Roma, 1978
Bernardo continuò a spingere il carrello fino al reparto dei surgelati. Lì si fermò e consultò il foglietto che sua madre aveva scritto con la solita calligrafia tremante, ma diritta e piena di svolazzi. Come le avevano insegnato a scuola, pensò Bernardo. Povera mamma. Da quando era rimasta sola e viveva nel ricordo del bel marito maresciallo, non sapeva più essere autonoma come un tempo e ora dipendeva in tutto da lui. Bernardo aveva fatto una scelta, o almeno gli sembrava così. Si sarebbe dedicato ancora alla mamma, anche se a ventisei anni poteva immaginare una vita sua, magari con una donna. Cercò di non pensarci. Sistemò nel carrello tutto, poi ripassò la lista. Non aveva dimenticato niente. Quando tornava a casa sua madre controllava la spesa e quanto aveva comprato. Una cosa per volta. Se c’era tutto si tranquillizzava, se mancava qualcosa diventava cupa e cominciava a dire che le cose non andavano bene. Non andavano più bene, e rimaneva triste a guardare la finestra e le case di fronte, fino a che non faceva buio. Bernardo si avviò con il suo carrello verso le casse. Stava scegliendo la fila più agevole, con meno gente, quando successe qualcosa. Erano cinque, forse sei, o anche di più. Erano entrati tutti insieme con il passamontagna sul volto che scopriva solo gli occhi.
“Questo è un esproprio proletario!”, urlò quello più alto impugnando una pistola.
Gli espropri proletari. Prendere la merce senza pagare e distribuirla. Gratis. Contro il capitalismo, contro i padroni. Bernardo ne aveva sentito parlare e gli erano sempre sembrate storie lontane, che mai lo avrebbero potuto coinvolgere, invece ora ci si trovava nel mezzo. Vide un’altra pistola che saltava fuori in mano a uno dei componenti di quel gruppo. Lui, come paralizzato dalla paura, se ne restava fermo a pochi metri dalla cassa. Non poteva scappare perché due col passamontagna nero si erano piazzati all’uscita. In quel momento sentì una voce di donna che quasi gli urlava nelle orecchie. “Esci! Non paghi nulla! La roba nel carrello è tua. Esci!” Bernardo si voltò verso di lei. Il passamontagna le scopriva solo gli occhi e lui provò un tuffo al cuore che gli tolse il respiro. Nina! Quegli occhi gli sembrava di non poterli scordare più. Era il primo anno di università e lui si era innamorato perdutamente. Gli occhi neri di Nina avevano tormentato i suoi sogni per mesi, ma non era mai riuscito a scambiare nemmeno una parola con lei. Gli faceva troppa paura. Poi con la morte di suo padre aveva lasciato l’università, si era occupato di sua madre e aveva scordato Nina. Ora quegli occhi erano lì davanti a lui. Bernardo restò come imbambolato a fissarli. “Vattene, idiota!”, gli urlò ancora lei. Le gambe però non si muovevano e lui restò impietrito, abbarbicato al suo carrello e alla spesa che voleva portare alla mamma. Alcuni dei clienti intanto stavano uscendo senza pagare e gli stessi giovani che avevano fatto irruzione nel supermercato, erano intenti a portare via i sacchi pieni della roba arraffata di corsa, armi in pugno. Presto usciamo!”, gridò quello più alto. La ragazza smise di guardare Bernardo. Si voltò di scatto e di corsa si portò verso l’uscita. Quando tutti se ne furono andati. Nel supermercato restò uno strano, innaturale, silenzio e a Bernardo parve di udire distintamente il battito sordo e accelerato del suo cuore.
Non raccontò a sua madre cosa gli era capitato. Si sarebbe spaventata per nulla. Passò la sera come niente fosse e guardò con lei la televisione. Verso le undici le dette il bacio della buonanotte e andò a dormire. Fu durante la notte. Accese trafelato la luce e cercò un fazzoletto per asciugarsi il sudore. Non sarebbe più riuscito a dormire, nonostante si dovesse alzare presto, perché la mattina aveva promesso a sua madre di portare gli abiti in tintoria… Nina lo aveva visto in faccia, lo aveva riconosciuto e ora, temendo che lui la potesse accusare, sarebbe corsa ai ripari, aiutata dai suoi amici armati. Non avrebbero potuto rischiare una denuncia e quelli erano tipi che non scherzavano. Bernardo non ne sapeva molto di terroristi di sinistra, ma le pistole le aveva viste e quello significava una cosa sola: l’avrebbero ucciso e forse avrebbero colpito anche la mamma.
