Enzo Lancellotti scese dal predellino del camper affondando le scarpe nella terra umida del prato. Si stiracchiò pigramente, osservando il cielo di Bretagna che, nonostante fossero già passate le dieci, non sembrava ancora disposto a cedere il passo alle tenebre notturne.
– Che pace! – pensò – Qui nessuno ti rompe le scatole. –
Mentre addentava, goloso, un biscotto fragrante e intriso di burro, gli venne il mente il rumore assordante delle moto che, a quell’ora della sera, percorrevano a tutto gas i viali di Montecatini. Gli sembrò anche di distinguere, con orrore, il frastuono assordante delle slot machine del bar sotto casa e le urla sguaiate degli avventori.
Ora che finalmente stava per andare in pensione, la prospettiva di viaggiare più spesso lo riempiva di sollievo e lo rendeva entusiasta come un ragazzino desideroso di avventura.
Sì, presto avrebbe razziato tutti i dépliant più invitanti delle agenzie di viaggio e, mentre sua moglie si stressava in ufficio, lui avrebbe progettato escursioni in cima al mondo…
Quel camper da otto posti, noleggiato per le vacanze in Bretagna, gli piaceva proprio. Eccome se gli piaceva! Lo trovava estremamente comodo, soprattutto quando guidavano gli altri.
Andare in vacanze con i soliti amici gli garantiva un trattamento da satrapo. Ernesto, che per le sue indiscutibili doti organizzative e di comando era soprannominato “il Generale”, guidava volentieri, sia lungo le autostrade deserte che per i tornanti insidiosi, mentre Raffaele scrutava le mappe con la perizia di un Marco Polo, il cui versatile ingegno era stato ingiustamente sacrificato alle officine Ansaldo–Breda. Emilia aveva il compito di studiare le notizie storiche e artistiche della guida Michelin e di escogitare itinerari ardui e impossibili. Laura, invece, fingeva di dormire ma, in realtà, osservava i compagni, meditando trame astruse per i suoi racconti. Monica, da parte sua, cantava la “ninna nanna” al suo cucciolo di boxer, Maria sbadigliava guardando fuori dal finestrino e Giuseppe fotografava senza posa treni merci, fari e punte rocciose immerse nella spuma dell’oceano.
In fondo, pisolare sul letto mansardato ben si accordava allo spirito filosofico del preside Lancellotti, alimentato da frequenti spuntini e da una buona dose di saggezza partenopea. Così, cullato dagli scossoni di quel camper tecnologico e accessoriato, aveva modo di meditare sul significato liberatorio del viaggio, inteso anche come metafora della vita.
– Scusa Enzo, me lo faresti un piacere? –
La voce stentorea del Generale lo distolse dalle meditazioni del dopo cena.
– Dimmi, caro – rispose il preside con voce flautata, ingoiando furtivamente l’ultimo pezzo di biscotto.
– C’è qui Esmeralda che deve fare la pipì … Monica sta facendo la doccia e io sto trafficando nel tentativo di aggiustare questa dannata rice-trasmittente. Non è che potresti portarla tu? –
La voce del Generale sembrò farsi quasi supplicante, mentre il boxer saltava festosamente dal camper inondando di bava i pantaloni puliti del preside.
– Figurati, con piacere. – rispose garbatamente il Lancellotti cercando invano di difendersi con le mani dalle esagerate espansioni di affetto della cagnetta.
Monica, avvolta in un elegante accappatoio verde smeraldo, fece capolino dalla finestra del bagno.
– Sii brava Esmeralda. – raccomandò – Vai a passeggio con lo zio. Ma non tirare troppo il guinzaglio, altrimenti lo fai cadere! –
– Bravo Enzo, fatti due passi. – gli gridò la moglie affacciandosi con un asciughino in mano dal predellino del camper. – Così almeno digerisci il quintale di tonno e fagioli che ti sei mangiato a cena! –
– Dai Maria, non essere esagerata. – gli gridò Enzo di rimando – Ma quale cena? Era solo uno spuntino frugale. –
Esmeralda, frattanto, impaziente di esplorare il territorio sconosciuto, tirava il guinzaglio con la forza di un carro di buoi. Così il preside Lancellotti si allontanò dal prato e si avviò, a passo svelto, verso un gruppetto di case in pietra avvolte in un silenzio irreale.
