Matteo Bortolotti è un giovanissimo della scrittura. Sia perché fin da piccolo sperava che la scrittura divenisse la sua strada e in quella direzione si è incamminato. Sia perché, nato nel 1980, ha pubblicato il suo primo romanzo a soli 25 anni.
Dal 2003 è segretario dell’Associazione Scrittori di Bologna, presieduta da Carlo Lucarelli, col quale ha lavorato alla serie tv “L' ispettore Coliandro ” andata in onda su Rai Due.
Oggi, dopo aver già partecipato a diverse antologie, conduce corsi di scrittura, seminari e workshop sulla sceneggiatura e il monomito. Tra i fondatori di Story First, fa l'editor e si occupa di cinema e televisione come story doctor, soggettista e sceneggiatore.
Vive tra Roma, Bologna e altre città che lo chiamano per lavoro.
Ascoltare la musica, per lui, non significa solo nostalgia di chi ha suonato il blues per anni (come chitarra solista). E’ lo stesso tipo di passione che lo tiene avvinghiato all’esoterismo, scoperto fin dall’età di otto anni.
Una passione che scorre nel sangue.
Prova a definirti in poche parole:
Egocentricopentito (tutto attaccato!), idealista, giocatore, passionale, giannizzero, matto, nel senso del tarocco.
Ah, conosci i tarocchi?
Sì, li ho studiati. In realtà la gnosi l’ho affrontata quando mi sono imbattuto ne Il Pimandro, l’ho trovato per la prima volta in casa, per caso, e ho sentito il bisogno di leggere l’intero Corpus Hermeticum. Quello che mi ha spinto? Un’assoluta fame di conoscenza, il movimento elastico di vibrazione tra me stesso e il mondo.
Dove porta questa vibrazione?
Alla ricerca del proprio centro. Prima o poi si arriva da qualche parte, ma non è detto che si arrivi con gli occhi aperti. Secondo uno dei principi cardine della dottrina ermetica l'uomo affronta un viaggio per liberare dai vincoli terreni la parte divina (l'intelletto) insita in lui e giungere alla salvezza, rappresentata dal logos, la verità del Pimandro.
In cosa credi?
Credo fermamente negli altri, nella possibilità di conoscere se stessi compenetrando gli altri, credo nel mutuo soccorso e nel reciproco contatto. Credo fortemente nella narrazione perché fa parte di questo ragionamento: con l’atto del narrare trasmettiamo qualcosa di più grande di noi. Credo nella misura, anche quando significa superare le estensioni, quindi credo nel credere qualcosa anche quando se ne perde il controllo. Sono uno che quando può strafà tranquillamente: sono un chiacchierone, uno che ama esagerare ma ha rispetto dei propri limiti. Credo nel dialogo, nel confronto, mi piace sbattere contro i miei confini. Sono anche Ulisse, ovvero la sua parte gnostica: tento sempre di spingermi oltre le colonne d’Ercole.
Cos’è la morte per una persona che studia esoterismo, scrive anche di morte e crede nella forza della vita?
Mutazione, cambiamento. Ecco, cangiante è un’altra definizione in cui mi riconosco.
Il tuo primo libro, “Questo il mio sangue” (Mondadori, Colorado Noir, 2005), ha come protagonista-giustiziere un prete. C’è una vena anticlericale nella scelta?
No, tutto nasce con la scelta del noir come genere di espressione. Volevo scrivere una storia di confine, con personaggi di confine. Il protagonista doveva essere come una corda tesa, abbastanza distante da terra, oscillante tra il bene e il male. Questa corda doveva vibrare fortemente, più fortemente vibrava, più il personaggio aveva spessore. Mi sono guardato dentro e mi sono chiesto: “A me cosa fa paura?” Il senso di straniamento, ciò che non è come dovrebbe essere, gli sbirri cattivi, i preti cattivi. Volevo anche spostare all’interno un conflitto che avrei espresso solo esteriormente. Forse legge un sottile velo di critica alla chiesa secolare, ma non era il mio intento primario. Io appartengo alla religione del dubbio, pur credendo in Dio non accetto chi mi dice ciò che dio pensa. Io credo che non pensi affatto.
