Luigi Bernardi e Onofrio Catacchio hanno lavorato insieme alla realizzazione di Habemus Fantomas, una sinergia – la parola di Bernardi applicata alle arti visive di Catacchio – per un fumetto in tributo all’intramontabile personaggio creato nel 1911 dai francesi Marcel Allain e Pierre Souvestre.
L’ultimo giorno dell’agosto 2011, tre criminali eletti giungono a Parigi da tre distanti parti del mondo perché si decreti chi, tra loro, prenderà il posto del Fantomas deceduto. I tre, dei quali si scopriranno frammenti di passato in altrettanti flashback, vengono condotti nelle viscere della terra, laddove il male pulsa come in una voragine infernale, tra architetture avveniristiche ed antri rocciosi. Nell’eletto risorge l’eroe nero come dalle ceneri di una fenice e la scelta risponde a una filosofia del male razionale e implacabile, così come dimostra la prima azione delittuosa del nuovo Anticristo. All’ubiquità del male comune replica l’unicità del male assoluto: l’antieroe rappresenta un male totalizzante, né vassallo di deliri religiosi, né burattinaio di intrighi politici, e si appresta a perpetrare, in una delle date più emblematiche della nostra contemporaneità, terrificanti delitti che muteranno la storia e destabilizzeranno le certezze dell’umanità.
La rivisitazione in chiave attuale del Re del Terrore è originale e imprevedibile, sia in comparazione ai precedenti letterari e cinematografici, nei confronti dei quali mantiene lo stesso leit-motiv, sia per quanto riguarda la scelta stilistica. Il fascino del malvagio si rispecchia anche nella fisicità: l’incarnato è un Fantomas che rasenta la sensualità, attraente nella sua durezza, procede ineluttabile, decide impietoso. Non ha bisogno di insegnamenti teoretici: agisce senza esitazioni, perpetrando la sapienza secolare del male che è in eterna simbiosi con l’uomo, sapienza diabolica ereditata dal precedente Fantomas ma anche edificata sulle fondamenta delle proprie sofferenze.
Le geometrie degli spazi – ingegnosi covi sotterranei, strutture dalla simmetria rigorosa, luoghi di culto – si dilatano a teatro entro cui prende vita l’immagine dei protagonisti. Le alterazioni di chiaroscuro sul bianco e nero rimandano al contrasto – sempre sciolto con soluzioni ad effetto – tra linee e curve, che si intercalano come in un gioco di specchi. L’evento è fotografato in ogni sfaccettatura: in frontale, di schiena, di profilo, a tre quarti, in primo piano, in veduta aerea, e l’immagine pare inseguita da una fotocamera mobile e volante.
A volte è l’uomo stesso – nella sua accezione di superomismo – a riempire la scena. Allora i vuoti si riempiono del bianco del foglio, affinché venga fatto fuoco sul personaggio, come se sullo stesso fossero puntati i riflettori. Ma anche questa scelta ha la sua spiegazione: l’uomo al centro della scena, l’uomo che imprigiona le ombre perché il male è un’essenza tutta interiore. E’ nella sua mente che converge l’oscurità. Le ombre si districano nei loro stessi imbrogli, come vuole sottintendere la copertina, una copertina che è solo titolo, Habemus Fantomas, ma è titolo dorato su sfondo nero. L’oro emblema di luce diventa iscrizione del male e la discrasia viene rimandata alla copertina interna di terza pagina: l’immortale conflitto tra il bene e il male, l’interstizio tra il giorno e la notte, l’inconciliabilità tra la luminescenza e il buio sono allusi nel simbolo cinese dello yin e dello yang, disposto in maniera tale da essere notato solo dal lettore più scrupoloso. Altre cose avvertirà il lettore attento: scioglierà metafore, intuirà rimandi storici e sentirà quasi ad ogni pagina, come una nenia del terrore, ripetersi l’eco: "Sia imperitura la gloria del male che spargiamo".
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