Chopin è una vera e propria passione per Jay Chou, icona del pop taiwanese nonché regista di Secret. Non solo infatti al grande “poeta del pianoforte” Chou dedica uno dei suoi maggiori album di successo, November’s Chopin, nel 2005, ma torna a trarre ispirazione dal compositore polacco anche per il suo debutto alla regia. Autore anche del soggetto del film (ma la sceneggiatura è di Christine To), nonché protagonista maschile, Chou si cimenta in una storia che solo all’apparenza è un sogno d’amore sullo sfondo di un conservatorio taiwanese. Figlio unico del temibile professor Yip (Anthony Wong), il giovane allievo della Tan Jiang Art School, Jay (Jay Chou), è un vero prodigio del pianoforte, tanto da sfidare Howe, il principe del piano (Zhan Yuhao) in un duello all’ultima nota. Ammirato da tutti, e in particolare da Sky (Alice Tseng), il ragazzo preferisce la solitudine, spezzata presto dall’incontro con Rain (Guei Lun–Mei) e dal brano misterioso che lei suona al pianoforte nell’ala vecchia della scuola. Quale segreto racchiude quel brano, e perché Rain prega insistentemente Jay di non suonarlo in sua assenza? La ragazza, debole per via dell’asma, sembra nascondere molti altri segreti, e forse è proprio questo ad attirare l’attenzione di Jay, che vorrebbe conoscerla meglio. Ma Rain non solo sparisce spesso passando inosservata sia agli insegnanti che ai compagni di scuola; quando Jay si reca da sua madre scopre che la ragazza si è ritirata per via delle pessime condizioni di salute. Ma Jay non si arrende, è convinto che lei tornerà, e quando suona, lo fa unicamente per Rain. Arriva la cerimonia del diploma, e Jay deve esibirsi davanti a tutta la scuola; la performance comincia in maniera superba, ma una presenza interrompe tutto spezzando l’incantesimo della musica: è Rain. Sconvolto, Jay scappa dal palco per raggiungerla, ma il padre lo segue criticando la sua follia. Come definire altrimenti la fuga verso il nulla? In quel momento, Jay si rende conto che nessun altro a parte lui vede Rain: che si tratti di un parto della sua immaginazione, o semplicemente di un fantasma? Ma sarà proprio il signor Yip a svelare alcuni particolari della storia: lui è stato infatti maestro di una ragazza molto brava vent’anni prima. Si chiamava Rain e aveva sempre la testa fra le nuvole. Un giorno si confidò con lui parlando di una misteriosa partitura di Chopin trovata per caso nella stanza del pianoforte. La partitura riportava una strana dicitura: “Return lies within hasty keys”, per cui Rain decise di suonare il brano con velocità via via sempre più sostenuta. Il mondo attorno a lei prese a mutare, e inspiegabilmente si ritrovò in un’altra epoca, vent’anni dopo, nello stesso luogo, ma con persone diverse. E un ragazzo, l’unico in grado di vederla. Così cominciarono i suoi viaggi dal passato nel futuro e viceversa: ogni volta che voleva rivederlo, bastava suonare Secret, e Jay riappariva davanti a lei. Le aveva persino detto che la sera del suo diploma avrebbe suonato in suo onore, perché non tornare dunque da lui? Il signor Yip trovò la storia alquanto singolare e decise di porvi fine custodendo la partitura di Secret e avvertendo i suoi superiori della “malattia” di Rain, che poi venne scacciata da tutti e morì. Il racconto del padre sconquassa ancor di più la mente di Jay, che non vuole credere alla morte di Rain e alla fine del loro incontro. Forse soltanto Secret potrà riportare Rain da lui, prima che la scuola venga demolita e con essa il passato. Yip sembra non capire il collegamento che c’è fra suo figlio e il ragazzo di cui Rain parlava vent’anni prima, ma quando la verità affiorerà nei suoi pensieri forse sarà troppo tardi.
Condotto inizialmente come un lieve interludio amoroso fra adolescenti incompresi, Secret diventa presto una ghost story dal taglio melodrammatico, lasciando i personaggi e le atmosfere sospese in una soffice brezza delicata come i sorrisi di Rain, pallido fiore evanescente sbocciato al mattino che svanisce la sera. Uno dei maggiori punti di forza del film risiede proprio nella recitazione di Guei Lun–Mei, la cui grazia pura e trasparente dà forza a un personaggio che rischiava di scivolare nel patetico o nel melenso. E se è pur vero che le qualità recitative di Jay Chou non sono esattamente eccellenti, la performance del “piano battle” rimane sicuramente memorabile. Ma a rubare spesso la scena ai protagonisti in realtà è il grande Anthony Wong, che per l’occasione canta, suona e addirittura balla (!), sovvertendo il dogma che il suo personaggio vorrebbe imporre al figlio genialoide: “be ordinary”. A Chou va comunque il merito di essere riuscito a creare un film intenso e originale, né la solita storia di turbamenti adolescenziali né l’abusato ritorno del fantasma nella terra della visione amorosa, il tutto con un finale coerente che non delude.
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