Molte volte il criminale non è altro che un comune cittadino a cui è stato recapitato l’aumento della bolletta della luce. I bersagli preferiti dei delinquenti sono senz’altro i più poveri, anche se è luogo comune pensare che la ricchezza sia meglio della povertà. Uno dei motivi che avvalorano questa suggestiva ipotesi, è che essa permette di risparmiare sui costi di manutenzione delle protesi dentali, acquistando un bancale di Orasiv alla volta, mentre al povero per contrasto scarseggiano persino i soldi per farsi venire la carie, che in fondo fa parte delle piccole gioie della vita. Osservazione questa, fatta dal punto di vista dei dentisti. Di solito, si delinque dopo aver letto il manuale delle giovani marmotte o più comunemente iscrivendosi alla scuola dell’obbligo. Questa forma è la più pericolosa perché non poggia su nessuna base culturale. Non a caso fu proprio a scuola che ebbe inizio la mia carriera criminale.
Dopo aver riunito tutti gli allievi con i voti più bassi in condotta, formai la mia prima banda. Avevo le stimmate del capo e anche i miei compagni se n’accorsero, quando dovevano aiutare le vecchiette ad attraversare la strada al posto mio. Commettemmo diversi reati gravi, come comprare i dischi di Al Bano, guardare i programmi di Mike Buongiorno e i telegiornali di Emilio Fede. Trovai anche il tempo di mettere su famiglia: lei faceva la cassiera in banca, e durante un prelievo io alzai il pollice e l’indice per chiederle se andavo bene per la toilette, quando la polizia intervenne circondando l’intero isolato. Riuscii a fuggire prendendo in ostaggio la cassiera. Girovagammo per l’Europa in lungo e in largo, senza mai capire quale fosse la larghezza e la lunghezza, sino a quando lei stanca di quella vita non mi chiese di sposarla. Dopo qualche anno di tran tran coniugale la lasciai. Non c’era più l’intesa di una volta. Credo che il feeling, come lo yougurt, abbia una sua data di scadenza.
Nel frattempo avevo sviluppato abbastanza esperienze per fare il salto di qualità. Decisi di farmi conoscere meglio nel giro della malavita organizzata, invitando i capi delle famiglie mafiose più potenti di allora ad una pesca di beneficenza, il cui ricavato andava a favore di un fondo per le vittime della mafia. Nonostante la cartoleria fosse firmata Pineider, stranamente nessuno si presentò all’appello. Conclusi che la classe criminale attuale non fosse abbastanza sensibile da apprezzare certe finezze. E fu allora che mi convinsi ad usare la loro stessa arma: la violenza. Mi mancava un’esperienza da fare però: non avevo mai ammazzato nessuno prima di allora, se non parzialmente. Il sangue mi aveva sempre spaventato, soprattutto l’RH positivo. Ma per far capire di che pasta ero fatto dovevo commettere assolutamente un delitto eccellente.
L’idea mi venne vedendo mio cugino Aiello Cosimo, un eccellente ragazzo a detta della madre. Volontario presso un’opera pia, per copertura aiutava i boss della mafia ad attaccare le figurine dei calciatori leggendo i numeri. Copertura resa necessaria da una frase che l’aveva profondamente colpito: le sole buone azioni sono quelle che restano anonime. Frase che aveva letto nel Vangelo, su un bigliettino dei baci Perugina messo lì come segnalibro. Lo ammazzai raccontandogli una barzelletta sui carabinieri, che lo fece morire dal ridere. Infierii con efferatezza sul corpo ancora agonizzante, solleticandolo sotto le ascelle con un intero volumetto di gag.
L’impatto con il mondo della mala non fu sufficientemente forte come io speravo. Forse perché la barzelletta era risaputa. Nonostante tutto mi ero conquistato un posto nel gotha criminale, come sosia dei capi della Cupola durante le imboscate. Tutti i miei sforzi però andarono miseramente perduti, quando il vertice della malavita fu completamente eliminato a "Uno, due, tre, stella"! Gioco al quale, è risaputo, i mafiosi non sanno resistere. Era stato organizzato da alcuni esponenti della società civile, stanchi delle solite angherie, come giocare a sotto muro e prendere in giro la gente con lo scherzo del portafoglio legato al filo.
La mia carriera delinquenziale era già sul viale del tramonto, infatti nessuno mi firmava più gli autografi. Decisi che avrei dovuto applicarmi. Lasciai da parte la mia idiosincrasia per lo studio e m’iscrissi all’università, bruciando tutte le tappe e anche le auto di alcuni docenti più restii a darmi dei buoni voti. Mi laureai presentando la tesi “100 modi per districarsi nel deserto”. Dall’alto del mio titolo di studio riunii tutti i reduci dell’organizzazione e sfruttando le ore d’intenso studio passate sui libri di testo, li sconfissi allo schiaffo del soldato.
Con il sottoscritto al timone del comando l’organizzazione ebbe un periodo di grande tranquillità, tanto da meritarmi il premio NOBEL per la pace fra clan. Furono anni di crescita per la nostra onorata società, tanto è vero che avevo intenzione di quotarla in borsa. Decisione subito rientrata vista la pericolosità dell’ambiente.
Quando al culmine della nostra espansione si presentò all’orizzonte un’altra famiglia chiamata la “Gang dei Piazzisti”, molto più violenta della nostra, e che era guidata da un esperto in marketing. Violenza che noi giudicammo gratuita, infatti, i nuovi arrivati lanciarono una vera e propria offensiva porta a porta, proponendo forti sconti sulle tangenti, con raccolta di bollini e relativi premi come: un tiro di sigaretta, una spinta in discesa e altre amenità varie. E, in più, il premio finale dopo cento rate di pizzo regolarmente pagate: dieci rotoli di carta da parati trasparente.
Ma quello che ci diede il colpo di grazia, fu il lancio in grande stile del “Toto regolamento di conti”, una specie di moderno Bingo (senz’altro più innocuo) giocato con le foto dei candidati destinati alla mattanza stampate sulle cartelline. E ciò fece definitivamente crollare quel mercato che noi con tanta dedizione avevamo creato.
Alcuni picciotti ormai allo sbando si riciclarono come chierichetti, portando in dote le loro esperienze, dando così un tocco di mondanità alle parrocchie. Altri dovettero emigrare nei paradisi fiscali, dove trovarono una società troppo ostile per potersi adattare.
Per quanto mi riguarda trovai un posto da muratore in un’impresa di costruzioni, da dove sto tuttora scriv… en… dooooo…
Massimo Boni nasce a Firenze dove vive e lavora (commerciante di pavimenti in legno). Inizia la sua carriera artistica con la pittura e dopo passa alla musica come autore di testi e musiche. Ha un suo album all'attivo Amore & zone limitrofe, autoprodotto in poche copie per gli amici. Passa alla comicità pubblicando a proprie spese il suo primo libro Nessuno è perfetto, doppiandolo l'anno dopo con un altro libello: Tutti siamo stati spermatozoi
Nel frattempo contribuisce con alcune battute all'agenda di Comix e per qualche tempo ha una sua piccola rubrica sul "Vernacoliere". Come tutti, ha un suo romanzo (giallo) "serio" nel cassetto, e spera che un giorno qualcuno lo pubblichi.
Ultima ma non ultima cosa, è l'autore dei casi dell'improbabile commissario Max.
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