L’investigatore Matteo Montesi risolve problemi, così almeno risponde quando gli abitanti di un freddo paese di collina gli domandano cosa faccia lì. Un luogo in cui apparentemente non succede niente e in cui la gente è così impicciona che sembra superflua un’agenzia investigativa.
L’avventura è dietro l’angolo sosteneva Hugo Pratt, e Mariagrazia Musneci, a conferma di questo assunto, la offre in partenza quando Elisabetta, una biondina disperata ma cremosa come la crema Chantilly, suona alla porta di Montesi e lo assolda per ritrovare l’amato e misterioso Hassan, un ragazzo di colore presentatosi come futuro ingegnere molecolare. Una coppia black & white, se la scomparsa non ostacolasse i progetti. Perché Hassan sparisce e comincia l’azione. Nessuno è al suo posto, come recita il titolo, in questa kermesse di movimenti, sentimenti, scambi di battute sagaci, personaggi nel complesso riusciti. Comparse pittoresche, personaggi veri e finti contribuiscono per i tre quarti della narrazione a infittire un mistero in un crescendo che l’autrice padroneggia con disinvoltura.
Il limite, se di limite si può parlare per un libro che è nel complesso piacevole e divertente, sarebbe da imputare alla casa editrice La Riflessione: il testo non è stato sottoposto a un editing, mancano alcune sforbiciate che l’avrebbero reso più scorrevole, non c’è stato un intervento di correzione bozze (mi riferisco in particolare alla punteggiatura) perché la scrittrice ci ha lavorato ma, si sa, quando si legge il proprio testo decine di volte, si finisce per non vederli più, i refusi. I dialoghi sono quasi continui, realistici, a volte crudi, a volte simpatici, risentono positivamente dell’attività teatrale della Musneci, artista romana che lavora come operatrice culturale ad Albano Laziale.
La storia di Nessuno al suo posto è avvincente e Montesi convincente con quel suo sguardo sul mondo che è a metà tra disincantato e ironico e presenta reminescenze marlowiane, così come conferma la diretta interessata: «Sono una lettrice di gialli dall'età di tredici anni e amo svisceratamente Chandler e Hammet. Quando ho cominciato a scrivere la storia, volevo fare un affettuoso omaggio al genere, una garbata e innamorata presa in giro dei motivi narrativi dell'hard boiled. Ma la storia è incappata nel mondo e il romanzo è diventato un'altra cosa. Però, a guardare bene, i motivi narrativi del genere ci sono. Montesi ci prova, ad atteggiarsi a Marlowe, ma non gli viene bene. Perché non è abbastanza cinico né abbastanza amaro. Non è abbastanza solo. Ma il riferimento è sicuramente più letterario che reale. Anche se, per il suo aspetto, mi sono ispirata a una persona che esiste. In effetti, tutti i personaggi, come aspetto o come carattere, hanno un riferimento reale. La gente che incontro mi ispira. Mi interessano i caratteri delle persone, e le loro storie. La scrittura poi trasforma tutto.»
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