Cosa rispondi a chi critica il genere noir?
Rispondo da scrittore, non da noirista. Quest’ultimo è un appellativo che mi hanno dato, mi fa piacere ma non credo che scriverò solo noir, anche se la vena nera mi accompagnerà sempre. C’è il rischio della spettacolarizzazione del male, di una semplificazione eccessiva dei meccanismi, come di una eccessiva razionalizzazione. Si sorvola la semplice catarsi, la letteratura oggi oscilla tra consumo e nicchia. Occorre responsabilità da parte di chi scrive. Io credo che ogni scrittore dovrebbe percepire e rispettare la grande serietà cui è tenuto. Il giallo da solo non può provocare dei danni, la cultura del giallo sì. Credo fermamente nel ruolo pacifico della letteratura di intrattenimento. In questo gioco di proiezioni, se c’è una dimensione ludica, lo scambio si accresce.
La pornografia del giallo esiste?
Il lato oscuro del pubblico lo tirano fuori altri mezzi di oggi. La spazzatura televisiva, Amici della De Filippi, i reality show come il Grande Fratello, che è pericoloso per come diventa un fenomeo di massa. E qui torniamo al discorso della responsabilità di uno scrittore. Lui dovrebbe scegliere una storia in cui crede fermamente e raccontarla nel modo migliore. Quando mi hanno contattato per partecipare alla realizzazione di un’antologia estrema, Anime nere, ho presentato un racconto lungo usando la più grande ferocia che avevo, una ferocia sintattica, lessicale, con una trama in cui lo spargimento di sangue passa subito in secondo piano, invece nel primo volume hanno pubblicato tutti quelli che avevano preferito linguaggi pulp. Un modo per attirare di più il pubblico estivo, nulla di male… ma è un segnale. Uno scrittore, se si pone degli obiettivi, possiede molte vie per arrivarci. Ci sono delle vie comode che spingono dei pulsanti grossi. Un giallista sa che se mette in campo il serial killer o la scientifica o l’omicidio d’alta società colpisce un determinato stereotipo. Dietro alla rabbia della gente, alla sua morbosità, ci sta questo: avvicinarsi il più vicino al limite. E’ il primo passo verso la catarsi. Il problema dei mezzi di comunicazione d’oggi è che vanno sempre oltre.
Quindi vi è in agguato un pericolo?
Se un prodotto è pericoloso è perché lo scrittore non ha avuto la cautela d’impedirlo. Ma questo riguarda qualsiasi mezzo di comunicazione.
Cosa disturba nel nostro clima culturale?
Il problema grosso di questo Paese è che presenta una sola via: ascolta un solo tipo di musica, vede un solo tipo di televisione, legge un solo tipo di letteratura. In altri paesi c’è più possibilità di scelta. In una società sana ci devono essere tutte le offerte ed ogni tipo di consumo. Ognuno deve essere libero di leggersi un Segretissimo al mattino perché ha voglia di azione e magari alla sera Kafka. Dovremmo consentire a tutti i codici culturali di esprimersi.
E’ in quest’ottica che si pone Story-first, la società che si occupa di storie per il cinema, la televisione e l’editoria, da te fondata insiem ad altri artisti?
Sì, anche. Story-first è un’avventura artistica a tutto tondo. Una società di servizi fondata con altri colleghi che investe la letteratura, il cinema, avvia ipotesi di sviluppo per serie televisive e collane editoriali. Un gruppo di creativi -sceneggiatori, scrittori, registi, una giovane producer- che si è trovato a fare i tecnici della narrativa, dell’editoria, del cinema.
Rispondi in qualità di editor: Qual è l’ alchimia per un noir di successo?
Come in tutte le alchimie, bisogna superare la cosiddetta fase di nerezza… bisogna abbandonare “il pipistrello” delle paure, come quello di chiedersi: “che fare per avere successo?”. Non bisogna ricalcare per forza quello che hanno già fatto gli altri, non bisogna inventarsi per forza qualcosa di diverso. Bisogna cercare quel che loro hanno cercato prima di te. E metterci un sacco di gusto e di umiltà.
Si ringrazia www.bibliomanie.it
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