Era una di quelle domeniche sul mare che invogliavano a uscire e godersi il primo sole primaverile. Era anche una di quelle giornate che sembravano al mattino fiacche e calme per cambiare poi di colpo nelle prime ore del pomeriggio. Teresa se ne intendeva: figlia e moglie di pescatori sapeva riconoscere e interpretare i segnali dei venti e delle nuvole. Aveva cominciato a soffiare il libeccio che avrebbe portato una tempesta.

Dal suo orto sopra il paese di Monterosso riusciva a vedere da un lato il promontorio di Portofino e dall’altro Monte Marcello. All’alba, in estate, metteva una sedia nell’orto e guardava verso il mare mentre aspettava che la terra si imbevesse dell’acqua dell’annaffiatura. Era il momento più bello della giornata. Per tanti anni aveva aspettato di vedere il peschereccio di Adelmo avvicinarsi al molo. Da casa lo poteva vedere scaricare le casse di pesce e dal numero capiva come era andata la nottata.

Insieme al mare, quell’orticello che lei curava come fosse un neonato, era tutto il suo mondo. Aveva sempre amato la vita all’aperto e se fosse stata un uomo sarebbe andata per mare anche lei.

Si avvicinò alle pianticelle di borragine, colse un mazzetto di basilico fresco, quello con le foglie piccole e più profumate, infine la bietola. Per ultimo colse le foglie di una pianta con le foglie simili alla borragine ma più grandi, con un bel fiore rosa ma non le mise nel panierino insieme alle altre. Le tenne strette in mano. Non ce l’aveva piantata, era nata spontanea e non ci sarebbe dovuta stare fra le altre piante commestibili. La pianta lo scorso anno aveva fiorito… Alte spighe di fiori rosa, come tanti piccoli ditali, uno sull’altro. Aveva cercato di identificarla. Una vicina le aveva detto: “Ma sei pazza? Quella è digitale! Un’erba medicinale… E’ pericolosa!

“Si, ma fa i fiori così belli!” aveva risposto lei.

Aveva messo da parte i semi e così era ricresciuta.

Il fatto che ci fosse in quel momento era davvero una fortuna. Rientrò in casa.

Aveva spianato la pasta a mano, l’aveva tagliata a quadretti con la rotella e si preparò a farcirla con le erbe bollite. Ne preparò una ventina con il ripieno che prendeva via via da un tegamino. Li chiuse con l’indice e li mise su un panno ad asciugare un po’. Farcì gli ultimi dieci con il ripieno preparato in un altro recipiente. Chiuse anche questi e li sistemò da un’altra parte, coperti con un piatto.

Era tutto pronto quando tornò Adelmo. La domenica mattina scendeva a comprare il giornale e si fermava al bar con gli altri vecchi pescatori del paese. Quando ne aveva voglia portava in casa un po’ di acciughe sotto sale e la schiacciata al pesto. Quella mattina invece salì con il giornale in una mano e il bastone nell’altra. Si buttò sulla poltroncina in cima che tenevano sul minuscolo balcone che gemette sotto il suo peso.

“Stai attento, si potrebbe sfondare”

“Ma stai un po’ zitta una buona volta!” rispose rabbioso massaggiandosi il fianco. Teresa capì che era il dolore all’anca a farlo diventare rabbioso.

“Hai visto laggiù? Soffia il libeccio e tra un po’ andrà via il sole”

“Brava, mettitici anche tu a fare le previsioni. Se non posso neanche scendere per la partita a carte da Boge mi posso anche impiccare.”

“Vieni a mangiare, non ci pensare ora. Ho fatto i ravioli come piacciono a te.”

Teresa lo guardò mentre si alzava a fatica dalla sedia. Trascinava quella gamba operata tanti anni prima come se fosse un peso morto.

Adelmo se li gustò con calma, assaporando il gusto del sugo di carne, alla fine pulì anche il piatto col pane.

Teresa mangiò quei dieci che aveva messo da parte per sé, conditi con olio e formaggio.

Finirono con la frutta, visto che Adelmo non aveva portato nessun dolce.

Teresa si alzò presto da tavola per sparecchiare e lavare i piatti. “Che fretta oggi, sembra che debba andar via” osservò Adelmo. Dopo pranzo era sempre di buon umore, grazie anche a due bicchieri di vino bianco della sua uva.

“Mi voglio riposare un po’, dopo”

Commentarono la cronaca locale. Quella nazionale non lo interessava più, da tempo. “Questa volta non ci vado a votare, tanto sono tutti dei poco di buono”. Teresa sorrise. L’aveva detto tante volte, quasi tutti gli anni in cui c’erano state le elezioni. Ma bastava che il suo amico Gio, ex pescatore ma soprattutto socialista da sempre, gli ricordasse le lotte sindacali per avere la pensione, i morti sul lavoro, i giovani che abbandonavano il mestiere della pesca, che riusciva a convincerlo. La conversazione finiva sempre con un: “Vuoi lasciare che “quegli altri” prendano il sopravvento? Sarebbe peggio anche per noi pensionati”.