L’impressione, da parte del lettore attento, è che in questo testo vi sia molta cura anche per i particolari. Cito un esempio, ma ce ne sarebbero molti altri: il primo capitolo si intitola “Quien es? Quien es?”, ovvero le ultime parole pronunciate da Billy the Kid poco prima di morire. Quanto tempo hai impiegato, tra lavoro di ricerca e stesura della sceneggiatura?Tutta una vita e niente. Nel senso che sono appassionato di western sin da piccolo e la storia dell’ovest americano mi ha sempre affascinato. Quindi tutte le nozioni che mi servivano per scrivere questa storia le avevo già acquisite per passione personale.
Come hai deciso di introdurre l’idea dei pelleossa?
Tutta la storia ruota intorno all’idea di realizzare una commistione tra il genere western e le apocalissi zombesche di Romero e dei suoi seguaci. La domanda che mi sono posto è stata la seguente: perché la maggioranza delle storie a base di zombie è ambientata ai giorni nostri? Come avrebbe reagito una società diversa da quella attuale a una situazione in cui i morti tornano alla vita?
Il tema dell’amicizia come valore così forte che travalica l’omicidio. É possibile solo nel fumetto?
In realtà il tema dell’amicizia virile, con sfumature omoerotiche più o meno esplicite, è uno dei temi cardine del genere western, basti pensare a film come “Il Mucchio Selvaggio”, “Pat Garrett & Billy The Kid”, “Il Mio Corpo ti Scalderà” e via dicendo. Io non ho fatto altro che iscrivermi in quella tradizione narrativa.
Cosa c’è di così affascinante nel delinquente Billy the Kid?
Billy, nella trasfigurazione mitologica, è una figura archetipa: il ribelle senza una causa, il fuorilegge che sta dalla parte dei poveri e degli oppressi e si scontra con i poteri forti, il perdente, l’anti-eroe romantico e via dicendo. La verità storica su William Bonney, in realtà, ci racconta tutto un altro personaggio, molto distante dalla sua versione romanzata.
A essere sinceri, tra i due personaggi io preferisco di gran lunga Pat Garrett: un uomo reale, compromesso, dolente e tristemente conscio che i suoi tempi sono finiti, che il progresso è arrivato e che la frontiera non esiste più.
Billy the Kid e Pat Garrett non sono proprio ai due estremi: cosa li accomuna e cosa li separa?
In realtà, nel mio volume (come in tante altre opere a loro dedicate) i due personaggi sono i due lati della stessa medaglia. Pat e Billy condividono lo stesso sentire, amano le stesse donne, odiano gli stessi uomini... ma, a un certo punto della loro vita, hanno fatto scelte diverse che li hanno portati a schierarsi su fronti opposti. Billy non ha accettato il cambiare dei tempi, rimanendo a suo modo “puro”, ma pagando il prezzo di questa scelta con la vita. Garrett è sceso a compromessi, salvando la pelle ma perdendoci l’anima.
Oltre alla copertina di Carnevale, ai disegni hanno lavorato altri 3 fumettisti. Ci elenchi le peculiarità che ciascuno di essi ha dimostrato di possedere per quest’avventura?
Ho lavorato spesso con Riccardo Burchielli, Werther Dell’Edera e Cristiano Cucina e quando mi è venuta in menta la storia di “Ucciderò ANCORA Billy The Kid” ho pensato che i loro segni distintivi sarebbero stati perfetti per illustrare le varie fasi della storia. Il tratto delicato ma anche istintivo e potente di Riccardo, la asciutta incisività del disegno di Werther e il dettaglio, ricco e corposo di Cristiano, hanno modellato alla perfezione tanto gli scenari che avevo in mente, quanto le emozioni che volevo evocare.
Tu ti sei occupato delle chine dei primi due episodi. In un lavoro di questo genere le luci e le ombre sono così importanti perché sottendono anche al conflitto tra la vita e la morte?
Ho realizzato le chine dei primi due episodi disegnati da Werther e mi sono divertito un sacco nel cercare di conferire drammaticità e atmosfera alle scene. Il lavoro della chine è fondamentale per la riuscita di un buon fumetto ed è per questo che molto spesso i disegnatori (specie quelli europei), preferiscono non delegarlo. Werther mi ha fatto un grande onore nel lasciarmi chinare una parte delle sue pagine, facendomi così prendere parte anche all’aspetto visivo dell’opera.
L’idea di un west selvaggio, dedito alla sopravvivenza, è stata resa benissimo. Ci racconti i ferri del mestiere?
Conoscere a fondo prima di tutto il genere (che in questo caso è il western e l’horror) e poi il contesto storico. Con una forte conoscenza di questi due elementi, il resto viene facile perché si potrà scegliere quanto aderire a certi schemi consolidati del genere e quanto starne alla lontana o sovvertirli e, grazie alla conoscenza storica, dare corpo a tutta la vicenda.
Nei rapporti uomo-donna vi è un’ambivalenza di fondo. Pat Garrett, ad esempio, sembra misogino ma dimostra anche una grande delicatezza. Come si risolve la questione?
Il genere western, specie lo “spaghetti western” si è sempre contraddistinto per un certo sadismo nei confronti della figura femminile e io ho voluto rendere omaggio a questo aspetto, non tralasciando però anche la lezione dei western più classici, quelli della grande Hollywood, che hanno saputo tratteggiare delle splendide donne della frontiera. Il risultato è una strana amalgama in cui Pat e Billy sono, allo stesso tempo, attratti e respinti da figure femminili indipendenti che cercano, in ogni modo, di riuscire a sopravvivere in un ambiente estremamente ostile per loro.
Quali emozioni hai provato scrivendo questa storia?
Mi sono divertito. Come mi capita quasi sempre.
Ci anticipi il tuo prossimo progetto?
Ho concluso da poco la saga legata al Mondo Emerso di Licia Troisi, continuo a scrivere Dylan Dog e John Doe e sto sviluppando un nuovo progetto per le edizioni BD di Marco Schiavone.
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