E’ in edicola, per tutto il mese di giugno, il nono volume della collana Il Giallo Mondadori Presenta: La bambola di cristallo, di Barbara Baraldi.
Il libro raccoglie tre storie molto tese, coinvolgenti, ma anche molto umane. Ho voluto parlarne direttamente con l’autrice.
Ecco cosa ha raccontato Barbara a ThrillerMagazine.
Barbara ciao. Ben ritrovata su ThrillerMagazine. Un paio di mesi, hai intervistato per noi Alda Teodorani. Oggi, l’ospite d’onore sei tu.: )
E’ un grande onore per me essere ospite su ThrillerMagazine.
Chi è Barbara Baraldi?
Una persona a cui piace raccontare storie. E’ una cosa che mi caratterizza da sempre, fin da quando, per tener buoni i miei fratelli più piccoli, narravo loro storie spaventose. Non vi dico lo stupore di mia madre vedendoli tanto disciplinati!
La fotografia occupa un posto importante nella tua vita...
Qualcuna delle mie storie è diventata un set fotografico. Mi piace costruire gli scatti come frammenti di una narrazione. Spesso quando scrivo procedo a visioni, cercando di visualizzare i colori che caratterizzano una certa scena, e allo stesso modo quando fotografo mi piace immaginare una storia per la modella di turno. Le mie modelle non sono mai professioniste, ma persone che incontro per caso, magari nei locali, e che si prestano a questa sorta di esperimento narrativo.
Cosa scrive Barbara Baraldi?
Scrivo quello che mi piacerebbe leggere. Da lettrice accanita e onnivora quale sono, amo spaziare tra i generi cercando di non perdere mai la mia identità: quello che cerco di mettere in scena sono rapporti conflittuali e personalità tormentate, sia che si tratti di una passione amorosa che di una vicenda criminale.
In poco tempo, hai vinto un premio prestigioso (Premio Giallo Città di Cattolica), pubblicato professionalmente racconti e romanzi, ricevuto l’attenzione di editor come Sergio Altieri e Luigi Bernardi. Tante emozioni, direi...
Quando mi hanno chiamato da Cattolica per dirmi che avevo vinto non potevo crederci: ci sono voluti giorni per abituarmi all’idea! In seguito, conoscere e collaborare con persone di grande sensibilità e professionalità come Sergio e Luigi e poter contare sulla loro stima è stata un’emozione grandissima che mi ha dato una grande forza per continuare per il difficile e tortuoso percorso che porta dalla scrittura alla pubblicazione.
Prima di concentrarci su La bambola di cristallo, vuoi darci qualche dettaglio sugli altri tuoi lavori? Partiamo dall’inizio, da Luna Lanzoni: La ragazza dalle ali di serpente e Una storia da rubare.
La ragazza dalle ali di serpente è il mio primo romanzo, un viaggio attraverso le strade di una Bologna che forse non c’è più: centri sociali, punk minorenni, settimane intere in attesa del sabato notte. Una storia d’amore costruita come un noir, in cui le protagoniste nascondono dei segreti e un fato quasi personificato che tesse i fili di una trama intricata. Un romanzo tutto al femminile, con cui ho voluto uscire come Luna, il nome che mi sono scelta e con cui molte persone mi conoscono. Una storia da rubare per certi versi approfondisce la stessa tematica, quella di un amore non corrisposto di una ragazzina per la sua amica. E anche questa volta il finale non è consolatorio.
In Attrazione letale (in Gli occhi dell’Hydra), l’elemento fetish è cardine del racconto. Un aspetto che mi sembra ritorni, quantomeno a tratti, in più di uno dei tuoi lavori...
Credo che il fetish sia un modo per affrontare frontalmente e senza inibizioni i propri desideri e chiarire il proprio ruolo. Maestro o schiavo, come nella canzone dei Depeche Mode. Un gioco che può diventare pericoloso, soprattutto quando, inevitabilmente, i ruoli cominciano a ribaltarsi e a confondersi…
La collezionista di sogni infranti?
E’ una fiaba nera. Un’Alice nel paese delle meraviglie in un mondo che di meraviglie non ne riserva più a nessuno. La protagonista, in visita nella bassa ferrarese per incontrare la sua amica di chat, si trova risucchiata in un’atmosfera da incubo e in un vortice ansiogeno che, come in ogni fiaba che si rispetti, non può finire che con un “E vissero felici e contenti…”, pur se in una prospettiva distorta, tra confusione di identità e desideri non realizzati che sfociano nella pulsione omicida.
Veniamo a La Bambola di cristallo. In breve, di cosa tratta ciascuna delle tre storie raccolte nel volume: La bambola dagli occhi di cristallo, Il giardino dei bambini perduti, Soave?
