Dimenticate tutto ciò che avete visto e letto. O meglio ricordatelo bene perché, alla fine, scoprirete che è cambiato tutto ma non è cambiato nulla. “Non se ne vada, abbiamo bisogno di lei”, dice M al termine di Quantum of Solace e l’agente 007 sotto la neve di Kazan risponde gelido. “Non me ne sono mai andato”.
Prima di tutto un concetto. L’uscita del DVD di Quantum of Solace stimola una visione congiunta al precedente episodio Casinò Royale perché si tratta di un’unica complessa vicenda che si può cogliere in tutte le sue sfaccettature solo in questo modo.
Secondariamente, dopo 20 film, anche la serie di maggior successo e longevità al mondo necessitava di un ripensamento. Questo senza togliere assolutamente nulla a tutto ciò che è venuto prima che inevitabilmente porta con sé grandissimi successi e momenti di stanchezza, influenze della moda cinematografica di alcuni anni che ora risultano superati, un distacco via via più marcato dall’opera narrativa di Fleming che, comunque, risaliva degli anni 50-60. Di fronte a quest’impresa per rivitalizzare il serial, conquistargli nuovi fan senza perdere i vecchi la produzione (Wilson- Broccoli, ossia i resti della famiglia del mitico Cubby lasciato a metà strada dal socio Saltzmann) dovevano affrontare una serie di insidiosi ostacoli. La memoria, il mito alimentato da milioni di fan nel corso di quattro decenni e più, una compagine di intenditori che, tuttavia, ha subito un naturale assottigliamento forse un ricambio generazionale. Il confronto con il passato è stato forse l’ostacolo più alto. Questo anche se il personaggio Bond è passato attraverso le mani di registi differenti, sceneggiatori, maestri d’arme, scenografi e registi che hanno tutti costruito un piccolo tassello della saga pur restando all’interno di un format ancora valido nella sua struttura base. Il problema è che molti appassionati hanno scambiato l’intelaiatura interna per l’esteriorità che ha subito nel corso degli anni influenze dettate dalle mode cinematografiche. In pratica, soprattutto durante l’ ‘Era Moore’ Bond, da apripista del cinema d’azione, diventava un prodotto che ricucinava a modo suo i successi nuovi del momento. Guerre Stellari, Indiana Jones, i road movie di John Badham, la Blaexploitation, persino il Kung Fu si possono ritrovare - spesso elaborati addirittura meglio degli originali – negli episodi dell’epoca. C’è stato un periodo intorno agli anni ‘80 in cui sembrava che il cinema d’azione fosse diventato un prodotto per bambini, accettabile dai ‘grandi’ solo se condito di dosi sempre più massicce di ironia e umorismo sino a trasformare Bond nella caricatura di se stesso. Che tristezza vedere Moore emergere dal sottomarino-coccodrillo e fare allegre battute mentre estrae la spada dalla bocca di un fachiro in Octopussy, fil tra l’altro particolarmente ben riuscito in altri momenti in cui la tensione prendeva il sopravvento come l’inseguimento con i gemelli lanciatori di pugnali sul treno nella Germania ovest. Evitiamo di parlare del ridimensionamento del ruolo di ‘sciupafemmine’, punto di forza negli anni ‘60 ma non politicamente corretto venti anni dopo … ed ecco il Bond di Dalton con l’occhio sdolcinato e una sola avventura per film … Certo Brosnan aveva ridato smalto al personaggio anche se al centro di vicende forse sin troppo d’azione, senza intrigo e in qualche modo di routine. Personalmente ho sempre ritenuto che il ritmo delle sceneggiature, le trovate sceniche dei film di Bond fossero per gli anni ‘60 in anticipo di diversi decenni su tutto il resto della produzione. Guardando l’inseguimento sulle paraslitte di Il mondo non basta (girate a mio avviso con scarso mordente nel taglio delle immagini e un commento musicale non adeguato) sembrava di vedere un prodotto televisivo poco convinto.
