Anno nuovo, appuntamento vecchio. Ormai il 2009 è avviato ed è con grande piacere che cominciamo la nostra rubrica ospitando, nel salotto letterario virtuale prima di tutto un amico. Renzo Saffi, infatti, è un nome noto su queste pagine e con il suo romanzo Bambole Perdute (libri/7461), uscito qualche mese fa per Flaccovio, ha raggiunto il traguardo della sua prima volta editoriale.
Per prima cosa, grazie Renzo, per aver accettato il mio invito e, dimmi un po’, come ci si sente per la prima volta dall'altra "parte della barricata"?
Grazie a te, Chiara. Dall'altra parte della barricata si sta meglio, ma non troppo. Si sa che di solito, quando vinci una guerra, dopo ne inizia per forza una più grande.
Nonostante tu sia un esperto di letteratura di genere, vista la tua lunga collaborazione con Border Fiction, con Bambole Perdute, hai voluto provare un altro tipo di scrittura. Come definiresti il tuo romanzo quindi?
Tutto il contrario che una storia per educande.
Ma ci sono delle sfumature in cui Bambole Perdute si può definire noir?
Non è mia intenzione aprire una discussione sui generi e ragionare rigidamente per etichette. La storia scorre volutamente su quella lama di rasoio che separa la narrativa di genere da quella che potrebbe essere considerata mainstream. Non a caso, il romanzo è uscito nei "fuoricollana" di Dario Flaccovio Editore. Ma se l'idea di noir collima in parte con la necessità di sondare quella metà nascosta o meglio "oscura", di ognuno di noi, allora posso dire che gli amanti del noir avranno pane per i loro denti.
La storia che tu decidi di raccontare è piuttosto particolare, unisce diversi elementi su uno sfondo italiano con un taglio piuttosto inedito. Da dove è nata l'idea originaria per questo romanzo?
L'idea nasce da alcune leggende metropolitane di cui ho sentito parlare. Persone che a causa di una filtro d'amore, sono rimaste schiave di un amore cieco, indissolubile, che le ha portate ha distruggere la loro vita nel disperato tentativo di inseguirlo. E certe leggende, si sa, hanno un fondo di verità, a volte anche senza filtri d’amore.
Per dare un'idea dei contenuti a chi ancora non lo ha letto, prova a inventare un "trailer" di Bambole Perdute.
Mi attengo al testo: "La guardò allontanarsi lentamente su quei tacchi a spillo che la tenevano in piedi come una statua greca, mentre i riflessi dei lampi le illuminavano gli arabeschi dei capelli corvini. Un fuoco gli salì dalle viscere e si trasformò in un incendio, ardendolo da dentro come una torcia. E quel fuoco voleva prepotentemente qualcosa: lei".
Un aspetto che mi ha incuriosito, invece, dopo aver terminato la lettura è la scelta del titolo. Perché hai scelto proprio Bambole Perdute?
E' arrivato col tempo. Inizialmente non ne avevo la minima idea. Una volta finito di scrivere ho cercato di rifarmi a ciò che ho intuito emergere come tema portante del romanzo: la perdita. Ogni personaggio ha perso qualcosa, una parte di lui, qualcuno o qualcosa che amava profondamente. Di conseguenza i personaggi cercano l'uno nell'altro, proprio quello che hanno perduto e che non riescono sempre a definire, ma quello che trovano sono continuamente abbagli, momentanee sostituzioni della perdita originale. Da qui l'idea della bambola.
Come abbiamo anticipato, nel tuo romanzo accosti tanti elementi, che appaiono a volte anche opposti tra loro: amore, magia, problemi legati al lavoro in fabbrica. Come sei riuscito a farli convivere in modo che risultassero coerenti nella storia?
Sì, ci sono molti aspetti. Solo in apparenza antitetici perché ho voluto mischiare il realismo più spietato a elementi quasi surreali allo scopo di rovesciare volontariamente questi due punti di vista. Nel romanzo, è più surreale la vita del tutto normale del protagonista che il suo amore disperato per Ivana, frutto di un filtro magico. Nel romanzo, l'incessante conflitto interno ed esterno dei personaggi, viene delineato attraverso contrasti di questo tipo. Sono stati espedienti per portare agli estremi la tensione narrativa e l’intensità drammatica della vicenda.
Perché la scelta proprio di un filtro d'amore per dare il via alla vicenda? Sembra quasi un espediente un po' da "altri tempi"…
Mi stimolava molto l'idea di riuscire a riportare lo spirito delle torbide storie d'amore e morte dei vecchi feuilletton (che io tra l'altro adoro) ai tempi d'oggi, contestualizzandolo però all'interno di un'atmosfera moderna da provincia industriale. Inoltre mi serviva per creare le condizioni adatte per definire un amore talmente cieco da non permettere una mediazione razionale, incapace di spegnersi davanti a un tradimento o alla dimostrazione che quella persona non è quella che fa per te. In sostanza, un tipo di sentimento che ti costringe a desiderare anche chi avresti ragione per odiare con tutto te stesso.
