Tu non solo hai una formazione classica, ma hai anche una passione verso gli antichi che ti ha spinto a intraprendere numerose traduzioni. Qual è la più grande eredità che ti hanno lasciato i classici?
Be’, più di una. I greci, per esempio hanno davvero detto tutto sui rapporti personali, familiari e sociali, esplorandoli con una violenza indicibile, mentre i romani hanno detto sul potere quello che i greci non potevano dire perché non avevano un impero. Comunque se dovessi fare una sintesi del lascito artistico della classicità direi che è il senso di equilibrio e misura, l’idea che nella letteratura non vale affatto il concetto melius abundare, e che qualsiasi testo diventa più efficace se è equilibrato: aggiungi qui quello che togli da lì, ma non aggiungere e basta, non sovraccaricare. Basta pensare, come erede diretto di Fidia, a Kubrick e alla sua ossessione per le inquadrature simmetriche, per questo senso estremo di ordine all’interno del quale può avere luogo anche l’azione più sconvolgente.
In “L’esistenza di Dio” (Baldini e Castoldi) si prospetta, leggendo, una soluzione più complessa di quanto, apparentemente, faccia all’inizio credere il titolo.
E’ un romanzo molto aperto, che ognuno può leggere come vuole. Basta pensare che nemmeno io, che pure sono l’autore, so come va a finire. Non so, sinceramente, se il protagonista sopravvivrà o meno al terribile scontro finale con il suo ex amico. Il lettore può scegliere il finale che preferisce. Quanto all’esistenza di Dio, e alla promessa che qualcosa di felice o atroce ci attenda al di là dei confini della nostra mortalità, è l’argomento su cui mi interrogo da sempre. Una volta Citati disse che non era interessato a libri che non avessero come argomento Dio; sono d’accordo. Naturalmente Dio può anche essere molto nascosto, molto dietro le quinte, in un romanzo. Anche Sade parla di Dio.
La donna, nelle tue opere, è sempre associata a una forma di bellezza che travalica i canoni mediatici. Addirittura se l’uomo può essere ridicolo in particolare situazioni, la donna non lo è mai. (L’esistenza di Dio, p. 138). Però la donna esercita anche un fortissimo richiamo sessuale e, le molte volte in cui succede, l’attenzione cade anche sugli elementi che l’uomo percepisce attraenti.
Penso di aver detto le cose più interessanti su questo argomento molti anni fa, nel mio secondo romanzo (La perfezione). In quel libro una ragazza, Adriana, che tutti gli uomini trovano molto attraente, è invece convinta di essere brutta. Adriana fa una distinzione intelligente fra la desiderabilità sessuale e la bellezza, e afferma che solo una donna può davvero giudicare la bellezza di un’altra donna, senza l’interferenza del desiderio. Per quanto riguarda il senso del ridicolo, la penso così: le donne raramente sono comiche e quasi mai sono ridicole. La percezione del comico, come ci insegna chi ha indagato questo fenomeno così sfuggente, è sempre legata a un fallimento: ridiamo della goffaggine di una persona che non riesce a fare quello che vorrebbe fare (gli eterni combattimenti di Stanlio e Ollio contro gli oggetti!), ma anche di un viso che fallisce nel suo tentativo di essere comune, normale, perché qualcosa ne altera la fisionomia. Ora, quando vedo questo fallimento in un uomo mi suscita il riso, in una donna tenerezza o compassione. E so che è così per molti.
Per posta ti avevo chiesto se era stato difficile calarti nei panni di un galeotto ne “L’esistenza di Dio”. Tu avevi risposto che la vita stessa è una prigione. Sei d’accordo con la massima di Rousseau: “L’uomo è nato libero e ovunque è in catene”?
Io posso dire che la mia vita è certamente una prigione, e che a dirlo è forse la persona più libera che io conosca. Faccio quello che voglio a ogni minuto di ogni ora del giorno; nessuno può darmi un ordine, tranne un poliziotto a un posto di blocco. La libertà è il mio lusso, un lusso pagato carissimo dato che sono nato povero. Eppure per ottenere almeno in parte quello che desidero dalla mia vita devo costruirmi gabbie d’acciaio e seguire una disciplina inflessibile, tanto più proprio perché me la impongo io.
In “La perfezione” hai dosato le atmosfere noir di un certo cinema americano col luogo letterario da te privilegiato, la provincia. Come è stato tecnicamente ottenuto questo ibrido ben riuscito?
Sai, noi abbiamo un’idea tutta sbagliata della provincia. La provincia è un posto in cui la vita è molto più dura che in città. In città uno si può nascondere fra la folla, mentre in provincia tutti sanno tutto di tutti e la pressione sociale è spaventosa. Prova a pensare alla condizione di un omosessuale: in città può perseguire con discrezione i suoi desideri senza problemi, in provincia la sua vita è sempre pubblica e può diventare un inferno. Perciò, pur ammettendo il fascino letterario della città come luogo in cui tutto può accadere, in cui da ogni angolo e in ogni momento può uscire la donna che amerai per tutta la vita o l’uomo che ti taglierà la gola, trovo che le ambientazioni provinciali abbiano un fascino malato, morboso e attraente. Il problema dei libri ambientati in provincia è che spesso rappresentano situazioni narrative più ripetitive rispetto agli scenari metropolitani.
Cos’è per te la perfezione?