Tutto da rifare? Apparentemente sì, secondo il marketing e l’ufficio stampa ma, alla fine, la vera ossatura bondiana, quella legata ai romanzi originali di Fleming era l’unica soluzione per cambiare tutto senza cambiare nulla che era poi la quadratura del cerchio cercata dai produttori. Casinò Royale e Quantum of Solace sono l’equivalente che ha riportato interesse per la figura dell’uomo pipistrello con Batman Begins e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Risalire alle origini del mito collegando fili, fornendo spiegazioni sottese, recuperando ciò che c’era di autentico e mescolandolo con la nostra epoca, la situazione politica radicalmente cambiata e il cinema d’azione sviluppatosi in uno spettacolo molto simile al videoclip musicale del quale proprio non si poteva non tener conto.
Primo fattore. I romanzi di Fleming erano storie della Guerra fredda, a volte più politicamente ispirate ( Dalla Russia con Amore) altre virate verso l’avventura a tutto tondo (Si vive solo due volte) o il noir(Una cascata di diamanti, La spia che mi amò). Insomma Fleming, che era stato giornalista e uomo di intelligence ma soprattutto protagonista del suo tempo, bon vivant, lettore, seduttore e solitario nell’animo, aveva creato una miscela che solo un disattento poteva scambiare per reazionaria. Il cinema, per motivi squisitamente commerciali, accentuò il risvolto avventuroso e apolitico. 007 divenne il raffinato personaggio che Terence Young ricavò dell’eroe dei romanzi forgiandolo a sua immagine e fu proiettato in un mondo di tecnologia spesso esagerata, di bellissime donne, alberghi lussuosi e luoghi da favola. Elementi presenti nei romanzi e nella vita di Ian Fleming, ma non in via esclusiva. Il nero dell’anima, l’anarchismo di fondo di James Bond restarono nei romanzi e si stemperarono in … uno spettacolo per tutti, al cinema. Oggi la Guerra fredda è un ricordo di vent’anni fa, il terrorismo internazionale, la finanza della morte hanno cambiato radicalmente ‘ l’ambiente della spia’, paradossalmente avvicinandolo ad alcuni schemi narrativi presentii n Fleming ed esasperati in alcuni dei film precedenti. Occorreva saperli impiegare nella misura corretta. Forse ‘il pazzo che vuol dominare il mondo’ è ormai un cliché sin troppo usato, ma è credibile l’esistenza di una organizzazione ramificata, corporativa ed extrastatale che persegue il propri fini in maniera, surrettizia e invisibile. Come la Spectre. Come il Quantum. Per esplicito convincimento della produzione la storia del ‘nuovo Bond’ poteva ricominciare daccapo ma non essere un remake di quanto già visto. I film già girati restano una leggenda. Prova ne è Mai dire mai che scimmiotta Operazione Tuono, in alcuni momenti anche in modo divertente, ma lascia l’amaro in bocca … quello del confronto.
Si doveva partire quindi da soggetti originali rielaborati. Casinò Royale era quindi la scelta più logica. Oltre a un telefilm in bianco e nero molto americano (Bond in un paio di battute è chiamato ‘Jim’) ne era stata realizzata una versione farsa sulla quale non sto neanche a soffermarmi.
Casinò Royale, oltre essere stato il primo romanzo di Fleming era anche inedito. Perfetto per una nuova partenza. Si trattava in effetti di una storia di Guerra fredda scaturita dalla fantasia di Fleming in seguito a un’esperienza personale vissuta nel secondo conflitto mondiale. La celebre scorribanda di Fleming al casinò del’Estoril, in Portogallo, con l’intento di sbancare gli agenti nazisti che vi andavano a giocare è nota. Bond perse tutto ma ritenne uno spunto per una storia che avrebbe sviluppato molti anni dopo. Le Chiffre, agente della Smersh russa e banchiere dello spionaggio anti occidentale veniva affrontato in una partita di carte e di nervi sulla costa azzurra. Vi si trovava delineato il mondo di Bond, le caratteristiche psicofisiche ma anche i lati oscuri. Conoscevamo Vesper e Mathis e la vicenda, dopo una minuziosa ricostruzione di una partita a carte subiva uno scatto in accelerazione, mostrandoci crudi metodi di tortura (presenti nella novelization ma non nel film La spia che mi amava, scritto da Christopher Wood). E, alla fine, la realizzazione della ferocia del mondo delle spie, delle sue leggi ineluttabili che non permettono di fidarsi di nessuno, né di sbagliare. “La puttana è morta”concludeva Bond con una delle chiusure più riuscite di tuta la narrativa noir del secolo scorso, fedelmente riportata anche nel film del 2006.