Dopo aver superato una serie di giardinetti solitari traboccanti di ortensie rosa e violacee, si trovò di fronte l’immensità magica della brughiera.
L'orizzonte, in lontananza, disegnava una sottile linea luminosa e il rumore dell’oceano giungeva come un’eco lontana e misteriosa.
Il sentiero che imboccarono era ampio e, a tratti, sassoso. Intorno non si vedeva anima viva.
Enzo respirò profondamente l’aria frizzante della sera. Poi guardò l’orologio: erano le dieci e un quarto e il cielo incominciava appena, appena, a tingersi dei colori violacei della notte, mentre il chiarore si faceva sempre meno intenso.
Laggiù in fondo, l’immensa distesa ricoperta di erica, gli ricordò il paesaggio di un gigantesco poster che Maria aveva voluto comprare in un negozio di souvenir a Saint–Malo.
In effetti, gli sembrava davvero di muoversi in una cartolina. Già vedeva la didascalia: “Turista italiano con cane a passeggio nella brughiera bretone”. Peccato che Giuseppe fosse rimasto nel camper a leggere un libro di Pamuk. Altrimenti gli avrebbe potuto fare una foto con la sua digitale supertecnologica e, magari, l’avrebbe potuta mettere per ricordo sul desktop del suo computer.
Ad un tratto, qualcosa sfrecciò sul sentiero, con la velocità di un razzo, tagliando la strada ad Esmeralda che annusava i cespugli che odoravano di salsedine. La cagnetta ebbe un fremito. Dopo un istante di perplessità, incominciò ad abbaiare furiosamente, divincolandosi e tirando il guinzaglio con un’irruenza tale che il povero Enzo, per poco non perse l’equilibrio.
– Calma, Esmeralda. Non ti agitare – cercò di tranquillizzarla come faceva un tempo con gli studenti più indisciplinati – non lo vedi che è un animaletto inoffensivo? Sarà una lepre o, forse, una volpe … chi lo sa se ci sono volpi da queste parti ?! –
In realtà, a pensarci bene, in quell’atmosfera un po’ inquietante, sarebbe stato più naturale veder apparire un unicorno o un’altra bestia mitologica.
D’altra parte quelle erano le lande favolose dove gli antichi bardi avevano ambientato le leggende di amore e di avventura del “ciclo bretone”. Nessuna sorpresa, quindi, se l’ombra di qualche antico druido aleggiava ancora fra i cespugli e dietro le rocce di granito rosa, con l’innocente intenzione di terrorizzare qualche turista invadente.
– Ma non è il caso di suggestionarsi troppo. – osservò ad alta voce Enzo, avvertendo un brivido di freddo lungo la schiena – In fondo, qui abitano soltanto dei contadini corpulenti e un po’ musoni. Mi sembrano abbastanza pacifici e abitudinari. Sicuramente, a quest’ora, se ne staranno tappati nelle loro casette delle fate, nascosti dietro le imposte di legno con i fiorellini sul davanzale, a bersi dei bei boccali di sidro dolciastro. E magari ci inzuppano anche quei bei biscottoni burrosi … Alla faccia del colesterolo! –
Il preside sospirò, avvertendo il solito languorino che lo prendeva ogni sera alla bocca dello stomaco. Un languorino insistente e peccaminoso che lo costringeva ad un supplemento di cibo, ingurgitato con fastidiosi sensi di colpa, all’insaputa della moglie addormentata.
- Svelta Esmeralda, fai questa pipì, che ce ne torniamo al camper. –
Ma il boxer, spinto dall’irruenta incoscienza dei cuccioli, non sembrava affatto propenso a invertire la direzione. Anzi procedeva sempre più eccitato, ansimando come un mantice e lasciando sul terreno lunghe stalattiti di bava biancastra.