Bernardo non si era ancora laureato e la mamma fu contenta quando lo vide alla scrivania, chino sui libri. In realtà lui non passò la mattina studiando. Dedicò tutto il suo tempo a cercare fra vecchie agende e appunti, l’indirizzo di Nina. Ricordava di averlo scritto da qualche parte. Ricordava anche la zona dove la ragazza abitava, ma la via no. Erano passati più di sei anni. Lui naturalmente non aveva mai osato andare da lei, nemmeno l’aveva cercata. Dopo essere rimasto quasi travolto dall’infatuazione per quella ragazza, si era rimesso in riga e poi era morto suo padre. L’idea di lasciare sola la mamma gli aveva consigliato di non pensare più a Nina e piano piano, con fatica, ma anche con un certo sollievo, l’aveva dimenticata.
Ci volle un’ora, poi l’indirizzo saltò fuori. Come si era subito ricordato, la via si trovava dall’altra parte della città. Avrebbe preso l’autobus, anzi, due autobus. Quel pomeriggio era libero. La mamma se ne sarebbe andata dalla zia Adele che abitava nello stesso palazzo, al primo piano e lui aveva in testa un’idea che stava diventando sempre più lucida, chiara, precisa. Un’idea che solo ventiquattrore prima gli sarebbe parsa una pura follia, ma che ora, con l’esperienza vissuta in quel supermercato, diventava logica, attuabile, quasi naturale.
Pranzò in silenzio con la mamma che gli parlava di una non lontana mostra di fiori alla quale sarebbe voluta andare. Poi aspettò che lei fosse scesa giù dalla sorella, quindi si preparò in fretta e aprì anche il cassetto personale del padre maresciallo. Il primo della scrivania. Non lo aveva mai fatto in vita sua e quel cassetto era chiuso da quasi sei anni. Guardò l’orologio, controllò il gas, abbassò le tapparelle del salotto e uscì.
Era una periferia tranquilla: strade perpendicolari, piccoli giardinetti sul davanti delle abitazioni, cancelli, muretti in pietra. Bernardo percorse tutta la via dove abitava Nina e quando arrivò di fronte alla porta si guardò intorno, poi si sincerò che lei abitasse ancora lì. La strada non era molto trafficata e trovare un punto dove appostarsi non sembrava difficile. Scelse la cabina telefonica. Dietro c’era un muretto basso dove poteva sedere e aspettare. Non era detto che l’avrebbe vista, ma quello lo considerò come un primo tentativo di attuare il piano che aveva elaborato e che pensava di costruire momento dopo momento, prima di tutto cercando di farsi un’idea precisa del luogo e delle abitudini della ragazza. Dopo un’ora non era successo ancora niente. Ogni tanto passava un’auto e qualcuno usciva dai palazzi intorno. Guardò l’orologio. A marzo faceva buio abbastanza presto, ma notò che l’illuminazione era garantita da diverse lampade poste in cima a pali arcuati e dipinti di verde. Passata un’altra mezz’ora entrò in cabina e telefonò alla mamma. Non rispose nessuno, segno che lei era ancora dalla zia. Bernardo uscì e tornò al suo punto di osservazione. Ogni tanto doveva allungarsi a destra e a sinistra in modo da guardare oltre la cabina che gli ostruiva leggermente la vista. La porta dove abitava Nina restava chiusa. Nessuno era entrato, nessuno era uscito. Gli venne anche da sorridere. Era la seconda volta che si appostava per quella ragazza. La prima volta era successo tanti anni prima nel piazzale antistante la facoltà. Si era portato la macchina fotografica con il teleobiettivo e dopo due ore di appostamento l’aveva vista arrivare ed era riuscito a scattarle una foto in segreto. Quella fotografia se l’era tenuta per settimane sotto il cuscino, fino a che non si era ridotta a un’immagine indistinguibile, formata solo da pieghe e graffi. Ora eccolo di nuovo nascosto per lei. Scosse il capo. Tutto era cambiato. Il suo cuore non era più lo stesso, qualcosa lo aveva inaridito, quasi fosse una parte di sé che non gli apparteneva più. Quello che provava ora si chiamava in un modo solo: paura. E Nina con i suoi amici armati fino ai denti era la responsabile di tutto ciò. In quella lunga attesa, solo di tanto in tanto gli veniva da ricordare con nostalgia il periodo passato all’università. Lei l’aveva conosciuta nel corridoio dove aspettava prima di un esame. Gli aveva chiesto se aveva da accendere. Lui non fumava e le aveva solo sorriso. Quel sorriso contraccambiato gli aveva fatto uno strano effetto. Un senso improvviso di libertà si era impossessato di lui, allargandogli il cuore. Un attimo di felicità. Un sentimento che nello stesso tempo riuscì ad elettrizzarlo e a riempirgli la mente di paure.