La bambola dagli occhi di cristallo vede un ispettore di polizia sulle tracce di un’assassina fatale e bellissima, che dipinge le scene del delitto come quadri di inaudita ferocia. I personaggi coinvolti nell’indagine sono come prigionieri delle proprie ansie e dei propri desideri e il senso di pericolo è costante. C’è poi una forte componente erotica e l’ambientazione è una Bologna oscura, notturna e molto gotica. Il giardino dei bambini perduti cambia radicalmente l’ambientazione, passando alla campagna più profonda, rievocando alcuni passaggi de La collezionista di sogni infranti. Ancora una casa isolata, un clima soffocante e una tensione quasi palpabile. La piccola Lucy ha otto anni ed è tormentata da allucinazioni e da incubi notturni, ma non riesce a comunicare con il padre e la madre, che appaiono distanti e sembrano custodire un segreto innominabile. Il pericolo è personificato da un assassino che fa sparire i bambini nel nulla. Soave è un racconto che trae ispirazione da fatti di cronaca risalenti a qualche anno fa: una banda di rapinatori rubava auto di grossa cilindrata a colpi di fucile per i viali di Modena. Ne ho tratto una sorta di western metropolitano con sparatorie, tamponamenti ad alta velocità e un epilogo claustrofobico.
Tre storie. Tre lunghezze: il romanzo, il racconto lungo (o romanzo breve, se preferisci), il racconto. Ma anche tre approcci differenti. Tre modi di narrare che, per quanto presentino evidenti peculiarità comuni, si discostano nello stile per meglio rispondere alle esigenze dei soggetti e dei rispettivi sviluppi...
Mi lascio trasportare dalla storia che racconto: penso che lo stile della scrittura debba essere flessibile per assecondare l’evoluzione dell’intreccio. Ne Il Giardino dei bambini perduti il linguaggio è più onirico e i tempi dilatati: la notte rappresenta il regno del sogno e della visione, in cui i protagonisti cercano di sfuggire alle proprie paure e covano le proprie vendette. La narrazione è scandita dal ritmo della campagna, in cui il periodo dall’alba al tramonto rappresenta il tempo dell’azione. Non a caso la scena notturna più forte, quella del rapimento della prima bambina, avviene nella metropoli. La stessa città dai mille volti che fa da cornice al ritmo sincopato de La bambola dagli occhi di cristallo, che con tutti i suoi personaggi, l’alternanza dei punti di vista e la complessità dell’intreccio che propone, chiedeva una lunghezza maggiore e una maggiore velocità nella narrazione per adattarsi al paesaggio metropolitano in cui la notte è vissuta con irrequietezza. I personaggi sembrano non dormire mai, la notte è complice di efferati omicidi e non c’è mai sosta. In questo romanzo ho scelto di alternare i punti di vista dalla prima alla terza persona: nel primo caso si vive il dramma personale dei protagonisti, mentre la terza persona serve a descrivere il campo di battaglia in cui si svolge l’azione. L’omicidio è seguito attraverso una panoramica più distaccata, quasi voyeuristica, per costruire una perversa messa in scena di sadica bellezza. La brevità di Soave è funzionale per rendere l’azione il più veloce possibile. Come salire su una giostra impazzita che sta compiendo il giro della morte.
Un’eredità di suggestione della cinematografia italiana degli anni 70 parrebbe giocare un suo ruolo in questo tuo libro: il thriller argentiano, teso e a tratti onirico, nei primi due lavori, e il poliziottesco d’azione nell’ultimo racconto... O sono fuori strada?
Hai colto in pieno. A partire dal titolo, La bambola dagli occhi di cristallo vuole richiamare le atmosfere del primissimo Argento e la sua estetica dell’omicidio, l’ossessione per gli specchi e le immagini riflesse, per le bambole e per le cose che non sono mai quello che sembrano. Coinvolgere il lettore in un’indagine non convenzionale, attraverso un tessuto urbano denso di immagini forti ed evocative e di dettagli apparentemente insignificanti, ma ognuno con la sua precisa funzione narrativa. La novella Il giardino dei bambini perduti deve di più a un cinema più onirico e fantastico, quello di cineasti come Mario Bava, il Francesco Barilli di Pensione Paura o Lucio Fulci e la sua trilogia della morte, da L’Aldilà a Quella villa accanto al cimitero.
I soggetti che proponi sono forti, ben sviluppati. Nel contempo, l’attenzione si focalizza spesso sui personaggi, curati nelle rispettive personalità, nelle sfumature, nei vezzi, nella loro umanità e nelle rispettive ossessioni, normali o... eccezionalmente letali.
