La prima domanda parte dal tuo nome. O meglio, dal soprannome: perché Wolf?
Anzitutto, grazie a te e a tutti voi di TM per questa nuova opportunità di dialogo. La storia del “Wolf” è un po’ quello che gli americani chiamano un “inside joke”, vale a dire una battuta autoironica. Confesso di avere il “culto del lupo”, con tutti gli annessi e connessi metaforici del caso. Il mio indirizzo e-mail e password assortite ruotano attorno alla parola “wolf”. Alcuni personaggi dei miei libri si chiamano in effetti Wolf, o Wulf. Da qui all’ “inside joke” il passo e’ breve. Un ottimo autore italiano che è anche mio ottimo amico ne ha addirittura tirato fuori un acronimo: BBW, Big Bad Wolf, grosso lupo cattivo. Oops!
La trilogia di Magdeburg uscita per Corbaccio (“L'Eretico”, 2005- “La Furia”, 2006 e “Il Demone”, 2007) è ambientata nella Guerra dei Trent’anni, un conflitto che dilaniò l’Europa moderna per trent’anni, fino al 1648 e che portò, tra le altre conseguenze, a una contrazione economica, a un calo demografico e alla frammentazione germanica (mi riferisco a qta zona in particolare perché qui è ambientata la trilogia). Le domande sono varie: perché la Germania? Perché proprio questo periodo storico? Ho parlato delle conseguenze perché, durante la lettura del romanzo, è come se tra le righe venissero preannunciate, come una sorta di profezia in negativo. É così?
Fatte le debite preporzioni, la Guerra dei 30 Anni rimane il conflitto più catastrofico della storia europea. Come ho sottolineato fin dal principio di questa esperienza narrativa, fu l’equivalente rinascimentale di una guerra nucleare.
A proposito di questo libro, si è parlato di materialismo storico, concordi?
In pieno. Ritengo sia essenziale riconoscere che le radici di ogni guerra sono avidità e potere, spesso coniugate in un unico elemento distruttivo e auto-distruttivo. Nel trittico di “Magdeburg” ho cercato di trascinare questo concetto alle conseguenze piu’ estreme.
Ai tuoi romanzi è riconosciuta la capacità di padroneggiare la struttura narrativa e di indirizzare il flusso della lettura in senso continuo e convergente verso lo scorrere della scrittura. Ti chiediamo quali sono i tuoi ferri del mestiere.
In narrativa ci sono senz’altro regole di fondo.
In un’intervista hai dichiarato: «A mio parere, narrare è come un virus, o se vogliamo una possessione, di natura positiva, è chiaro. Al tempo stesso, soprattutto nell'ambito della narrativa d'azione o d'intrigo, è anche un procedimento mentale di calcolo e di premeditazione. La “macchina dell'intreccio” deve funzionare. Questo richiede l'applicazione delle leggi della logica e della ragione. In sostanza, narrare è uno splendido ibrido (di nuovo questa parola) di tutte le funzioni della mente umana.» A parte questa bellissima descrizione del procedimento narrativo, la domanda è: anche se tu hai chiarito che si tratta di una possessione con effetti positivi, cosa dà la dimensione virale della narrazione?
La logica è il terzo elemento chiave del narrare. Nello strutturate la storia, ritengo si debba essere molto cauti a non finire nell’irrazionale e nel furbesco sia per il plot che per i personaggi. La logica e’ anche il “virus (positivo) del narrare”. L’autore costruisce un intero mondo: conflitti, passioni, contrasti, risoluzioni, contraddizioni. In quel mondo, l’autore è un vero e proprio “deus-ex-machina”.
Qual è, nei tuoi libri, il rapporto tra il male, l’intenzione e l’etica?
Conflitto puro. La mia impostazione generalmente rimane univoca: un (pseudo) onnipotente apparato di potere, intrinsecamente maligno e inevitabilmente stupido, contro cui si schierano pochi, isolati, emerginati combattenti dotati di etica. Chi conosce il mio lavoro, sa che parecchi dei miei libri “finiscono male”. Nel senso che gli “eroi” etici non riescono a sopravvivere. Ma la loro “intenzione etica” è comunque trasmessa dopo di loro, alla nuova “generazione” di combattenti. Emblematico in questo senso il finale di “Kondor”.
Cos’è il male?
Correndo il rischio di suonare pomposo, direi che il male è la droga psicotropa delle personalità tossiche. Non è affatto necessario iniettarsi eroina o ingozzarsi di metamfetamina per essere dei tossici. Si può esserlo anche semplicemente facendo i bulletti dieci contro uno nel cortile di una scuola o pestando la propria moglie. Sono tutte espressioni diverse del medesimo concetto di sopraffazione. Per traslato, sono applicazioni del potere, e della seduzione (tossica) del medesimo. É sostanzialmente questa la fondazione della mia tematica narrativa: potere = male.
Vorrei approfondire il collegamento tra Anime Nere, l’antologia da te curata e la crudeltà. Si può affermare che la crudeltà sia una diramazione del male?
Più che una diramazione, direi che la crudeltà è una emanazione del male.
