Il perdono
Egregio Signor M.,
sono il nonno di C., il bambino ucciso da una sua pallottola il mese scorso. Ho seguito con interesse la vicenda che ha portato al suo arresto e, non mi vergogno a dirlo, speravo che si concludesse con la sua morte. Tuttavia, il tempo mi ha fatto riflettere molto. Insieme ad esso, il dolore di mia figlia ed il silenzio di mia moglie. Ho visto il suo volto mentre la scortavano via.
Anche lei deve aver capito la gravità della situazione. Forse non subito, ma so che l'ha fatto. Non era C. il suo bersaglio, anche gli inquirenti sono sicuri di questo. Lei fuggiva, cercando di coprirsi le spalle dai carabinieri. Ed io avevo promesso un gelato a mio nipote. Sono colpevole quanto lei, forse di più, perlomeno questo è quello che la mia coscienza mi ripete tutte le sere, prima di addormentarmi, e se in un primo momento ho diluito la mia vita nel desiderio ossessivo che la prendessero e l'ammazzassero, adesso che è stato arrestato mi accorgo che il mio ruolo si è caricato improvvisamente di una valenza nuova e difficile da spiegare. Nel perdere mio nipote, in qualche modo, ho trovato lei e la sua faccia frastornata. Conosco la galera, sono stato avvocato penalista, e so che questa è la prima volta che lei viene arrestato. Lei è molto giovane, vent'anni appena. Si chiederà come faccia a conoscere queste verità. Come le dicevo prima, io credo di aver trovato una piccola parte di lei, quella dipinta dai giornalisti e dal rancore di una famiglia in lutto. In questa realtà ho voluto scavare più a fondo, venendo a cercare nei luoghi in cui è cresciuto e chiedendo informazioni a chi la conosce da tempo. Gente del suo quartiere, gente che le vuol bene. Tutti concordi nel sostenere la tesi dei cattivi esempi. All'unanimità convinti che il suo unico difetto sia quello di credere ciecamente a quanto le viene detto dalle persone che considera amiche. Questo suo frammento mi ha liberato dalla morsa assassina che mi cingeva il cuore, l'opaca e soffocante pesantezza di chi è rimasto in vita soltanto per odiare.
Io la perdono, signor M. E voglio esserle vicino in questi anni di ergastolo che sicuramente le cadranno sul capo come una ghigliottina. Voglio darle dei consigli, che in qualche modo possano consentirle un'esistenza dignitosa in prigione. La mia esperienza nasce dalla parole dei miei assistiti, testimonianze che se lei vorrà condividerò con lei da qui in avanti, da quando uscirà dall'isolamento. Per prima cosa le vorrei consigliare un'attenzione costante, perché il carcere non ha pietà per chi uccide un bambino di nove anni. Anche di notte, quando la sua cella dovrebbe essere chiusa, stia sempre con un occhio aperto. Quasi per magia i secondini dimenticheranno certe porte aperte. Una sarà la sua e l'altra di chi verrà ad importunarla.
Non dorma mai, stia attento. Non vorranno ucciderla subito. Lo impone un codice non scritto che le verrà sicuramente spiegato con dovizia di particolari. Non si fidi di nessuno, nemmeno dei suoi compagni di cella. A nessuno sarà concesso di familiarizzare con lei. A tavola mangi soltanto cibi che non assorbano tanta acqua e li ripulisca sempre prima di metterli in bocca. Eviti soprattutto la carne, così adatta a nascondere una goccia di sangue infetto, e preferisca l'acqua dei rubinetti, anche se le provocherà diarrea e nausea. Qualora dovessero violentarla, lei è giovane e questo sarà gratificante per molti, cerchi di agitarsi il meno possibile. La sua carne potrebbe lacerarsi e diventerebbe sieropositivo prima del tempo. Sia sempre accomodante, quando la picchieranno a sangue. Eviti l'ora d'aria. Si abituerà. Cosa posso aggiungere? Qualora volesse, non esiti a chiamarmi al 3xxxx. Mi troverà, vivremo questa esperienza insieme.
E.
Cara Signora F.,
vorrei esprimerle il mio cordoglio per la morte di suo figlio M. Difficile è accettare il confronto con la prigione, suo figlio ha deciso di fuggirlo con un lenzuolo intorno al collo. Tutti commettiamo errori, l'importante è saper perdonare.
E.
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