Difficile, dopo Il sesto senso e soprattutto The Others, inventarsi un finale capace di spiazzare completamente, di lasciare basiti insomma (però Frank Darabont con The Mist ci è andato molto vicino…).
Peccato quindi che The Orphanage, di Juan Antonio Bayona, non abbia un finale all’altezza di quanto lo ha preceduto. Peccato, ancora peccato, e peccato ancora, perché tutto quello che via via prende corpo nel “prima”, è di assoluto valore visivo. Hai voglia a dire che siamo di nuovo in presenza di una casa “infestata” teatro, qualche decennio prima di eventi luttuosi (vedi anche Il nascondiglio di Pupi Avati, per rimanere nel recente…); stavolta pare tutto nuovo e straordinariamente maturo, grazie ad uno script con al centro un legame madre-figlio di quelli potenti contaminato dal conflitto tra ciò che appartiene al reale e ciò che invece potrebbe trovare risposta solo nel soprannaturale (vedi la seduta spiritica, forse la scena cult del film…), con l’aggiunta non trascurabile di un regista che dimostra ampiamente di sapere scrivere con la cinepresa dando vita a momenti di vertiginosa tensione nei quali “un mondo altro” preme da matti su quello che siamo abituati a considerare come “reale”.
Tra presenze che tornano a materializzarsi e speranze destinate ad infrangersi,The Orphanage dimostra come sia possibile reinventare un genere, quello del thriller con venature soprannaturali, che mostrava qualche segno di cedimento. Peccato, come già detto, solo per il finale, ampiamente prevedibile per via di esclusione…
Menzione speciale per Belen Rueda, eccezionale nel ruolo di una madre coraggio fuori da ogni clichè.
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