Da qui si partiva per ricostruire il Bond degli anni 2000 un personaggio che, prima di tutto doveva conquistare un pubblico nuovo senza deludere il vecchio. Uno che doveva poter indossare lo smoking senza apparire fuori moda e poco trendy.
Daniel Craig, all’inizio contestato, sembra la scelta peggiore e invece si rivela la mossa vincente. Craig è fisico, duro, biondo, meno alto ma prestante. Indossa gli abiti eleganti fatti su misura perché la sua compagna di lavoro e collega considera non adeguato lo smoking da sera che già possiede. In effetti ancor più che nel forsennato parkour (disciplina d’inseguimento senza trucchi importata dalla Francia dove è stata lanciata dal gruppo Ymakasi ) delle prime scene, Bond si delinea in un dialogo con Vesper a bordo del treno che li porterà in Montenegro. Bond non è uno snob. Veste con capi firmati solo perché è convinto che chi è ricco si vesta così ma porta quegli accessori con sufficienza, senza scordarsi di avere goduto di un’educazione superiore solo per i buoni uffici di qualche parente. È uno che si è dovuto guadagnare ciò che ha ( cosa veramente? Una licenza doppio zero acquisita con due omicidi brutali e a sangue freddo? Il diritto di godere di donne e piaceri sinché non deve rischiare la vita?) con sangue sudore e lacrime. È un eroe dark. Vicino al gusto del pubblico più giovane che lo vuole dinamico, violento, adrenalinico. Però riesce a conquistarsi anche i fan del Bond più puro perché in pochi accenni vediamo scorrere nella memoria le note biografiche stese come necrologio della sua presunta morte al termine del romanzo Si vie solo due volte dal suo capo M.
M. appunto. Judi Dench, incarnazione femminile del potere è tutto ciò che resta della famiglia allargata del ciclo precedente. Q, Moneypenny, le varie incarnazioni di Bill Tanner cambiano o scompaiono. Persino Felix Leiter l’amico della CIA cambia pelle e sembra più un rapper di un G-man. Ma Judi Dench resta M. Forse perché dopo Bernard Lee nessuno era in grado di sostituire la vecchia figura di padre vicario del ‘vecchio’ Bond. Non per nulla in Quantum of Solace Bond si concede una battuta riguardo al fatto che la nuova M ami pensare di essere sua madre. Genitrice severa quanto il vecchio capo ma disposta a difenderlo in pubblico quanto a bacchettarlo in privato. Un fortissimo legame sia con la serie cinematografica precedente che coni romanzi che necessitavano di questo dualismo tra 007 e il suo capo. Chissà cosa ne penserebbe Fleming? In effetti, ai tempi dell’inserimento della Dench nella serie il servizio segreto inglese era effettivamente guidato da una donna …
Adattare Casinò Royale per il cinema, in realtà, presentava qualche difficoltà oltre alla necessità di rivedere e attualizzare la saga, facendola ripartire dall’inizio. Il romanzo, almeno, nella sua prima parte, è una riuscita ma molto letteraria raffigurazione dell’ambiente del casinò e della partita con le sue fasi alterne. Già il testo, letto oggi presenta pur nella sua misurata scansione narrativa un ritmo non inseribile nelle attuali linee editoriali avventurose che impongono azione dalla prima pagina. Sullo schermo tutto deve procedere ancor più velocemente e la necessità di mostrare il viso nuovo e adrenalinico di Bond impone una “pre missione” totalmente nuova che si agganci alla vicenda principale. Forse per questo Casinò Royale è il più lungo film di Bond mai realizzato, quasi due ore e mezza. Cominciamo da... 00. Praga, un palazzo moderno in netta contrapposizione con l’iconografia classica della capitale ceca. Ascensori