Cosa c’entra Licio Gelli con Callisto Tanzi, salito alle cronache per il crack Parmalat, ex proprietario di Odeon Tv? Cosa c’entrano Roberto Calvi, il Banco Ambrosiano, Angelo Rizzoli, Eugenio Cefis e tutto uno stuolo di  docenti universitari, prefetti, generali dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza, capi di stato maggiore della difesa, agenti del Sismi? Come si sono insediati molti degli adepti del Gran Maestro Venerabile nelle istituzioni e nei centri di controllo del potere di oggi?

Questo approfondisce la giornalista e saggista Antonella Beccaria, analizzando in itinere alcuni punti del Programma della loggia massonica Propaganda 2, diretta da Licio Gelli, un piccolo imprenditore toscano fascista, e sedimentatasi come uno dei più pervasivi centri di potere. Il Piano di rinascita democratica sequestrato a Maria Grazia Gelli nel Luglio 1982, che rappresenta la carta programmatica per l'Italia della P2, si prefiggeva il cambiamento delle istituzioni, il ripristino di un'impostazione selettiva dei percorsi sociali e un Consiglio Superiore della Magistratura che gravitasse sotto il controllo dell'esecutivo,  con carriere dei magistrati separate, l'unità sindacale infranta e abolito il monopolio della Rai.

L’assunto di fondo di questo libro, dimostrato con argomentazioni fattuali e documentarie, è che l’ideologia di Gelli si colloca in una posizione dominante  per la decifrazione della situazione italiana attuale. Politica, economica  e non solo. Per comprendere meglio quest’affermazione basterebbe sfogliare i vari fascicoli e i nomi illustri in essi contenuti. A partire, come tutti sanno, dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816, fascicolo 0625), per proseguire con Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Popolo delle libertà (tessera numero 2232, fascicolo 0954), per continuare con chi ha un peso non irrilevante nel teatro della comunicazione mediatica: Maurizio Costanzo (tessera numero 1819, fascicolo 0626), Roberto Gervaso (tessera numero 1813, fascicolo 0622), Paolo Mosca (tessera numero 2100, fascicolo 0813), eccetera eccetera.

Proprio al monopolio della comunicazione, come una sorta di potente sostitutivo della propaganda, guardava Gelli che, come dichiarato nel Piano di rinascita democratica, obiettivi, articolo 2, punto b, auspicava di «coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata [...]; dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna, ex art. 21 Costituzione.» O ancora, come si legge nel Piano di rinascita democratica, procedimenti, articolo 2: «Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di "simpatizzare" per gli esponenti politici.»

Saltano all’occhi, anche in virtù delle cronache recenti, i collegamenti tra scalate bancarie, editoriali e del mattone, con furbetti del quartierino immobiliaristi, banchieri, capitani d'impresa, manager di personaggi dello spettacolo, personaggi più interessati al guadagno che alla legge, personaggi anzi per nulla preoccupati –ma solo infastiditi, semmai– dal fatto «che esistano le intercettazioni legalmente richieste da magistrati incuriositi da movimenti finanziari così imponenti»Vorrei concludere questa recensione lasciando la parola direttamente all’autrice, che ha dato di nuovo dimostrazione del procedimento scientifico con cui affronta tematiche scottanti, facendo emergere nuove verità (“Bambini di Satana”, Stampa Alternativa) o approfondendo con rigore d’analisi (“Pentiti di niente”, Stampa Alternativa): «Finiti i tempi della P2 così com'è stata ricostruita dopo la sua scoperta, si vede infatti come siano ancora attivi –o lo siano stati fino a poco tempo fa – alcuni degli uomini che ebbero a che fare più o meno direttamente con una realtà che "nessuno può negare che [...] sia un'associazione a delinquere" (Sandro Pertini, 1981). [...] Eppure c'è chi è sempre là, nelle stanze dei bottoni, nei giornali, nel mondo dell'alta imprenditoria. Il ricambio, se c'è stato, è stato parziale perché non ha modificato i costumi amministrativi di privati e pubblici cittadini. La rivoluzione che si attendeva da Mani Pulite è stata sgonfiata. Anche l'auspicato allontanamento della mafia dalla politica non è stato voluto né perseguito più di tanto, se oggi alcuni potenti amministratori locali e centrali si compiacciono di una condanna a cinque anni in primo grado perché poteva andare a finire molto peggio.»