Ti racconto un aneddoto: quando il romanzo venne tradotto in tedesco, il titolo fu cambiato in “Der Perfektionist”, il perfezionista. Incuriosito, scoprii che in tedesco esiste la parola perfezionista ma non esiste o non è usata la parola perfezione (che dovrebbe essere Perfektion). Loro usano il termine Vollständigkeit, che significa “compiutezza”. Ecco, sono d’accordo. La perfezione è la compiutezza, una cosa portata fino in fondo, un oggetto o una situazione a cui non manca nulla. Un concetto un po’ freddo, in fondo.
Quando uscirà il tuo prossimo libro?
Normalmente il mio editore accetta tutte le proposte che gli faccio e mi lascia pubblicare più o meno un romanzo all’anno. Non ho nessun tipo di contratto a tempo: quando io sono pronto, sono pronti anche loro. Quindi il prossimo romanzo dovrebbe uscire nella primavera del 2009, visto che l’ho consegnato in casa editrice poco tempo fa.
Nei tuoi noir non segui ciecamente le regole del giallo ma le rivisiti in funzione della trama e dell’effetto che vuoi suscitare. Mi riferisco in particolare a “Sei tu l’assassino” (Marcos y Marcos) e “Dio ti sta sognando”: in quest’ultimo, il caso viene risolto non grazie al pensiero logico-deduttivo tipico del giallo, ma grazie a un meccanismo di intuizioni e rivelazioni a uno stadio quasi allucinogeno-sciamanico. Non solo: l’attenzione si sposta dalla morte della vittima alla morte che sta per vivere il commissario, con un livello di coinvolgimento emotivo crescente da parte del lettore. Come decidi queste variazioni?
E’ semplice: tanto amo come lettore il giallo classico, con il suo ritmo di ordine-trauma-ricomposizione, quanto sono poco interessato a scriverlo. Perlopiù mi sono tenuto bene alla larga dal giallo, cioè dalla narrativa d’indagine, mentre i miei libri somigliano di più al noir, ossia a una narrativa in cui sia presente un’azione criminale. I due titoli che citi sono stati due brevi romanzi-scommessa scritti a poco più di vent’anni, in cui prendevo in giro le convenzioni del genere. Nel primo si realizza la soluzione “impossibile” del lettore che diventa di fatto l’assassino, nel secondo è proprio come dici tu: la logica deduttiva viene fatta a pezzi da un commissario morente che ricorda il Bärlach di Dürrenmatt (Il giudice e il suo boia, Il sospetto) e forse un po’ le atmosfere irrazionali di Twin Peaks.
“Che cosa hai fatto” (Baldini e Castoldi) è ambientato in una Milano presidiata militarmente. C’è un intento polemico contro ogni forma di fascismo o si può intravedere qualche timore verso il futuro?
Spero proprio di non vedere mai nella mia città gli orrori raccontati in quel libro. Lì mi interessava che la vicenda del protagonista (un quasi quarantenne che decide di bruciare gli ultimi dieci giorni della sua vita in un crescendo di piaceri infernali) si muovesse su uno scenario di degrado politico e sociale e ne diventasse quasi il riassunto. Penso che Che cosa hai fatto sia il mio libro della vita, anche se non è il mio libro più piacevole da leggere. E, tra parentesi, con il giallo-noir non c’entra proprio un fico.
In “Un bacio al mondo” (Rizzoli) incubi ed angoscia la fanno da padroni. Qual è il tuo incubo più ricorrente?
Che bella, questa domanda! Più che un sogno è ricorrente uno scenario. Da moltissimi anni sogno regolarmente di vagare per un edificio pubblico, semideserto, perturbante, che a volte sembra una scuola, forse un’università. Ci sono persone sconosciute e fra me e loro avvengono cose che cambiano da sogno a sogno, ma raramente sono piacevoli. E’ come se non riuscissi più a sognarmi dentro casa mia. Mi aggiro in questo maledetto posto e mi domando perché.
Ti sei cimentato anche in altre forme letterarie, oltre al romanzo. Cos’ha di affascinante la poesia?
La poesia è la formula uno della letteratura. Il luogo in cui si fanno gli esperimenti più audaci e vengono messe a punto soluzioni di linguaggio avanzatissime, che poi si ritrovano, in forma più accessibile, anche nelle vetture che circolano normalmente sulle strade e sulle autostrade – cioè nei romanzi. Ho un rispetto enorme per i poeti, anche perché non guadagnano quasi niente dal loro lavoro, fatto di talento e sacrificio.
Bibliografia:
Romanzi: La perfezione (Feltrinelli, 1994, 1996, 2006), Sei tu l’assassino (Marcos y Marcos, 1997), Dio ti sta sognando (Marcos y Marcos 1998), e, per Baldini Castoldi Dalai, Che cosa hai fatto (2001, 2004), Il buio divora la strada (2002), Chiudi gli occhi (2004, 2005), La verità bugiarda (2005), L’esistenza di dio (2006, 2008), La prima notte (2008). Raccolte di racconti: Un bacio al mondo (Rizzoli, 1998) e E’ di moda la morte (Perrone, 2007).
Raul Montanari ha curato diverse antologie, collabora con i principali editori italiani e ha pubblicato numerose traduzioni dalle lingue classiche e moderne (Sofocle, Seneca, Poe, Wilde, Borges, Styron, Greene, P. Roth, Brink, C. McCarthy fra gli altri). Molti suoi racconti, articoli e saggi sono usciti in antologie, e sui maggiori quotidiani e periodici italiani. E’ anche poeta, sceneggiatore e docente di scrittura creativa.
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