con sostegni tubolari, modernità. Eppure neve, un bianco e nero che sa d’antan. Bond smaschera un residente del servizio scoperto a vendere segreti. E contemporaneamente un flashback che lo mostra durante il primo dei due omicidi richiesti per diventare agente doppio zero. Un bagno squallido con un avversario lercio. Una scazzottata violenta, ottimamente coreografata ma spettacolare più per l’impressione di violenza e brutalità che per la tecnica. Niente karatè o mosse da arti marziali anni ‘70. Per la verità le sequenze close combat dei film di Bond sono sempre state attente a mescolare realismo, violenza e spettacolarità. Ma è proprio l’ambiente, un bagno pubblico che si sbriciola letteralmente sotto i colpi dei due nemici a creare subito l’impressione che il nuovo agisce in un mondo dove non sarà un gadget sofisticato o una battuta a toglierlo dai guai. Il suo primo nemico muore “male” e il secondo peggio. A sangue freddo. La sezione doppio 00 si delinea per ciò che è. Una squadra di assassini. E poi di corsa in Madagascar. Un’altra sequenza dove Bond suda, sanguina, uccide e forse commette anche l’errore di uccidere un pesce piccolo invece di pensare al quadro più ampio come lo rimbrotta M al suo ritorno. Però trova una traccia e inceppa il piano di Le Chiffre. Questi ci viene presentato per brevi scene. È un agente lui stesso di una potenza occulta di cui Mr. White è enigmatico burattinaio ma non capo. La sequenza in Uganda tra bambini soldato, guerriglieri, pioggia battente ci invia un altro importante messaggio. Il mondo in cui Bond si muove è quello dello spionaggio di oggi. Il denaro ha sostituito l’ideologia, le manovre finanziarie (l’allusione alle speculazioni seguite all’11 settembre sono più che evidenti). Ancora una volta ‘ sembra’ tutto differente. Ma la seconda sequenza in cui vediamo Le Chiffre perdere lacrime di sangue durante il poker, lo yacht con la bionda, i giocatori,il lusso ci ricordano che, infine, il mondo non è cambiato. È solo passato del tempo. E Bond, fedele al suo modello di agente capace di analisi e ragionamento oltre che di violenza, segue testardamente una pista. Intercettazioni via internet, navigatori, passaggi al computer. Fumo negli occhi. La tecnologia che una volta sembra fantascienza oggi è a portata di tutti. Il modo in cui viene usata crea tensione, però. La sezione della storia tra le Bahamas e Miami non è avaria di emozioni care agli appassionati bondiani. Lo stesso glamour di Solange, dell’albergo sulla spiaggia rimandano alla vecchia serie mentre il folle inseguimento con l’autobotte sulla pista di atterraggio e l’attentato fallito proiettano Bond nel presente e, al tempo stesso, creano l’antefatto necessario al nodo centrale. La partita. Le Chiffre ha perso i soldi dei suoi clienti terroristi. Per sfuggire alla loro vendetta e a quella della sua organizzazione deve giocare d’azzardo. A questo punto siamo già catturati, il ritmo può rallentare, farsi più disteso come un viaggio nelle foreste del centro Europa mentre scopriamo particolari psicologici sul protagonista e il suo vero interesse sentimentale: Vesper. Vesper è una donna speciale. È la femmina che provoca e compete con Bond, la donna che porta il nodo d’amore algerino al collo,che gli contesta il suo ego ma che è palesemente già sua. Meno scontato il contrario. Eppure a poco a poco è esattamente quello che avviene. Prima (o forse dopo,la finzione cinematografica mescola le carte? di Tracy Draco, Bond ama Vesper. Alla fine in maniera così disperata da non rassegnarsi a perderla.
