Giunto al suo terzo biopic “presidenziale” (dopo JFK – Un caso ancora aperto, e Nixon – Gli intrighi del potere), il primo su un presidente ancora in carica seppure per poco, e vivente, Oliver Stone con W. torna di nuovo ad affacciarsi sul ciglio della storia e a guardare giù. Guarda la giovinezza di George Walker Bush, sregolata e alcolica (soprattutto alcolica…), osserva i suoi conflitti edipici con Bush senior e l’incontro con Laura che ne diventerà la moglie, ne scruta la resurrezione da perfetto “born again” e da allora in perenne dialogo con un “padre che sta più alto del suo padre terreno”, contempla i primi incerti passi nel mondo politico e la sua affermazione forse al di là di ogni aspettativa, compresi i rapporti con i suoi consiglieri, in particolare Karl Rove, “the genius”, al quale la presidenza Bush jr. deve molto se non moltissimo.
Ancora, vede i suoi pochi amici e i suoi molti nemici, la II Guerra del Golfo, ma in particolare fissa lo sguardo sulle sue incertezze, poche, pochissime, e le sue convinzioni, magari poche anche queste ma in compenso granitiche.
C’è tutto questo in W. ma non c’è tutto, anche perché i tempi che Stone si era imposto, cioè far uscire la pellicola prima del termine del secondo e ultimo mandato, non gli hanno consentito di aggiungere molta altra carne al fuoco.
Però quello che c’è non è poco, e comunque più che sufficiente ad avanzare perlomeno due riflessioni. La prima, la più ovvia, riguarda il cinema di Oliver Stone, un cinema mai e poi mai soporifero, piuttosto un cinema impegnato in modo intelligente su ciò che di volta in volta gli sta più a cuore e che a conti fatti si riassume in tutto ciò che l’America cova gelosamente accanto alla sua grandezza, cioè le sue storture in opere ed omissioni e che di volta in volta assumono sembianze diverse, guerre, complotti, intrighi finanziari (Wall Street del 1987 visto con gli occhi di oggi appare come pura profezia…).
La seconda riflessione, meno ovvia ma non per questo meno importante, è che chi si aspettava fuoco e fiamme su come Stone avrebbe rappresentato la presidenza Bush, rimarrà deluso. Nel ripassare da cima a fondo tutto quello che si è detto e letto sui retroscena che hanno condotto alla seconda Guerra del Golfo, compreso il casus belli rappresentato dalle famose armi di distruzione di massa in possesso del regime irakeno (di fatto mai rinvenute…), Stone non calca mai la mano sui fatti e misfatti dell’amministrazione, senza peraltro passarne sotto silenzio nessuno. Non solo non lo fa, ma rinuncia anche a quel tono tra il saccente e l’intimidatorio utilizzato con un certa frequenza quando l’argomento risponde al nome di Bush jr. posizione questa degna di attenzione visto che lo stesso Stone non è mai stato tenero nei confronti di quest’ultimo.
W procede per fatti e ricostruzioni. Le prime sono puntuali ed inappellabili, le seconde appartengono forse più a Stone che a Bush jr. ma non per questo risultano meno convincenti. Si tratta in particolare di ricostruzioni a sfondo onirico, della serie “se Bush” avesse un incubo, quale sarebbe questo incubo?”
W è diretto quanto e forse più di JFK e Nixon. Josh Brolin, ad esempio, è George W. Bush, e più il film procede più Josh Brolin diventa Bush e Bush Josh Brolin (per inciso un Oscar Brolin se lo meriterebbe, ma non lo vincerà…), Elizabeth Banks è Laura Bush e Laura Bush Elizabeth Banks, James Cromwell è George Herbert Walker Bush e George Herbert Walker Bush James Cromwell, Toby Jones è Karl Rove e Karl Rove Toby Jones, Richard Dreyfuss è Dick Cheney e Dick Cheney Richard Dreyfuss (altro Oscar che non farebbe gridare allo scandalo…). Così facendo W inizia sempre più a somigliare ad un’ombra elettrica incamminata a ritroso su quella stessa via che lo ha condotta ad essere quella che è. Nel viaggio ritroso assume via via una concretezza che aveva perso nel viaggio di andata, il che significa che W riesce ad essere qualcosa di più di un semplice film, qualcosa di solidamente concreto capace di inghiottire anche quell’ultimo rimasuglio che non ne vuole sapere di cedere alla sospensione dell’incredulità. W più che un film sembra una macchina del tempo capace di riportare chi vi sale sopra là dove si sono svolti i fatti che racconta senza urla e senza strepiti, lasciando liberi di giudicare una presidenza certo dalle molte, troppe, ombre (notizia di questi giorni: con l’amministrazione Bush è calato drasticamente il numero di pagine desecretate: dai 204 milioni di pagine di documenti dell’era Clinton, a solo 37 milioni. Al contrario è aumentato il numero di volte che la stessa amministrazione si è appellata al segreto di Stato: ben 22 volte in soli sette anni, contro le 55 volte in 48 anni, quelli dal 1953 al 2001, lasso di tempo che ha visto succedersi alla Casa Bianca nove presidenti…), ma senza sentirsi con addosso l’obbligo di schierarsi da una parte o dall’altra.
Non è poco…
Chi ne avrà la possibilità, scelga la versione originale.
Fuori concorso al 26mo Torino Film Festival.
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