Tutta la storia raccontata in questo romanzo breve si svolge nell’arco di 24 ore, e la dilatazione temporale punta alla vividezza dei dettagli e alla meticolosità del resoconto della giornata fatale. I fatti di sangue e la violenza rimangono sullo sfondo, nemmeno suggeriti, più che altro intuiti dal lettore a partire dalla scena iniziale, nella quale il protagonista mette al tappeto due giovinastri tamponati in autostrada. A parte questo incipit movimentato, però, La perfezione rimane lontano dalla consueta atmosfera violenta del noir e predilige un approccio quotidiano, attento alle banalità d’ogni giorno e dimentico delle gesta (anti)eroiche dei due protagonisti. Il paradigma nero di Raul Montanari si sviluppa quindi a partire dall’apparente rifiuto degli stereotipi del genere, quasi a voler sorprendere il lettore sottraendogli ogni elemento atteso. Niente azione, dunque, e niente ambientazioni criminali, un linguaggio dimesso quasi antipodico tanto a quello carico ed estetizzante di Ellroy quanto a quello denso e introspettivo di Bunker. Montanari sembra voler semplicemente registrare le azioni, i gesti e le parole dei propri personaggi, senza caricarli di lirismo o magniloquenza ed evitando così sia il rischio dell’affettazione stilistica sia le sabbie mobili dell’epica antieroica, lasciando scorrere la sua storia verso il finale senza forzare la mano con colpi di scena.
Nel corso di questa rubrica abbiamo visto come il noir sia nato da un’opera letteraria non “di genere” (Lo straniero di Camus, rubriche/3962/) e come sia stato usato e modellato in più di un’occasione da autori diversissimi e non legati ad alcun genere specifico. Abbiamo per questo motivo letto Hemingway e Agota Kristof, Tanguy Viel e Cormac McCarthy, ognuno dei quali ha dato – a un certo punto della propria carriera – il proprio contributo al genere, non già utilizzandone pedissequamente gli schemi e le convenzioni, bensì rielaborandolo e inserendolo nella propria personale poetica. Abbiamo visto, perciò, come la letteratura sia andata verso il genere pur restando al di fuori di esso, mentre nella seconda parte del Nero tra le righe sono stati presentati alcuni autori che invece ne rispettano le regole, le abitudini, i tòpoi.
Questa nuova puntata segna un ulteriore, più sfumato, passaggio. Il romanzo breve di Raul Montanari ci permette di considerare uno spostamento dal noir vero e proprio a qualcosa di diverso che ci spinge a modificare la definizione stessa sotto la quale abbiamo finora raggruppato opere e autori del genere. La perfezione ci porta in uno spazio intermedio, ambivalente, sfumato. L’autore, come accennato all’inizio dell’articolo, prende le mosse da una vicenda prettamente nera (l’ex-sicario che diviene bersaglio di un altro sicario) ma ne sfuma e alleggerisce gli aspetti più neri per soffermarsi sulla normalità dei protagonisti della vicenda e sulla quasi totale assenza di eventi di quelle fatidiche 24 ore.
Montanari inizia dunque un romanzo noir, ma lo sviluppa lungo linee evolutive che lo allontanano dal genere in senso stretto. Fa questo dissipando la tensione che la violenza iniziale (il pestaggio dei due ragazzi da parte dell’Olandese) aveva iniziato e conducendo la storia e il lettore verso un finale che gradualmente appare sempre più ineluttabile ed evidente. Lo spazio narrativo di Montanari sta a mezzo fra il nero che conosciamo e la letteratura che in più punti ha cercato, e trovato, con esso il contatto. Questo nuovo spazio senza nome ha molto in comune con il “nostro” noir (quello di Ellroy, di Bunker, di Limardi): i personaggi, le situazioni, il modo di raccontare, o la durezza della parola, dei gesti, delle storie. Al contempo, però, ne prende anche le distanze.
L’idea è che il procedimento usato da Montanari sia in un certo senso opposto a quello visto all’inizio di questa rubrica: non più un andare dalla letteratura al genere, bensì da quest’ultimo verso la letteratura. In quest’ottica l’operazione sarebbe dunque quella di rinnovare il genere facendolo uscire dal corto circuito dei luoghi conosciuti e delle piste già battute per condurlo verso un terreno più aperto, non ancora codificato, sul quale sia possibile dare vita a universi narrativi personali.
La perfezione fa per il noir quello che più tardi hanno fatto Q per il romanzo storico e La strategia dell’Ariete per il thriller avventuroso: fa avanzare un genere oltre l’intento puramente intrattenitivo-ludico e oltre la semplice maestria artigianale. Oltre la ripetitività data dall’applicazione acritica di schemi e luoghi letterari preesitenti, che lascia all’autore come unica possibilità la riproposizione del già-visto, si trova l’orizzonte che interessa un’opera come questa.
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