In Bersagli perduti ritornano i protagonisti della Cellar di Doherty, la meta agenzia dedita a chiudere le falle aperte dai membri infedeli degli altri servizi statunitensi. Il monolitico maggiore Gant, il tetragono Nero, il fido Bailey ripartono alla caccia di criminali da “sanzionare”, grazioso eufemismo di stampo militare per parlare di esecuzioni sommarie. Il ritmo dell’azione è sempre alto, così come il succedersi di nuovi elementi nella trama che l’autore riesce a svelare pian piano agli occhi del lettore in un succedersi di situazioni adrenaliniche e piene di tensione.
Cosa non va: sembra di assistere ad una compilation di sequenze di film d’azione degli anni ’90, con qualche flash delle ultime stagioni del serial televisivo 24. Le scene d’azione sembrano scritte per lo schermo più che per il lettore e il punto di vista spesso ricorda quello di una telecamera. Può anche essere visto come un pregio, personalmente ho trovato troppo spinto questo artificio.
L’evoluzione del main character (Gant) pare essersi arrestata. Rimane tanto efficiente quanto bidimensionale e il libro ne risente. Qualche eccesso negli armamenti.
Cosa va.
L’ingresso massiccio di nuovi personaggi nei quadri stabili della Cellar, ben tre e tutte donne, mostra che Doherty crede molto in una evoluzione della serie, il che fa ben sperare nel futuro.
Per il resto l’autore dimostra di avere conoscenze di prima mano del mondo delle forze speciali americane e dei loro difficili rapporti con il mondo degli spooks, delle agenzie di intelligence che li utilizzano in tutto il mondo. Vengono bene rappresentate la complessità e le rivalità delle varie sigle di law enforcement, così come emerge il disincanto dei personaggi nei confronti di questo mondo sotterraneo.
In definitiva un buon romanzo, teso ed efficace, adatto ad una collana come Segretissimo.
Nota bene: Robert Doherty è uno degli pseudonimi di Bob Mayer, autore molto prolifico ed ex membro dei Berretti Verdi.
Voto: ***
Racconto.
Gabriele Zoja, classe ’76, ci mostra un buon racconto spionistico italiano con due grossi pregi. Il primo quello di essere ambientato in un periodo recente e molto discusso, gli anni di “Mani pulite” che videro cambiare il mondo politico del nostro paese, il secondo è il ritmo, veramente alto dalla prima all’ultima parola. Difetti? Uno. Troppo “alteriano” il linguaggio, troppo vicina la prosa a quella del Magister. Una cifra più personale avrebbe reso ancora più godibile il racconto.
Voto: ***
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