E qui inizia la trasposizione del romanzo nella cornice del Montenegro che suggerisce un’Europa balcanica nella memoria dello spettatore. In realtà il Montenegro oggi è uno scenario devastato. Quello che vediamo è un attento collage di ambientazioni ceche usate sia negli interni che negli esterni. Una cornice sofisticata, asburgica che contrasta con le immagini ultramoderne iniziali e le ruvide atmosfere africane. Qui al casinò, in uno scenario che ha qualcosa di ‘asburgico’ Bond ritrova tutto il suo glamour perché senza quello l’evidente matrice basata sul successo dei film dedicati a Jason Bourne dai romanzi di Ludlum interpretati da un sin troppo giovane ma dinamico Matt Damon, avrebbero cancellato il mondo di Bond. A questo punto s’impone un’osservazione sulle luci. Nei film della prima serie, soprattutto quelli con Connery, imperava un’illuminazione artificiale tipica di quegli anni con colori molto staccati, tanto da sembrare artificiosi. Senza accorgersene lo spettatore percepiva ancor più che dallo svolgersi della storia, che il mondo di 007 era parallelo ma non coincidente al nostro. Era larger than life come il suo eroe. E accettando il gioco tutto diventa possibile dai gadget all’azione più funambolica. Oggi il cinema non si fa più così. Le sequenze d’azione sono più rudi e filmate con un montaggio più frenetico e la luce ci appare quasi naturale, senza artifizi. Realtà e fiction si avvicinano anche nella percezione sensoriale. In realtà non è esattamente così. Le luci del nuovo Bond sono moderne, quasi vere ma ugualmente “lavorate”. Basti pensare alla sfumatura più calda dell’inseguimento iniziale di Quantum of Solace a Limone sul Garda che al cinema appariva abbastanza simile a quella di quei giorni (credetemi c’ero…) segnati dalla pioggia. Nel DVD c’è un alone più caldo che cambia totalmente la percezione dello spettatore. Allo stesso modo tutta la sequenza del casinò riporta la storia in un ambiente raffinato dove la sceneggiatura porta sulla pellicola la partita in tutte le sue fasi, necessariamente dilatate. Il poker sostituisce il baccarat, ma le fasi del gioco sono abilmente intersecate da momenti personali che vedono soprattutto delinearsi i rapporti tra Bond e Vesper. E naturalmente Mathis animato da un eccezionale Giannini, collega, amico, forse traditore. Mentre il gioco procede con alti e bassi bond ha modo di battersi con un gruppo di terroristi venuti a intimidire Le Chiffre, spiegarci il dosaggio del suo famoso cocktail, finire quasi avvelenato (qui viene sostituita la trappola del bastone animato utilizzata invece nel cortometraggio americano con Barry Nelson e presa dal romanzo ). Alla fine il defibrillatore diventa il gadget che i nostalgici chiedono a gran voce. Leiter recita il suo ruolo di alleato che permette a Bond di rientrare in gioco nel momento in cui tutto sembra perduto. Visi fortemente caratterizzati ci introducono nel mondo dei giocatori professionisti. La modella Verushka, Nancy Kwan, un nero che potrebbe essere il fratello di Mr. Big, un giapponese dalla lunga chioma bianca, altre facce che sfilano ma restano imprese come esterni ed interni del casinò. Alla fine Bond vince e si permette anche alcuni brevi intermezzi che, senza necessità di digressioni, mostrando la personalità, i dubbi che si abbinano al carattere di Vesper, al suo segreto celato nel nodo d’amore algerino che porta al collo. Poi la vicenda riprende con la scoperta del presunto tradimento di Leiter e una sequenza di incidente stradale da antologia. Alla fine la tortura, feroce, sadica al limite dell’ambiguità sessuale. La faccia sporca dello spionaggio, mai vista nella serie precedente ma presente sia nel romanzo di Fleming che nel corto con Nelson (dove Le Chiffre sta per amputare un dito del piede di Bond che urlava scosso dalla