Qualcuno ha detto di te: “E’ lo Stephen King italiano”. Ti riconosci in questa definizione?
Oh yes! soprattutto per il conto in banca... A parte gli scherzi (!), essere definito in quel modo non può che farmi piacere. Anche se è qualcosa che ha a che fare con un certo atteggiamento esterofilo, tipico di noi italiani: pare che non possiamo proprio fare a meno di cercare paragoni con gli stranieri considerandoli grandi e irraggiungibili. Ritengo comunque che ci siano sintonie fra me e King, come con altri autori del resto. Lui comunque è un grande, niente da dire, ed è senz’altro uno degli autori che amo di più. La mia poetica horror però è molto differente dalla sua. Certo che sarebbe bello un giorno sentire definire qualche autore dei loro: è il Nerozzi americano. Veh… Tanto sognare non costa nulla. Oppure sì?
Hai partecipato spesso al programma televisivo l’Italia sul Due, prestando la tua opinione sui grandi delitti che hanno scosso l’Italia negli ultimi anni. Come concili la cronaca con l’arte?
Semplice: non la concilio. La cronaca, quello che accade di brutto attorno a noi, serve per ottenere impulsi, riflessioni, scintille, come un sacco di altre cose, del resto. Per trovare le parole dentro. Le storie, le cose di cui voglio gridare. Analizzando certi fatti terribili che sono accaduti, cercare di capirli, senza riuscirci il più delle volte, ci fa sentire inermi al cospetto dell’oscurità che preme. Scrivere, di quelle cose lì, inventarle, invece ci fa sentire in grado di combatterle.
Tu sogni? Hai un incubo ricorrente?
Sogno ad occhi aperti più che altro. E cerco di intervistare i demoni della notte. Come gli antichi monaci. Poi elaboro dei reportage dal mondo delle tenebre. Niente di ricorrente però. Né di ossessivo, più che altro mi ci diverto.
Al di là della sfera onirica, cosa ti fa più paura nella realtà?
La sfera onirica non mi fa paura, anzi. La mia più grande paura è quella di non aver più paura. Sembra un gioco di parole… e infatti lo è. Sono uno scrittore e ci campo con i giochi di parole. Vivo il terrore che scaturisce dal mistero come una fascinazione, poi ne disegno i suoni. E questo mi permette di entrare dentro la sfera delle emozioni e dei sentimenti fino in fondo. Nelle viscere di quello che siamo, senza compromessi…
La paura fa bene, in fondo...
Quando abbiamo paura siamo tutti lì, presenti a noi stessi in modo assoluto, appunto. In fondo al nero… Pronti per cercare di risalire.
Quando ti si incontra sei sempre pieno di lavoro fino al collo e, soprattutto, sei sempre in ritardo. Cosa ti sfugge in questo rapporto col tempo?
Mi sfugge tutto e non mi sfugge niente. Rendo al meglio quando sono allo stremo, quando sembra impossibile farcela. Per questo riesco a lavorare sul serio solo quando sono molto in ritardo, per mettermi alla prova. Per sanguinare di più. Credo di essere una specie di Rocky della scrittura. Se sono pesto, mi arrabbio e rendo al meglio. Me ne frego dei colpi e vado avanti fino all’ultimo round. Devo vivere la scrittura come se fosse una sfida all’ultimo sangue. Per questo che presto fonderò un Wright club. Prima regola: nessuna regola. L’arte, la scrittura, vissuta come una rivoluzione, una lotta per essere liberi.
A cosa stai lavorando adesso?
Ho terminato da poco l’ultimo lavoro: “Il cerchio muto“ che uscirà in marzo per l’editrice Nord. Più di seicento pagine: tutte quante sofferte come da copione (di cui sopra!), in ritardo e sanguinanti: eh!. Un romanzone.
Quando un editore pone delle condizioni (numero di pagine, inserimento di particolare scene, etc), non viene violata in qualche modo la libertà artistica?
No, assolutamente. Sei fai questo lavoro da professionista non hai paura dei paletti, li pieghi ai tuoi voleri, invece di sbatterci la testa contro.
Qual è il libro a cui sei più affezionato?
Sono affezionato a tutti quanti i miei lavori, senza distinzione.
Ti sei cimentato anche in letteratura per ragazzi (Una notte troppo nera, Disney Libri, 2000 e La creta oscura, Mondadori, 2007). E’ difficile passare dal thriller per adulti a quello per ragazzi? Qual è il grande scarto tra i due generi?
Il segreto è l’immedesimazione. Entrare dentro il linguaggio giusto. Non lo trovo particolarmente difficoltoso. Mi viene naturale. Torno bambino e il gioco è fatto.
Se parlassimo in termini di Shining, quale luccicanza ti senti di avere in qualità di scrittore?
Mi è successa una cosa strana. Mi sembrava questa tua domanda quella più facile, a cui potevo rispondere… ad occhi chiusi. Invece quando ho provato a buttare giù qualcosa di sensato, mi sono bloccato.
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