Mentre il preside tentava di trascinare Esmeralda e di farle invertire il senso di marcia, laggiù, in lontananza, un’ombra scura emerse fra l’erica. Con la coda dell’occhio, Enzo la vide avvicinarsi sempre di più, finché non riuscì a distinguere chiaramente la sagoma di un cavallo con in groppa il suo cavaliere. Il rumore sempre più insistente degli zoccoli agitò la cagnetta, che tese i muscoli delle zampe posteriori, nello sforzo di liberarsi del guinzaglio.
Il possente cavallo nero si fermò a pochi passi da loro. Il cavaliere si tolse con fatica l’elmo rugginoso che teneva in testa e guardò dall’alto in basso il turista e il cane.
– Buonasera – azzardò educatamente il preside.
Il cavaliere, che non doveva essere di primo pelo – almeno a giudicare dalla barbetta grigia e dagli occhi infossati fra le rughe – lo scrutò ancora. Infine lo apostrofò in perfetto italiano: – Pace a te, straniero. Sei un cavaliere errante, visto che te ne vai a piedi, tutto solo, con l’unica compagnia del tuo cane. –
- Veramente sarei un turista italiano in visita di piacere. Lancellotti Enzo, preside di un liceo toscano. –
Il cavaliere corrugò la fronte e un lampo di ira gli accese improvvisamente gli occhi grigi: – Dunque tu sei il fedifrago! Non ti avevo riconosciuto. Evidentemente il tradimento ti ha cambiato il sembiante. –
Ma subito dopo il tono della sua voce si placò e un velo di tristezza gli passò nello sguardo.
Ora Enzo lo vedeva benissimo, anche se era già calata la sera e tutto intorno l’immensa distesa sembrava un mare uniforme e scuro.
– Scusi, non capisco. Forse lei mi scambia per qualcun altro … – lo interruppe timidamente Enzo, tentando di tenere a freno Esmeralda, la quale annusava morbosamente i garretti del cavallo.
– E Ginevra, Ginevra, dov’è” – chiese agitato il cavaliere, tormentando con la mano sinistra l’elmo che teneva sotto il braccio destro.
– Lo vede che c’è un equivoco? – gli fece notare il preside con la sua consueta calma, non scevra da un certo accento didascalico, frutto di una evidente deformazione professionale.
– Quale equivoco? Ma se la conoscono tutti la storia! Sono secoli che se ne parla. Pensi forse che sia facile per me trascinarmi dietro l’onta dell’adulterio di mia moglie? –
Subito dopo soggiunse, con un tono così dolente da far accapponare la pelle: – E dire che eri il mio migliore amico. Ah, ser Lancillotto, perché mi hai fatto trangugiare un calice tanto amaro? –
Esmeralda mugolò impietosita, fissando lo sconosciuto con i suoi occhioni languidi.
– Ah, ora capisco – Enzo si illuminò – vede bene che lei mi scambia per un altro. Io mi chiamo Lancellotti, non Lancillotto e le assicuro che io la signora Ginevra non la conosco affatto. O meglio, una Ginevra la conoscevo tanti anni fa … Era un’amica di mia sorella Lina e abitava al Vomero. Era una brunetta niente male. Poi, però, sono andato a studiare in Polonia e … –
– Bando alle chiacchiere. Se sei un cavaliere, con tanto di diploma di investitura, devi accettare la mia sfida e batterti a singolar tenzone! –
– Senta, io comprendo benissimo che le corna le diano un certo fastidio ma deve credermi: io non c’entro niente. Da quando mi sono sposato con Maria, le assicuro che non ho più guardato una donna. Nemmeno le professoresse bellocce e scollate. Si figuri se posso essermi sollazzato con la sua signora. Ma per carità … –
Il cavaliere scosse il capo e poi sorrise con incredulo sarcasmo: – Ah Lancillotto, Lancillotto … Un tempo eri il mio amico più fedele! Però vedo che il tradimento non ti ha fatto bene alla salute. Ti trovo ingrassato e la tua chioma non è più fluente come quella di un tempo. Anche i tuoi occhi cerulei non ammaliano più. –
– Beh, diciamo che sono un po’ sovrappeso – ribatté risentito il Lacellotti – ma le assicuro che ho sempre un certo successo con le donne. Sebbene, come le ho già fatto notare, non ceda più da lungo tempo alle lusinghe di femmine estranee. Lei piuttosto, mi sembra un po’ giù di corda. –
– Eh sì, purtroppo non ho più la forza di quando ero giovane. Allora sbudellavo i nemici, me la ridevo degli incantesimi, sradicavo le spade dalla roccia … Ahimè sono finiti i bei tempi della tavola rotonda! Te le ricordi quelle belle partite a tressette, con Galahad che ogni sabato sera partiva, ubriaco fradicio, alla ricerca del santo Graal ? E il povero Tristano, che si era fissato con quella bionda … come si chiamava? Ah sì, Isotta! –
Il preside guardava stralunato il suo interlocutore, mentre il vento dell’oceano faceva agitare i ciuffi di erica e piegava i cardi spinosi che sbucavano in alcuni tratti del sentiero.