sofferenza). Ma anche qui la sceneggiatura attinge sapientemente dal romanzo creando un “contro climax”. Contrariamente alle regole del filone il nemico principale di Bond muore a venti minuti dalla fine. Ucciso da Mr. White che così ci dimostra che il vero avversario è un altro. Un’organizzazione per ora indefinita e senza nome, spietata con i propri agenti che sbagliano e diabolica con gli avversari. Bond è ferito nel corpo e nell’animo. Recupera le forze in uno scenario da favola italiano e conquista per sempre la bella Vesper. Le scena sulla spiaggia mi hanno ricordato il medley musicale della storia d’amore tra Bond e Tracy in Al Servizio di Sua Maestà ma certamente l’epilogo veneziano ripesca suggestioni cinematografiche di Dalla Russia con amore. Torna il passato, l’uomo con la benda nera e, amaramente, Bond viene travolto dal turbine di odio e passione di fronte al tradimento di Vesper. La sequenza veneziana che si conclude con la morte di lei è tra le più strazianti della serie. ripescata ormai priva di vita, Vesper lascia una nuova ferita sul viso di Bond. Ma gli lascia un ultimo regalo proprio quando 007 riallaccia i rapporti con l’MI6 e pronuncia la famosa frase( “la puttana è morta”) quasi per autoconvincersi. Scopre un indizio sulle motivazioni che hanno spinto Vesper a tradire e una traccia che lo porta, ancora una volta in uno scenario italiano fuori dal tempo, Mr. White. Gli spara in una gamba e recupera il denaro sottratto. E dopo due ore e mezza di attesa si annuncia con il fatidico “Il mio nome è Bond, James Bond”. E a questo punto ci rendiamo conto di essere solo al principio.
Quantum of Solace recupera il titolo di un racconto inserito in Solo per i tuoi occhi, una short story che dimostra quanto Fleming non si considerasse vincolato dal format dell’avventura seriale. Bond è solo un testimone di un racconto dove non c’è violenza o spionaggio, solo un’amara considerazione sulla vita di coppia.
Il film comincia a tutto gas, proprio dove era terminato l’episodio precedente come per sottolineare la ricostruzione del mito. Vorrei ricordare ancora una volta che l’ambiente fisico in cui inizia l’inseguimento NON È realmente Limone sul Garda. È un luogo di quella geografia indefinita che rende l’universo di Bond parallelo al nostro. Tra sparatorie, incidenti, primi piani, ombre e luci, si passa dal lago alle cave di Carrara sino alle strade medioevali di Siena dove il palio è un elemento di caratterizzazione ma estraneo alla vicenda. È il set italiano con le gallerie di mattoni, i tetti di coppi, un’atmosfera vagamente gotica che importa. L’immagine è funzionale allo svolgimento della vicenda. E questa ci fornisce dopo una buona dose di adrenalina alcuni elementi importanti. Prima di tutto scopriamo che anche Mr. White è un ingranaggio di un’organizzazione che potrebbe essere la nuova Spectre. In effetti il Quantum è qualcosa di ancor più sfuggente, quasi non viene nominato nel corso del film. Sappiamo che è una piovra tentacolare, invisibile persino agli apparati di intelligence perché li ha infiltrati. Profondamente. Non solo perché una delle guardie del corpo di M si rivela un killer disposto a sparare sulla ‘signora’ per favorire la fuga di Mr. White, ma perché, come scopriremo in seguito, del Quantum fa parte anche il consigliere del Primo Ministro. Il tradimento e la corruzione vengono a minare l’immagine della famiglia allargata inizialmente evocata per mostrare l’MI6 nella prima serie. Trevelyan di GoldenEye era un incidente di percorso, un agente uscito dagli schemi per una vendetta personale. C’è, ovviamente una ragione per questo inserimento che non deve sfuggire allo spettatore attento. Sicuro, immediatamente dopo c’è un altro ‘parkour’ che ci mostra un Bond adrenalinico e psicologicamente quasi fuori controllo per il