In cambio chiedevano l’allestimento di un esercito parallelo a quello regolare.
Parallelo e segreto.
Ma pronto a muoversi per prendere il potere nel caso le cose si fossero messe male.
Il Gran Maestro entrò in massoneria nel 1965. Quattro anni dopo, i piani alti gli consegnavano le chiavi della Loggia.
Il Gran Maestro non tagliò mai i ponti coi vecchi amici.
E quando il colpo di Stato smise di essere una fantasia da nostalgici repubblichini per diventare un piano concreto, spalancò le porte della Loggia per discutere i dettagli.
Dopo brevi consultazioni la cosa era andata in porto. Persino gli americani avevano detto di sì.
Il Gran Maestro guarda l’orologio: 21.05.
L’ordine arriverà. Nervi saldi.
Tutto filerà liscio.
Infila un caricatore nella Sig Sauer. Controlla la divisa: impeccabile.
Altri otto con lui, giacche da funzionari: rosso sangue.
Nei corridoi del Quirinale luci basse e aria natalizia.
L’obiettivo a quaranta passi, dietro la porta di noce massello.
Questa notte il Gran Maestro rapirà il presidente della Repubblica.
Domattina sorgerà un nuovo ordine.
Cuttieddu
Cumannari è meglio ca futtiri, così dicono. A Palmieri Antonio detto Cuttieddu futtiri ci piaceva assai, questo va dichiarato. E proprio a quello pensava, che quasi si scantò quando la moglie di iddu gli venne in braccio, uscendo dall’androne. «Mi scusi tanto... Sono mortificata... Non l’avevo vista...»
Cuttieddu fece segno con la capoccia: «Non è nenti, signora mia... Meschino io che mi trovo sempre di mezzo.»
La moglie di iddu salutò e sparì in un turbinio di fianchi, cosce e calze con la riga nera.
Gran bel pezzo di femmina: Cuttieddu più ci pensava, più ci diventava duro.
Sbottonò la giacca e accese una paglia. Un poco d’aria fredda avrebbe fatto bene.
Mettersi a giocare cu’ ’u pilu nel bel mezzo di un’operazione non era cosa. Non era cosa proprio.
L’aria, a Roma, è differente. A Catania, se non sa di pesce, profuma di scirocco. Non è pesante, si beve un respiro alla volta.
L’aria di Roma leva il fiato, un viddanu come Cuttieddu se ne avvede subito. Pesante, sa di cartone, ti si posa sul petto e non ti molla più.
Cuttieddu taliò la luna: nove e un quarto, nove e mezza al massimo.
Era quasi ora. Pure l’orologio da polso lo diceva, ma Cuttieddu non si fidava delle macchine.
Anche le pistole ci piacevano poco o niente. Specie a dicembre.
Il pezzo premeva contro la schiena. Gelato.
Molto meglio la lama. Nella tasca delle brache rimane. Comoda comoda.
E all’occorrenza fa il suo dovere in silenzio.
Cuttieddu tastò il rasoio in saccoccia.
Tuttapposto...
Si girò verso i compari: da venti minuti nessuno faceva un fiato.
Il lavoro era semplice, Cuttieddu lo faceva volentieri.
In Sicilia gli equilibri erano cambiati dopo che don Lucania era passato a miglior vita.
Lucky Luciano – così lo chiamavano gli americani – si era spento a Napoli: all’aeroporto, stroncato da un infarto.
E il suo braccio destro Castiglia – che mo’ si chiamava Costello perché gli yankee dell’anagrafe capiscono una parola sì e tre no – aveva tirato un sospiro di sollievo. Luciano era crepato nel ’62; in otto anni Costello si era spinto dove il vecchio serpente nemmeno aveva osato pensare. Ville a Los Angeles, palazzi a New York, casinò e bordelli a Cuba. A Castiglia il calabrese la Sicilia non interessava più. E nemmeno Napoli.
Il vecchio si era fatto in quattro per riportare la pace tra Cosa Nostra e il Sistema e ora tutto tornava come prima perché Mister Costello giocava “a ffa l’americano”.
«Cosa Nostra è cosa umana. E si regge sugli umani equilibri. Equilibri precari: incazzature, gelosie, ritrosie più vecchie di me e di te...», così aveva parlato il boss.
Cuttieddu le parole le aveva mandate a memoria.
Il boss gli aveva pure spiegato che ora che il vecchio non c’era cchiù ci stava un pochino di spazio persino per loro catanesi. Che ora si potevano fare dei tentativi pure al Nord.
Si scrive “tentativo”, si legge “ammazzatina”.
Cuttieddu, dall’inizio dell’anno, aveva volato già cinque volte tra Torino e Milano. Cinque lavori facili, nemmeno di un socio aveva avuto bisogno.
Tutto lama e pulizia.
Impeccabile.
Ora questo vecchio amico gli aveva fatto una telefonata. Il colonnello Kurtz, che in Cosa Nostra era qualcuno. Aveva pure fatto l’iniziazione (era pungiuto e tutt’e cose) ma lavorava per i fatti suoi.
Il colonnello Kurtz era “l’amico di Stato”.
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