"Tutti qualche volta perdiamo un po' la testa" Il titolo richiama quanto dice Norman Bates a Marion Crane in una sequenza di "Psycho" di Alfred Hitchcock.

Faceva freddo.

I padroni dei cani, a spasso per i bisognini serali, andavano di fretta.

Strapazzavano i loro cuccioli tirandoli per il guinzaglio, incitandoli alla pisciata rapida, attenti a non allontanarsi troppo dal portone di casa, camminando svelti tra le panchine verdi e le macchine in sosta.

Nessuno di loro notò Arturo, a bordo di una vecchia Croma parcheggiata sotto un albero di Corso Sempione, era lì da quattro ore, senza autoradio, in compagnia di un Arbre Magique alla vaniglia impiccato allo specchietto.

Per un po' aveva combattuto la noia fumando, poi si era messo a fare i conti in tasca ai viados all'angolo, mentre il tempo non passava, si era grattato via con l'unghia dell'indice una macchia di sporco dai pantaloni, minuto dopo minuto annegava nel sedile della Croma, riempiendo il posacenere, cercando di pensare il meno possibile alle cose importanti.

Non ci riuscì, e alla fine valutò la possibilità di conquistare il mondo con un esercito di zombi atomici.

Teneva d'occhio da quattro ore un locale alla moda dall'altro lato della strada, l'uomo che aspettava era un cliente abituale.

Uscì a mezzanotte e venti, mentre Arturo era impegnato a ricordare sua nonna.

L'uomo si chiamava Mattia Vezzani, trentacinque anni, alto, abbronzato, in una mano le chiavi della Smart e nell'altra quelle del successo.

Salutò gli amichetti, rise un'ultima volta rispondendo al rigurgito di un tormentone televisivo, e si incamminò da solo, verso la sua macchina, avvolto in un cappotto da duemila euro.

Arturo lo riconobbe, prese il Machete che era posato sul sedile del passeggero e uscì dalla Croma.

La Repubblica, 3 dicembre 2004: "Decapitato con un machete, continua la striscia di sangue in Cispadania..."

- Gli ha staccato la testa.

- Roba da pazzi.

- Neanche un urlo, niente. l’omicida ha avuto tutto il tempo di filarsela.

- Ovviamente, niente testimoni.

- Esatto.

- In culo a me. E quei tre che stanno qua fuori?

- Amici di Vezzani. Erano i soli a essere seduti ai tavoli fuori dal locale.

- Fuori? Con ‘sto freddo?

- Hai presente quelle stufe a gas enormi? Quelle che sembrano dei cazzi fiammeggianti?

- No. E non hanno sentito, visto nulla?

- Io non li ho interrogati, ispetto’.

- Ve bene, va bene, Turi, fammeli entrare.

- Comandi! - l’agente Salvatore Crigno, detto Turi la Scimmia per la sua più che evidente peluria, sorrise.

- Vaffanculo - l’ispettore Belmonte accese una Nazionale senza filtro.

Scimmia sporse la testa fuori dalla porta sussurrando qualcosa. Subito dopo entrarono tre statue di cera ambulanti: bianchi come la carta, pupille dilatatissime e naso rosso.

- Uhm, un uomo e due porche - concluse tra sé e sé Belmonte, resistendo alla tentazione di inveire contro Turi che si esibiva, alle spalle dei teste, in linguacce e gesti da arrapato da bar.

L’ispettore li invitò a sedersi e i tre s’accomodarono sul divanetto in finta pelle poco distante dalla porta. Si guardarono smarriti l’uno con l’altro, storsero il nasino alla puzza immonda emanata dalla Nazionale. Crigno, in piedi in mezzo alla stanza, se ne avvide e pensò: "narici abituate a ben altro!"

- Sonia Carelli, Erica Base, Luca Sbobba - mano a mano che l’ispettore lesse i nomi sul rapporto, i tre alzarono la testa, - amici di Mattia Vezzani, leggo.

- Il Vezzi... bé, il Mattia era un caro... - Sonia, seduta in mezzo agli altri, scoppiò in un pianto isterico. I restanti due l’abbracciarono in perfetta sincronia.

- Si calmi, su. Crigno: vai a prendere un bicchiere d’acqua - disse Belmonte, premuroso come una Barbie-infermiera di plastica. Le budella intanto gli si torcevano. Dopo cinque anni di servizio in nord Italia non riusciva ancora ad abituarsi agli articoli prima dei nomi propri. "Il Mattia"». A lui, calabrese, parevano una bestemmia linguistica.

- Comandi! - rispose Crigno squillante come una tromba, uscendo dall’ufficio mentre tratteneva malamente una risata.

- Testa di cazzo d’una Scimmia! - pensò l’ispettore spegnendo la sigaretta nel posacenere.

Qualcosa gli diceva che da quei tre non avrebbe cavato nulla di utile per le indagini.

- Accendi la tele ma’ - farfugliò Arturo trangugiando i suoi spaghetti al ragù.

Esaudito il desiderio del figlio, la madre tornò a immergersi nel suo mare di bollette armata di occhiali da presbite.