Hai dichiarato in più occasioni quelli che sono i pilastri della tua formazione letteraria: Raymond Chandler, John le Carrè, in parte Frederick Forsythe e Michael Crichton, Arthur C. Clarke, James Hadley Chase e Wilson Tucker. Ma tu sei anche sceneggiatore e story editor quindi ti chiedo: quali sono i tuoi registi e gli sceneggiatori di riferimento?
In materia di registi, i maestri rimangono i maestri: Serghei Eisenstein, Fritz Lang, Billy Wilder, Alfred Hitchcock, Ingmar Bergman, Renzo Rossellini, Stanley Kubrick, entrambi i fratelli Scott, Ridley e Tony. Quanto agli autori di sceneggiature, il paradosso è che -a parte pochissimi casi- i loro nomi rimangono largamente sconosciuti al cosiddetto “grande pubblico”. Lo stesso Reymond Chandler, per quanto disastroso fu il suo rapporto personale e professionale con Billy Wilder, è uno sceneggiatore d’eccezione. Ernest Lehman, lo scrittore di tanti film di Hitchcock, è un talento prodigioso. Dalton Trumbo, poco prolifico e perseguitato dal macchartismo, è un vate della sceneggiatura. William Goldman, anche romanziere, ha firmato testi di prima grandezza. Paddy Chafesky, soprattutto drammaturgo, è una pietra miliare.
Sei editor e curatore editoriale di Segretissimo, di Giallo Mondadori e dei Romanzi (rosa), sei inoltre editor di Urania, collana curata da Giuseppe Lippi. Ma tra poco sarai curatore anche di una nuova collana, Epix. Ci racconti qualcosa? É vero che pubblicherà non pura fantascienza (per la quale c'è già Urania) ma una letteratura fatta di contaminazioni fantasy, horror, soprannaturale e in generale fantastico, con narrativa inedita e ristampe, con nomi come Evangelisti e Howard? Come sarà strutturata?
Epix è un progetto volto a dare ancora piu’ spazio a una narrativa estremamente vasta ma mai abbastanza esplorata. Hai centrato in pieno il punto sui generi: fantasy, horror, soprannaturale. Va chiarito che l’apporto a Epix del grande Giuseppe Lippi è fondamentale, ma per le collane Mondadori edicola la fantascienza rimarrà esclusiva a Urania. Oltre a restare sui capisaldi fantasy, horror, soprannaturale, l’idea di Epix è però anche di “alzare il tiro” a tutti gli “ibridi”, vale a dire a tutte quelle contaminazioni (in positivo) di generi che sarebbero difficilmente catalogabili e pubblicabili.
Qual è l’elemento chiave del tuo ruolo di editor?
Credo che l’elemento chiave sia il rapporto con gli autori. Questa rimane per me una eccezionale esperienza di apprendimento umano e professionale. Sarebbe assurdo anche solo ipotizzare di scrivere tutti nello stesso modo. Da Loriano Macchiavelli a Giuseppe Genna, da Stefano Di Marino a Giancarlo Narciso, da a Cinzia Tani a Nicoletta Vallorani, e cito solo i primi nomi che mi vengono in mente, ogni autore ha la propria specifica concezione narrativa e il proprio stile univoco inimitabile. La chiave di volta per un editor, ritengo, sia il rispetto assoluto. Al massimo, l’editor puo’ offrire all’autore non consigli ma punti di vista. In ogni caso, la parola conclusiva spetta e deve spettare all’autore.
A giugno uscirà per Tea il secondo volume di racconti “Hellgate: al confine dell’inferno”, con Andrea Calarno, tuo personaggio apparso vent’anni fa?
“Hellgate: al confine dell’inferno” è il seguito (ideale) di “Armageddon”, l’antologia TEA del 2008.
Tra gli altri, hai vinto quest’anno il premio Lama e Trama alla carriera e ne approfitto per farti i complimenti. Ma vorrei parlare di un altro premio, quello vinto nel 1997, il Premio Scerbanenco per il miglior romanzo giallo italiano con il libro “Kondor”. Lo scenario è quello una “guerra energetica”, che ha luogo tra l’Occidente e l’Islam. Si è parlato di profezia antelitteram dell’11 settembre 2001. Ma lo scenario apocalittico non è a suo modo sempre profetico?
Anzitutto voglio rinnovare i miei ringraziamenti a Luigi Bernardi, uno degli uomini di editoria più completi che abbiamo oggi in Italia, e all’intera amministrazione del comune di Albino per avermi concesso il “Premio Lama e Trama.” Non so se “Kondor” sia effettivamente una profezia ante-litteram del 9/11. Posso però ribadire che la “prossima guerra (anche nucleare) del Medio oriente” è un mio chiodo fisso fino dai tempi de “L’Occhio Sotterraneo”, romanzo che pubblicai nel 1983 con il grande editore Andrea Dall’Oglio.
Posso concludere quest’intervista in rosa? Sei curatore editoriale di Romanzi (collana di romanzi rosa). Quindi non hai pregiudizi verso quel genere di romanzi?
Non solo non ho alcun pregiudizio, ma nutro il massimo rispetto per questo super-popolare -nel senso di super-successo- genere narrativo. Da editor, occuparmi di questo genere è e continua a essere un ottimo percorso di apprendimento.
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