Per un certo periodo di tempo ho pensato che Ben Pastor fosse un uomo. Anche se talvolta in terza di copertina la fotografia, seguita dalla opportuna didascalia, mi rendevano edotto del contrario. Ben, che io associavo alle fattezze di un maschio, era invece una gentil signora dal volto interessante. Ma io mi piccavo nel mio intimo che fosse un uomo e non c’era verso di togliermelo dalla testa. Solo con questo suo ultimo libro La morte, il diavolo e Martin Bora, pubblicato dalla Hobby & Work 2008, mi sono finalmente convinto del sesso dell’autrice. Misteri del cervello umano…
Ma bando alle ciance e vediamo un po’ di cosa si tratta: praticamente una antologia di racconti più o meno brevi incentrati quasi tutti sulla guerra. Che sia la seconda guerra mondiale o la prima, oppure il conflitto civile spagnolo sempre di guerra si tratta. Con al centro il giovane capitano dell’esercito tedesco Martin Bora, o più precisamente Martin Heinz Douglas Bora, l’“uomo giusto nella divisa sbagliata”. E uomo colto se è laureato in filosofia, sa suonare il pianoforte, cita Dante e Virgilio, legge “Gli esercizi spirituali” di Ignazio di Loyola e le poesie di Garcia Lorca, le massime di Rochefoucauld, le poesie di Hoelderlin, l’Odissea, la Bibbia, i Promessi Sposi e via discorrendo.
Colto e pure bello. Alto, slanciato, occhi con iridi verdi cerchiate di azzurro, impeccabile nel vestire, “nato ricco e aristocratico” e dunque non gli manca niente se non fosse per la mano sinistra artificiale, persa quella vera durante un incidente. Sposato con Benedikta, che chiama affettuosamente Dikta invano in attesa di un figlio che non riesce a portare avanti (tre aborti).
Sicuro di sé, fermo autocontrollo ma a volte “una lama di malinconia” sembra che venga a turbare la solidità della sua sicurezza. Forte senso del dovere e nello stesso tempo la quasi certezza che qualcosa non quadri “Eppure spesso gli sembrava che soldati come lui fossero carta straccia, appallottolata in mano a qualcuno e in procinto di essere buttata via”.
Brevi spunti: una Balka, cioè una prostituta uccisa con le mani mozzate durante l’”Operazione Barbarossa” con tre possibili indiziati: il vecchio beone, il mercante ebreo e il giovane fannullone innamorato. Chi dei tre o forse altri?; un uomo ucciso, un cane morto, un microfilm, un attentato mortale nella Praga del 1942; un rapimento nell’Appennino nord-occidentale del 1944, una povera donna vedova con tre figli, tre persone uccise, partigiani fatti prigionieri, una ausiliaria fascista dispersa, fatti che si intrecciano, si seguono, si incontrano e ricompongono in modo quasi naturale.
E poi non c’è solo Martin Bora. C’è il signor luogotenente di giustizia Don Diego Antonio e siamo nel 1630 a Milano ai tempi, dunque, dei “Promessi Sposi” ad indagare su una monaca assassinata; c’è l’episodio delle vettovaglie sparite e un colonnello italiano ammazzato nella guerra del 1918; c’è un soldato dell’ONU con il cranio sbriciolato da un grosso calibro nella Sarajevo della ex Jugoslavia nel 1994; c’è un incontro tra due nemici nella battaglia di Gallipoli del 1915 con l’evocazione del passato e dei propri cari morti come nell’Odissea; c’è Nino Bixio e i fantasmi; c’è la Kiria Andreou seguita da un giovane spasimante e c’è infine Remedios amata da quattro uomini. Quattro amanti e quattro ricordi diversi.
Dunque la realtà più cruda, il sogno, la fantasia, l’aspetto psicologico che incalza, “streghe, fantasmi, eroi mitologici dell’antica Grecia” che irrompono sulla scena. Prosa agile, sicura. Ora realistica con ampi squarci di paesaggio a suscitare stati emozionali, ora nuda e schietta, ora evocativa e suggestiva a lasciare uno strazio o un dubbio o una scia di amarezza nel cuore. O un mistero.
Finalmente una scrittrice vera.
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