale - lo scambio di lettere tra sorella e fratellino, entrambe vittime apparenti del destino - permette ai personaggi di esprimere la propria evoluzione interiore senza forzature e con naturalezza. Ad emergere, oltre alla forte personalità di Suzuko, donna assolutamente scevra da compromessi e fino alla fine decisa a seguire il suo progetto di fuga trasformandolo in realizzazione di sé, è proprio l’intenso rapporto tra fratello e sorella, evidenziato dal parallelismo delle loro esistenze bistrattate. In particolare, va segnalata la sequenza in cui, nella prima parte del film, dopo aver subito inerme gli attacchi dei compagni a scuola, Takuya assiste a un attacco verbale ai danni di Suzuko da parte di alcune conoscenti. La sorella si mostra silenziosa e apparentemente rassegnata allo scherzo che il destino le ha tirato, ma poi riesce a reagire con forza alle accuse delle ragazze, e questo innesca una reazione in Takuya, portandolo a vedere Suzuko non più come una macchia all’onore della famiglia ma uno spiraglio di luce in una vita già piena di sofferenza nonostante la sua giovane età. Se da un lato però lui riceve conforto e sostegno da Suzuko sia in quel momento che nelle lettere che arriveranno durante il viaggio, giungendo ad opporsi alle angherie dei compagni, è anche Suzuko a subire una positiva trasformazione grazie alle parole che il fratello le scrive, riabbracciando finalmente la vita nelle sue infinite possibilità.
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