Quindi il tuo romanzo è una storia d'amore?
E', anche, una storia d'amore. Solo che non credo che tutti quelli che hanno finito di leggere il romanzo siano rimasti proprio di quest'idea.
A questo punto del discorso è quasi doveroso soffermarci un attimo sui personaggi. Chi è Oliviero Ferretti?
Oliviero è inizialmente un uomo incapace di provare sentimenti (alessitimia n.d.r). La sua quotidianità lo porta a delle azioni, a delle funzioni, che lui continua a ripetere anche se in realtà non ne intravede più la ragione. In sostanza è come una la ruota di un ingranaggio più grande di lui. Quando Oliviero sceglierà di ribellarsi a questo destino, e a mandare in pezzi le parti del sistema che lo circonda, comincerà a domandarsi chi è veramente. Alla fine, non è escluso che lo scoprirà. Ma come sempre, la verità è una lama a doppio taglio.
Ci sono elementi autobiografici?
Direi di no. Ho ben poco in comune con il protagonista. Anzi, credo di essere proprio il suo contrario. Forse, è proprio perché i poli opposti si attraggono, che sono riuscito a caratterizzarlo in questo modo. Credo che l'intero romanzo sia stato scritto attraverso la mia cosiddetta "metà nascosta".
Ivana invece è l'elemento destabilizzante, che porta la rivoluzione nella vita del protagonista, sconvolgendolo fino all'epilogo finale, perché disposta al tutto e per tutto pur di avere questo uomo. Ivana è quindi un personaggio negativo?
Di certo, se la incontrassi per strada, tirerei dritto, anche se con molta fatica (ride, n.d.r). Ivana corrisponde alla figura della dark lady, ma non la considererei un personaggio negativo in senso assoluto. Nessuno nel romanzo lo è. Ivana è che è schiava di se stessa, della sua natura che non riesce a cambiare, e a cui allo stesso tempo, si appiglia con tutte le sue forze perché ha bisogno di sentirsi viva.
L'aspetto invece più reale e concreto del romanzo è la sua ambientazione a Dalmine e in particolare la vita lavorativa in una fabbrica qui localizzata. Come ti sei documentato per ricostruire questa zona e questa tematica sempre così attuale?
Ho avuto certe esperienze lavorative a riguardo. Qualche dettaglio l'ho preso da lì, in altri casi mi sono documentato. Anche se in realtà la vita in fabbrica non è che un contesto che mi serviva principalmente per finire il luogo interiore in cui abita il protagonista. Oliviero Ferretti non timbra il cartellino solo quando va a lavorare. Lo timbra ogni volta che si sveglia, ogni volta che entra in casa, ogni volta che va a dormire. Ogni giorno della sua vita si svolge con la stessa meccanicità del lavoro in fabbrica.
Distacchiamoci per ora dalle tematiche del romanzo e parliamo in generale del mondo della scrittura e dell’editoria. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?
Anche se il tempo è tiranno scrivo quanto più posso. Stephen King definiva la scrittura come un atto magico e io mi sento profondamente sintonizzato su questa definizione. E' molto affascinante costruire dei personaggi e scoprire, dopo un tempo, che sono loro, con le loro reazioni e le loro peculiarità a guidarti nella storia. Trovo anche molto interessante il rapporto che intercorre tra gli scrittori e i lettori. E' un rapporto simile a quello degli amanti, un rapporto notturno, fatto di sussurri e segreti. Spesso chi scrive è più intimo con uno dei propri lettori, anche se sconosciuto, che con la propria madre. In un certo qual modo, è come se la scrittura ti permettesse di esistere al di là delle barriere dello spazio e del tempo.
Quindi chi scrive, lo fa pensando già ai suoi lettori?
Sicuramente credo che chi scrive debba sempre farlo dal punto di vista critico, ovvero dovrebbe costantemente domandarsi se questa scena o quel personaggio, sono strutturati e definiti in modo adeguato, se possono annoiare, o piacere ad un eventuale lettore. Poi, c'è anche chi preferisce non condividere la scrittura e coltivarla in totale solitudine come se fosse una scabrosa malattia o un'insana dipendenza dall'etere.
Tu prima che scrittore sei curatore del portale on line Border Fiction. Questa esperienza ti ha aiutato nell’approcciare la scrittura?
Direi proprio di sì. Seguire Borderfiction mi ha aiutato a sviluppare una certa visone delle tendenze editoriali del momento attuale, e allo stesso tempo a tenere d'occhio le vere esigenze dei lettori. Tutto questo mi ha aiutato a schivare certi cliché narrativi triti e ritriti e a tentare di scommettere su una narrazione più inconsueta e personale.
