«Una volta, un cliente appassionato di chimica ermetica mi incaricò di ritrovargli la bibliografia citata da Fulcanelli e dai suoi adepti. Non ci fu modo di convincerlo che metà di quei titoli non erano mai stati scritti». Questo brano da “Il Club Dumas” di Arturo Pérez-Reverte illustra allo stesso tempo due grandi passioni letterarie: quella di molti autori di inventare libri inesistenti, e quella di molti lettori di credere che questi esistano veramente.
In questa rubrica, che inizia oggi, si tratterà della prima “passione”: si parlerà cioè di “pseudobiblia”, di quei libri che... non esistono! O, per meglio dire, che esistono soltanto nelle pagine scritte degli autori che ne hanno immaginato l’esistenza. È un divertissement letterario, un gioco di specchi in cui un libro esistente parla di un libro inesistente; è anche un escamotage molto valido per dare autorevolezza alle scelte del protagonista di una storia, che agisce non in base al proprio istinto (irrazionale) bensì perché ha trovato “informazioni” su un certo libro (razionale).
Paradossalmente, però, proprio perché inesistenti gli pseudobiblia hanno infiammato l’immaginazione di schiere di appassionati che hanno ceduto alla “seconda passione”, quella cioè di convincersi della loro esistenza. Il caso più famoso è quello del “Necronomicon”, libro uscito dalla fantasia di H.P. Lovecraft e ripreso, a metà fra la citazione e l’omaggio, da altri scrittori suoi contemporanei e successori, fino ad arrivare a riscuotere talmente tanta fama che oggi molti (in buona o cattiva fede) sono convinti sia un libro vero.
Come il “Necronomicon”, di cui si parlerà più avanti, molti altri pseudobiblia sono legati all’occulto e quindi è facile trovare fonti che li diano per libri veri, esistenti, anche se nascosti o persi; libri che regalano a chi li possieda fortuna, felicità, lunga vita e prosperità. Se ciò sia vero, non sta a questa rubrica stabilirlo. Qui si parlerà solo ed esclusivamente dell’ambito letterario degli pseudobiblia.
Come introduzione, ecco qualche accenno alla nascita del termine.
Pseudobiblia è un neologismo formato dall’unione di due parole greche: pseudo, “mentire”, “ingannare”, e biblia, plurale di biblíon, “libro”. Va specificato che i greci distinguevano fra bíblos e biblíon: il primo è il libro fisico, il secondo è l’opera scritta che questo contiene. Gli pseudobiblia, quindi, sono “libri ingannevoli”, ma anche “libri falsi”...
Da ricordare, infine, che la parola deriva dal greco, non dal latino: il singolare, quindi, non è pseudobiblium, come a volte erroneamente è attestato, bensì pseudobiblion.
Il neologismo viene inventato dal celeberrimo scrittore di fantascienza Lyon Sprague de Camp (1907-2000). Il 29 marzo 1947 appare sulla rivista “The Saturday Review of Literature” il suo articolo “The Unwritten Classics”. In Italia il testo viene rielaborato e riportato (senza specificarlo!) nell'appendice "I libri che non esistono" (1972), citata più avanti; nel 2007 Paolo Albani ripropone il testo, in lingua originale, all'interno del suo “Biblioteche immaginarie e roghi di libri”, Palladino Editore).
«Fra i libri del tutto reali e quelli del tutto irreali - introduce de Camp - esiste una terra oscura di libri che sono e non sono allo stesso tempo: libri non finiti, libri persi, apocrifi o pseudoepigrafi (falsamente attribuiti). I più reconditi di tutti sono quei libri che non sono mai stati scritti, ma che esistono solamente come titolo, con magari qualche estratto riportato in opere di narrativa o pseudosaggistica». Questi "classici non scritti", continua de Camp, hanno avuto un'attiva carriera letteraria, malgrado la loro non esistenza! È ora di dar loro un nome: «chiamiamo questi non-libri pseudobiblia».
Il saggio prende in considerazione il "Libro di Thoth", il "Libro di Dzyan" e il "Necronomicon"; si chiude con una nota decisamente scherzosa: «A chi non può permettersi gli incunaboli [cioè libri stampati], raccomando di collezionare pseudobiblia: non esiste forma più economica di raccolta letteraria».
Negli anni ’70, gli scrittori (e famosi curatori di antologie) Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco aggiungono alla definizione di de Camp anche quei libri inventati da autori di letteratura fantastica. Nella loro appendice a “I libri maledetti” di Jacques Bergier, dal titolo “I libri che non esisono” (Edizioni Mediterranee, 1972), gli autori ricalcano l'articolo di de Camp, approfondendo le notizie sui libri perduti di cui si hanno notizie solo grazie a citazioni altrui.
Nel 1986, in appendice a "L'orrore di Cthulhu" (Fanucci), Domenico Cammarota allega il saggio "Gli pseudobiblia di Cthulhu", trattando di quei libri citati dai tanti racconti dell'occulto e dell'orrore in generale. In questo saggio l'autore divide gli pseudobiblia in varie categorie: in questa sede si è volutamente scelto di ignorare queste categorie, e di trattare questi non-libri dal loro punto di vista squisitamente letterario e narrativo. «Non è la letteratura in toto - si chiede il Cammarota stesso - ad essere finzione? E tutti i personaggi di tutti i libri esistenti, non sono anch'essi il frutto dell'immaginazione?»
Non ce ne vogliano dunque gli amanti dell'occulto e del mistero: in questa rubrica non verranno trattati libri come quello di Thoth o di Dzyan (con buona pace di Sprague de Camp!), libri cioè che vengono usati (in buona o cattiva fede) come basi per operazioni che di letterario non hanno nulla. Si riporterà invece l'attenzione su quei libri volutamente inventati da scrittori di ogni epoca e nazione: libri "falsi" che danno loro la possibilità di rendere più "reali" le proprie storie! Che poi alcune di queste creazioni siano diventate talmente famose da essere ritenute reali, è un altro discorso...
Va specificato infine come questo non sia uno studio né autorevole né tanto meno conclusivo sull’argomento: è solo un appassionato “invito alla lettura”.
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