Personaggio originale e soprattutto pensato, quello creato da Barry Eisler per la sua serie noir-spionistica iniziata con Pioggia nera su Tokyo(titolo originale Rain Fall, Garzanti 2004) e che arriva, a circa un anno di distanza con un secondo episodio (titolo originale Hard Rain) per i tipi Garzanti. Alba nera su Tokyo è qualcosa di più di un noir o di una storia di spie e gangster Yakuza. Ne avevo parlato nella terza puntata del DOSSIER sulla mafia giapponese ma l’uscita italiana del romanzo mi consente di tornare in maniera più specifica su uno dei romanzi che ritengo più interessanti dell’ultima stagione. Rileggere il genere (o forse i generi perché nei suoi romanzi Eisler ne mescola più d’uno) non sempre è facile, oltre la conoscenza dell’argomento, una buona idea e la capacità di articolarla c’è sempre il pericolo di ricadere in vecchi cliché. La figura del killer a pagamento poi è diventata, al cinema e nei romanzi, forse uno degli archetipi più classici, tanto che la figura del sicario che non spara, in crisi esistenziale ormai si presta quasi più a parodie che a vere e proprie innovazioni. Eisler supera brillantemente l’esame innanzitutto rinunciando a mettere al centro dei suoi romanzi un personaggio troppo giovane. John Rain, parte americano, parte giapponese, ha imparato il mestiere di uccidere in Vietnam, di per sé un altro luogo comune se non che, all’inizio del ventunesimo secolo, ciò lo colloca generazionalmente in un’età in cui gli uomini cominciano a ingrigire e di mestieri così pericolosi dovrebbero non aver più voglia. Non che Rain ami uccidere, ma è forse la cosa che sa far meglio, se possibile simulando morti apparenti ma, come in questo romanzo, se è costretto sa procurare la morte anche in uno scontro diretto. Poi, come sangue misto, ha fatto una cosa di per sé totalmente fuori dagli schemi. Si è fatto correggere la piega degli occhi per sembrare più giapponese, proprio oggi che le cronache ci riportano la vera e propria mania dei nipponici di tingersi i capelli e farsi correggere chirurgicamente le pieghe epicantiche per apparire… più americani. Insomma John Rain è un uomo rimasto segnato dall’Asia che ama e odia, che vorrebbe lasciare ma che non si decide mai a farlo. Un po’ la storia della sua vita, come il suo lavoro e la cantante Midori, del quale ha ucciso il padre ma di cui è innamorato come abbiamo visto nel precedente episodio e come viene riconfermato in questo. Mescolatosi a una brutta storia di spie americane e politici corrotti e conniventi con la Yakuza, John sta seriamente pensando di smettere di lavorare, magari anche di lasciare il Giappone, eppure se si allontana da Tokyo non arriva oltre Osaka, città antica e di fascino, non certo il trampolino ideale per lasciarsi alle spalle il paese. E sì che avrebbe già pronta una nuova identità di giapponese espatriato in Brasile come tanti. Poi succede qualcosa, un vecchio amico finisce nei guai, la CIA e la mafia non mollano la preda e persino Midori sembra diventata una pedina per incastrarlo. E allora John Rain torna a essere quello che è sempre stato, un assassino in un mondo ancor più brutale. E qui, più forse ancora che nell’intrigo d’azione, ineccepibile ma, come dicevamo, sempre inserito in un genere costretto a convenzioni nel suo sviluppo, Eisler mostra di conoscere il Giappone vero, quello moderno che è molto differente all’immagine pittoresca che ci ha fornito Hollywood e, sì, anche molti libri sull’argomento scritti da occidentali. La Tokyo in cui Rain torna a muoversi è quella dei locali notturni di Akasaka, i lap dance club ma anche quella dei jazz bar, delle palestre piccole e clandestine, degli incontri fuorilegge dove tutto, ma veramente tutto è ammesso. Una distorsione del mondo delle geishe e dei samurai marziali che conosciamo. Murakami, il killer ancor più brutale di lui che diventa preda e specchio in una lunga e tormentata caccia nella Tokyo notturna, è un campione di Pride, una insolita forma di combattimento che i brasiliani hanno inventato distorcendo le arti marziali giapponesi reintroducendola nel paese del Sol Levante dove è diventata ancora qualcos’altro, forse un paradigma della violenza stessa dell’ambiente che fa sfondo all’avventura. Non è il Fight Club per yuppie in crisi d’identità del film con Brad Pitt, è un universo oscuro, osceno nella sua brutalità, quasi invisibile. Così come i locali come il Damask Rose che fa da sfondo a gran parte dell’azione notturna, erotica se non romantica del romanzo è una distorsione dei rapporti tra occidentali e ragazze-kampai che ci hanno propinato innumerevoli film e libri. Sta proprio in questa autenticità, nel piacere oscuro di calarsi in una universo “nero” fuori degli schemi che emerge l’abilità di Eisler come narratore di genere. E il jazz, passione del protagonista quanto dell’autore, accompagna lo svolgersi di un’avventura scandita da azione e sentimenti, tradimenti e corruzioni, inedita eppure vicina al nostro immaginario. Di certo un personaggio da non dimenticare questo John Rain, e sicuramente una serie da seguire con attenzione nel suo evolversi.