Ma non c'è il rischio di entrare in conflitto d'interessi? Cioè è possibile essere, secondo te, un buon "critico" e allo stesso tempo un autore?
Personalmente non mi definisco un critico ma piuttosto un lettore. Inoltre credo che i cosiddetti "critici" abbiano spesso commesso dei danni incommensurabili verso l'arte in genere. Basti pensare all'ancora radicato stigma affibbiato alla letteratura di genere, considerata un’arte minore, per non dire spazzatura. In secondo luogo, mi fido più delle "critiche" di un autore. Il fatto di scrivere, personalmente mi permette di avere una visione più profonda delle intenzioni e delle fatiche dell'autore, quando leggo un romanzo. Poi, nulla toglie che purtroppo è molto, molto, difficile essere critici imparziali di se stessi.
Da come ne parli sembra che sia stato tutto molto facile. Qual è la difficoltà più grossa nello scrivere un romanzo?
Proprio questa. La necessità di dover assumere il più possibile un punto di vista neutro per giudicare impietosamente ciò che si ha scritto. E non è affatto facile prendere distanza quando la propria sensibilità è ancora alterata dal processo creativo. Dopo aver confermato alla casa editrice il visto si stampi, mi sono chiesto per diversi mesi se avessi veramente scritto qualcosa di interessante, oppure la cazzata del secolo. Solo adesso riesco a mettere le cose un po' più a fuoco.
Come sei arrivato alla pubblicazione?
E' stato un processo abbastanza naturale. Mi sono fatto strada attraverso diversi concorsi e antologie. Nel frattempo ho conosciuto la Dario Flaccovio Editore con cui sono entrato subito in risonanza. Dopodiché ho mandato a loro il romanzo e lo hanno accettato.
A questo proposito hai accennato alla tua partecipazione a diversi progetti e concorsi, secondo te aiutano a farsi strada? Hai qualche esperienza che vorresti segnalare in particolare?
Secondo me aiutano a farsi strada e sono un'ottima palestra. In primavera uscirà la prossima antologia di Lama e trama, con il racconto Io sono nessuno, classificato al secondo posto nell'edizione 2008 del concorso.
Riguardo a questo aspetto abbiamo sentito anche Raffaella Catalano, editor della Flaccovio, che ha lavorato sul romanzo di Renzo Saffi. Perché avete deciso di pubblicare Bambole Perdute e come è stato il lavoro sul manoscritto?
Io ho trovato Bambole perdute un romanzo con una bella storia e un'atmosfera molto coinvolgente. Ho trovato interessante e insolita, rispetto ad altri inediti che ho letto di questi tempi, anche l'ambientazione. Ecco il perché della mia scelta, che l'editore ha sostenuto. Il lavoro è stato semplice: a parte qualche intervento nel pre-finale, non ci sono stati problemi particolari. E poi io e Renzo abbiamo lavorato in accordo, in grande armonia.
Secondo te è un autore di cui sentiremo ancora parlare?
Renzo ha un'ottima scrittura, a mio parere. Quindi mi auguro che sottoponga a Dario Flaccovio un'altra bella storia e che possa essere pubblicata.
E tu Renzo sei soddisfatto del risultato?
Direi di sì. Con Bambole perdute ho giocato una mano azzardata. Basti pensare a quanto sia stato difficile gestire un personaggio che soffre di mancanza di emozioni. Nella scrittura una buona parte dell'identificazione del lettore passa attraverso l'emotività del personaggio. Ho scommesso che potesse esistere anche un processo di identificazione contrario. Infatti sono rimasto poi piuttosto stupito di quanti mi hanno detto di essersi ritrovati nel senso di vuoto del protagonista. Inoltre, il fatto di non voler dare un'identità precisa al romanzo per evitare di ripercorrere piste già battute, poteva essere un’intenzione così zelante da produrre un originalissimo buco nell’acqua. Sembra che invece non sia successo.
Quindi adesso ti si può definire uno scrittore?
Naturalmente non a tempo pieno. Di certo se una casa editrice fosse disposta a creare delle condizioni perché lo potessi diventare, non credo che fuggirei a gambe levate facendo il segno della croce. Ma dubito fortemente che questo possa accadere ora, e per di più in Italia. In ogni caso non è una delle mie priorità definirmi nel ruolo dello scrittore, quanto piuttosto "fare" lo scrittore.
Ti auguriamo di riuscirci. Concludiamo con la più classica delle domande: progetti per il 2009?
Grazie, Chiara. Sì, diversi progetti. Alcuni in antologie prossime all'uscita. Inoltre sono a buon punto con il mio secondo romanzo.
Qualche anticipazione?
Sì, ma solo dopo aver scritto la parola "fine". Nel frattempo, molte magie possono ancora accadere.
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