Frost/Nixon-Il duello, una delle cinque pellicole che si batteranno per la statuetta di miglior film alla prossima notte degli Oscar (Il curioso caso di Benjamin Button, The Millionaire, The Rider, Milk, gli altri quattro…) e anche un esempio di precisione assoluta che dimostra in maniera “quasi” esagerata come sia possibile, partendo da una piece teatrale, giungere ad un risultato che scansa tutti i pericoli del “teatro filmato”.
Il pericolo era palese, visto che il film altro non è che il resoconto dell’intervista che Richard Nixon rilasciò (dietro lauto compenso…) nell’estate del 1977 al giornalista inglese David Frost, conosciuto fino a quel momento più come anchorman di successo e playboy che come giornalista politico. L’intervista, a tre anni da quel fatidico 9 agosto del 1974 giorno delle sue dimissioni dalla carica di presidente, coprì un arco temporale di quattro giorni e fu l’approdo di un lungo percorso costellato da estenuanti trattative con lo staff dell’ex presidente che tentò in tutti i modi di blindare gli argomenti (politica interna, estera, Vietnam e last but not least il Watergate) e le domande, riservandosi di interrompere la registrazione qualora una delle domande poste fosse stata ritenuta, a loro discrezione, fuori luogo.
L’obiettivo di Nixon era di ottenere, seppure assai in ritardo rispetto allo scandalo del Watergate, una sorte di riabilitazione “postuma” di fronte all’opinione pubblica americana, ma l’intervista al contrario si rivelò come un boomerang per la credibilità dell’ex presidente, culminante in una tardiva ma decisiva ammissione di colpevolezza da parte dello stesso Nixon.
Ron Howard, sua la regia (candidata all’Oscar), filma l’evento alla stregua di un incontro di boxe, con domande e risposte al posto dei pugni e i rispettivi staff a fare il tifo, prima sgomento quello di Frost perché per i primi tre giorni l’ex presidente sembrò perfettamente a suo agio nell’avere gioco facile con l’intimorito giornalista, poi entusiasta di fronte al crollo quando Frost riuscì a far ammettere a Nixon le sue colpe.
Il lavoro di Howard è superbo per scelta del soggetto (anche la sceneggiatura di Peter Morgan è candidata all’Oscar…), degli interpreti, per l’attenzione ai particolari e per l’equidistanza tra le parti (troppo facile buttare la croce addosso a “Tricky Dick” o fare di Frost una macchietta…), ma lo è soprattutto per il modo con il quale Howard filma il tutto, concentrandosi non sulle pause e sull’inquadratura più semplice in questi casi, il campo-controcampo. Sceglie invece di puntare sui movimenti e sul dinamismo di quanto accade nelle inquadrature, sulla frenesia della messa a punto di un’intervista che è chiaro non risparmierà colpi e bassi e che vedrà solo un vincitore. Ma ad essere superbo è anche il modo in cui il materiale girato scorre davanti agli occhi, merito della coppia di montatori Mike Hill e Daniel P. Hanley (altra candidatura per il montaggio…) con un ritmo ed un’intensità che accresce il potenziale dinamico della messa in scena. L’adrenalina così scorre a fiumi, sui corpi di una delle coppie intervistatore/intervistato più che curiose che si siano mai viste: un David Frost (Michael Sheen) che pare una sorta di Mr. Bean intenzionato a fare il salto di qualità, e il più odiato e discusso Potus che gli iùesei abbiano mai avuto (Frank Langella candidato all’Oscar come migliore attore non protagonista e insieme a Sheen interprete della pièce teatrale dalla quale è tratta la sceneggiatura).
Sia che vincerà, sia che rimarrà ignorato, il percorso di Frost/Nixon - Il duello si è già concluso. È infatti già approdato là dove scorrono le immagini di altre pellicole che mentre raccontano dei Potus e di come hanno saputo (o non hanno saputo...) gestire il potere che è stato loro conferito, parlano anche di altro; del cinema ad esempio…
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