desiderio di vendicare e capire Vesper ma la ragnatela di inganni è destinata a portarci a un dialogo tra Bond e Mathis rimasto inedito in tutta la serie cinematografica e che oggi s’impone. La storia procede giocando abilmente con le nuove tecnologie, gli interni algidi e modernissimi e gli scenari “sporchi” di Haiti. Si profila una nuova missione e un nuovo agente del Quantum. Dominique Greene, finto ecologista in realtà manovratore di colpi di stato. Entra anche in scena la sensuale Kurylenko che incarna la tipica Bond Girl in cerca di vendetta, c’è persino il volto marcio della CIA affiancato però a quello leale incarnato da Leiter. Il Quantum sovvenziona terroristi ma, abilmente, la sceneggiatura si tiene lontano dal Medio Oriente come un tempo faceva con la Guerra tra blocchi. Interessi economici giocati a discapito dell’ambiente, dittatori, sadici sono obiettivi e nemici che tutti possono apprezzare senza essere costretti a schierarsi politicamente. La vicenda procede con un abile incastro di azione sincopata e di indagine che dai caraibi ci porta a una delle mie sequenze preferite. L’infiltrazione di bond all’incontro segreto del Quantum nella cornice futuristica del teatro dell’opera di Bregenz e con la sua mise en scene alternativa della Tosca, la sparatoria senza suoni sono uno dei punti più alti del film. Ci rivela molto del complotto in atto e, soprattutto, delle sue diramazioni che arrivano a portare Bond ‘fuori’ dal suo stesso servizio. Non è la prima volta, è vero, ma in questo caso Bond può far ricorso solo all’amico con cui ha un conto in sospeso a livello personale. Mathis lo ritroviamo ancora una volta in Italia, in pensione, parzialmente compensato per le torture subite ingiustamente dai ‘buoni’, ma carico di amarezza. E qui arriva, direttamente dalle pagine di Fleming, l’osservazione su come, passando gli anni, amici e nemici si confondano. Il rapporto tra Bond e Mathis è intenso, psicologicamente difficile e perfettamente inquadrato in poche battute. Mathis perderà la vita tra le braccia di Bond. “Vogliamo perdonarci?” Basta una frase per suggellare un ’amicizia virile che dieci scene di dialogo non avrebbero saputo ricreare meglio. In verità Bond è diventato come il deserto di Atacama dove, assieme a Camille(la Kurylenko) cerca le prove della colpevolezza di Greene. È divorato dall’odio e dalla sete di distruzione. Un atteggiamento che costa indirettamente la vita a una giovane agente che finisce ricoperta di petrolio come Jill Masterson moriva placcata d’oro da Goldfinger. Ma di tempo per le rievocazioni proprio non ce n’è. Affiancato solo da Camille, Bond sfugge alla CIA e grazie a un indizio fornitogli da Leiter affronta i suoi nemici in un albergo modernissimo, un incubo nel deserto. La partita contro il Quantum è vinta anche questa volta ma il trionfo non è totale. Bond e Camille non finiscono neppure sotto le lenzuola,ognuno consapevole degli incubi dell’altra e rispettoso dei sentimenti reciproci. Epilogo a Kazan, in Siberia, dove il falso fidanzato di Vesper si appresta a tendere un’altra trappola a una giovane agente canadese. Bond lo ha rintracciato e … ha un conto in sospeso da chiudere.
Non sappiamo ciò che avviene tra i due ma, quando Bond emerge nella notte siberiana trova me la informa che l’uomo è ancora vivo. A quel punto getta il famoso nodo d’amore algerino che ha tenuto come feticcio della sua vendetta per tutto il secondo film e annuncia “Non sono mai andato via”. Partita chiusa? Non ancora ma il ciclo delle origini si può dire concluso. Certamente ritroveremo il Quantum e Mr.White e altri nemici, altre donne, altre emozioni e nuovi scenari, ma la formazione della leggenda è ormai completa.
Nel rispetto di una tradizione riscritta con attenzione.
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