Bernardo sentì che pensare a tutto ciò gli faceva male, quindi distolse l’attenzione da quei ricordi e riprese a interessarsi al portone che intravedeva dietro la cabina telefonica. Ad un tratto lei uscì. Prima di lei uscì un ragazzo con il giaccone verde. Forse stava con lei. Erano usciti a distanza per non destare sospetti. Bernardo fu preso da una sorta di furia disperata, una specie di gelosia, che si unì in modo del tutto imprevedibile con la paura che provava dal giorno avanti. Si alzò dal muretto e attraversò la strada. Guardò avanti e poi si girò: non c’era nessuno. Una via tranquilla che la poca luce rendeva ancora più anonima e quasi irreale. Raggiunse di passo svelto la ragazza e la sorpassò. Fece un’altra ventina di metri e alla fine si girò. Voleva essere sicuro fosse lei. Nina lo guardò e rallentò leggermente il passo. Forse lo aveva riconosciuto, forse no; comunque Bernardo non stette troppo a pensarci. Aveva tirato fuori dalla tasca del suo soprabito: la vecchia pistola del papà. Quella che se ne stava da anni chiusa nel cassetto. Prima che lei potesse dire qualcosa, o accennare un tentativo di fuga, le sparò in pieno petto. Bernardo non avrebbe potuto dire se il rumore era stato udito da qualcuno, perché non l’aveva udito nemmeno lui. Si allontanò in fretta, lasciando Nina esanime a terra. Forse lo sparo era stato scambiato per uno scappamento d’auto e basta. Lui intanto era già in fondo alla strada e stava voltando l’angolo.
A casa rimise la pistola nel cassetto della scrivania e si apprestò a passare la solita serata di sempre. Avrebbe aiutato la mamma in cucina, poi la televisione e poi se ne sarebbe andato a letto. Non provava rimorso. Solo un senso di liberazione. Lei non poteva più fare il suo nome con i suoi complici armati. Ora lui e la mamma non rischiavano più di essere bersaglio di terroristi assassini. Per dormire si aiutò con il sonnifero della mamma e riuscì a passare una notte tranquilla. Al mattino uscì presto per comprare il giornale, ma decise che l’avrebbe letto solo più tardi quando si fosse sentito sicuro di reggere emotivamente l’impatto con la notizia che lo riguardava, anche se lui era solo il protagonista sconosciuto del fatto. Verso metà mattina uscì per fare un po’ di spesa. Quando tornò a casa si accorse che stava succedendo qualcosa. Le strade erano piene di polizia e di pattuglie dei carabinieri. Possibile che lo stessero già cercando? Con le borse della spesa in mano, cercando di non farsi troppo vedere e quasi rasentando i muri, se ne tornò a casa. Appena dentro, la mamma gli venne incontro.
“Hanno rapito l’onorevole Moro!”, disse lei con lo sguardo spiritato. Nonostante la gravità di quanto gli aveva appena detto sua madre, Bernardo non poté fare a meno di tirare un sospiro. Tutta quella polizia non era in giro per lui e si era preoccupato inutilmente. Posò la spesa e andò a vedere l’edizione straordinaria del telegiornale. I cronisti si dilungavano sul fatto del giorno con collegamenti e riprese sul luogo dove c’era stato il rapimento e l’uccisione degli uomini di scorta. Bernardo stava cominciando a capire solo da poco, di essere al cospetto di un evento che avrebbe cambiato per sempre la storia del paese, quando, a margine della notizia principale, venne annunciato l’arresto di un gruppo di extraparlamentari dediti agli espropri proletari. Bernardo trasalì. Si faceva il nome del supermercato dove era lui due giorni prima. Li avevano presi. Tutti. Mentre stringeva i pugni per l’emozione, vide che sullo schermo scorrevano i volti dei ragazzi che, per gli espropri proletari, si erano macchiati di molti furti nei supermercati. Vennero mostrati uno dopo l’altro. C’era anche una ragazza. Una certa Lucia. Lui la guardò a bocca aperta. La somiglianza con Nina c’era, ma si poteva definire vaga, solo gli occhi parevano essere gli stessi. Se la immaginò col passamontagna. Ecco, col passamontagna tutti l’avrebbero potuta scambiare per Nina. Si rivolse così a sua madre dicendo una cosa che lei non riuscì nel modo più assoluto a capire: “Sembrava proprio la stessa persona…”
Mentre lei gli chiedeva delle spiegazioni su quelle parole enigmatiche e, a prima vista, senza senso. Bernardo si ricordò che aveva riposto la pistola senza nemmeno cancellare le impronte digitali. Prima o poi avrebbe dovuto pensarci.
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