Maine, Stati Uniti. La pacifica esistenza di una piccola città di provincia viene sconvolta dall'improvvisa apparizione di una fitta nebbia…
Come era il lancio di Alien? “Nello spazio profondo nessuno può sentirti urlare”? Be’, se è solo per questo anche da dentro un supermercato nessuno ti sentirà ugualmente, perché chi è rimasto fuori è già morto (e chi sta dentro sta per diventarlo…).
Colpa, così pare, di esperimenti non meglio identificati da parte delle solite gerarchie militari che devono aver lasciato socchiusa una porta tra due dimensioni così da far transitare un qualche migliaio di bestiacce schifose dalla dimensione “x” alla nostra.
L’impianto che Frank Darabont si è andato a scegliere per questo The Mist, terza personale trasposizione da Stephen King (Le ali della libertà e Il miglio verde, le altre due) è da western classico (il forte assediato), il che determina una serie di passaggi chiave nella dialettica assediati-assedianti: prima chi sta dentro è un corpo unico, poi iniziano ad emergere differenze su come organizzarsi per resistere, mentre chi sta fuori si fa sempre più minaccioso. Il tutto si risolve con un piccolo gruppo che decide di uscire in cerca d’aiuto, con la storia che si solito sceglie di seguire questi ultimi.
Darabont, sua la sceneggiatura, si guarda bene dal saltare uno dei passaggi citati, però…
Intanto una delle due fazioni in lotta è capeggiata dalla signora Carmody (Marcia Gay Harden), una madame sventura di prima grandezza, apocalittica e non integrata che ha gioco facile nel prevedere la punizione divina per tutti quelli che non la pensano come lei.
Poi c’è un finale ben preparato (parecchi minuti prima dell’epilogo…) e altrettanto bene servito che lascia basiti come da un po’ di tempo che non capitava di restare (e che ovviamente non sarà svelato…), un finale dove la nebbia che prima aveva tolto (eccome se aveva tolto…), si fa premura di ridare sotto altra forma.
Certo che nel ridare quel poco che è rimasto lascia pure un senso di colpa grosso così…
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