Esmeralda osservava incantata la coda del cavallo che si agitava freneticamente nel tentativo di scacciare una mosca impertinente.
– Ah – fece finalmente il Lancellotti, come folgorato da un’improvvisa intuizione – allora lei sarebbe niente meno che … re Artù! –
– E chi altri dovrei essere se non il glorioso Artù, figlio di Uther Pendragon, fratello di Morgana, marito di Ginevra e signore di Camelot? – rispose orgoglioso il cavaliere, mentre un soffio di vento più impetuoso gli scompigliava i radi capelli grigi.
– Strano, – commentò il preside, perplesso – come fa ad esprimersi così bene in Italiano? –
– Caro signore, in tempi di globalizzazione bisogna attrezzarsi. Chi non sa le lingue non ha nessun futuro. Nemmeno come fantasma. Sa, l’ente del turismo bretone ci tiene a far bella figura con gli ospiti stranieri. In altri tempi una performance come questa fruttava abbastanza. Ora, invece, con l’euro, il costo della vita è aumentato anche in queste lande e, lei capirà, un re deve sempre fare la sua figura … –
– Ho capito, – fece il preside rassegnato – le bastano venti euro, maestà? –
– Oh, grazie, grazie, amico mio. Sei veramente magnanimo. Per compensarti del tuo buon cuore, ti perdono. –
– Di cosa, mi scusi? –
– Ma del tradimento! Anzi, per dimostrarti che non ti serbo rancore, ti lascio Ginevra. Portatela via e non ci pensiamo più. Tanto ormai ha la cellulite e con la menopausa è diventata insopportabile. Ora devo andare, ho un appuntamento ad Avalon e si sta facendo tardi. Addio, amico mio. –
Re Artù scomparve nel buio che ormai avvolgeva completamente la brughiera.
Esmeralda rimase ad osservare il cavallo che si allontanava al galoppo, inghiottito da una nuvola di polvere.
Allora i due si incamminarono pensosi verso il prato dove li attendeva la confortante presenza del camper. Quando, finalmente arrivarono al grande prato, Esmeralda, mugolando di soddisfazione, alzò una zampina e colpì in pieno una delle ruote posteriori del mansardato.
Raffaele, che fumava un sigaro placidamente adagiato sulla sdraio, osservò seraficamente: – E brava la nostra Esmeralda! Se ti vede il Generale … –
Laura Vignali è nata nel 1957 a Pistoia, dove vive e insegna lettere all'Istituto Tecnico Commerciale "F. Pacini". Ha pubblicato due romanzi gialli: Il treno fischiava ancora, Pescara, Tracce 2007 e Tutta colpa di Amalia, Viareggio, Del Bucchia 2007. Il suo racconto inedito L'ultima sfida nel far west padano ha partecipato al "Premio Europa" per la narrativa gialla e noir al femminile, classificandosi al I° posto. Nel 2008, sempre per Del Bucchia editore, è uscito il giallo Il dottor Bencistà e il segreto delle tre donne sole. www.lauravignali.blogspot.com
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