I miei personaggi si agitano tra le righe e sembrano scalpitare, sono loro gli autori della storia. Cerco di non forzarli a fare cose che non farebbero mai, li assecondo per sapere che cosa stanno cercando di comunicare. Gran parte del lavoro va quindi nel cercare di renderli il più umano possibile, con le contraddizioni che ne derivano, e nel fare in modo che la personalità di ognuno di loro emerga attraverso il confronto con le altre. E questo, a volte, porta a rapporti conflittuali, amore e odio, o addirittura morte, proprio come nella quotidianità.
In questa ricostruzione psicologica, così come nello sviluppo della trama, hanno grande importanza i dialoghi...
Investo molto tempo nella creazione dei dialoghi. Credo siano fondamentali per dare realismo alle vicende, e mi piace utilizzarli per dare ritmo alla narrazione. Il dialogo è il ring dove emergono i caratteri dei protagonisti, i contrasti o le affinità: uno scontro verbale può creare più tensione che un confronto fisico.
Anche i rapporti tra le persone sono riportati nel loro quadro sfaccettato, complesso. Contraddittorio.
Deriva dall’osservazione del mondo che mi sta intorno. I rapporti conflittuali che si creano tra le persone. Amore/odio, dipendenza, attrazione tra opposti, le maschere che si indossano ma che celano un universo ignoto e ricco di sfumature: sono queste che cerco di far emergere nei miei libri.
Le ambientazioni. Una Bologna dai vari volti, dalle varie anime. Una campagna padana che è scenario perfetto per una storia inquietante.
Penso sia capitato a tutti di visitare lo stesso luogo ma con stati d’animo differenti. Il paesaggio, le strade, gli alberi, persino le foglie, niente è visto due volte con gli stessi occhi. Il paesaggio dei miei romanzi muta a seconda della storia e dei personaggi che sto raccontando. E’ vivo, respira con loro: le pietre antiche di Bologna, gli archi e le vie strette trasudano l’ansia dei protagonisti. Quando piove è come se il cielo piangesse le loro lacrime. Il paesaggio non è soltanto funzionale alle mie storie, ma complementare, un’estensione della personalità dei personaggi. La campagna emiliana mi ha sempre provocato una paura atavica perché il paesaggio piatto che si estende a perdita d’occhio crea un senso di soffocamento e nasconde spesso anime inquiete e personalità borderline. Un grido perso nella campagna può echeggiare come una scheggia nella carne. Sarà anche per questo che uno dei film che più mi ha spaventato e che non perdo occasione per citare è La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati.
Il Giardino dei bambini perduti è intriso di una fortissima empatia. A 360°. Empatia per la bambina Lucy. Per i suoi genitori. Per il serial killer di turno. E non solo.
I personaggi si mettono a nudo davanti agli occhi del lettore rivelando le proprie motivazioni e le loro debolezze. Le paure, ma anche i desideri. E’ come guardare dentro una palla di cristallo e osservare un universo variegato in movimento. Lucy è oppressa dai terribili segreti della sua famiglia e si rifugia nell’amicizia con Toni, anche per trovare una via di fuga dagli incubi che la perseguitano. I genitori si ritrovano chiusi in una morsa tra la realizzazione delle loro aspirazioni e il rischio di perdere la propria identità. D’altra parte il ladro di bambini vive all’interno di un equilibrio estremamente precario tra bene e male, un “monstrum” che seduce per uccidere.
Soave è una sorprendente accelerazione finale...
Soave è nato come una corsa impazzita fra due bolidi sparati ad alta velocità. Pensavo che il modo migliore di chiudere il libro fosse proprio con qualcosa di inatteso: un omaggio ai poliziotteschi italiani degli anni ’70 con quei finali al cardiopalmo che ti arpionavano alla poltrona e ti toglievano il sonno.
Come hai trovato sinora l’ambiente editoriale?
Un ambiente ricco di opportunità ma allo stesso tempo molto chiuso. Soprattutto all’inizio ho incontrato non poche difficoltà, mi sembrava come un muro invalicabile e c’è voluta pazienza, perseveranza e una grande fiducia in me stessa per non perdere le speranze. In quel periodo ho partecipato ai concorsi letterari perché mi sembrava l’unico modo per essere letta dagli esperti del settore. In seguito ho avuto la fortuna di conoscere persone con idee innovative e che per me hanno significato moltissimo, e qui mi riallaccio a una delle risposte iniziali.
L’accoglienza della critica alle tue opere? E quella dei lettori?
Ricordo in particolare la mia prima recensione: da assidua lettrice di Rumore non ci potevo credere quando ho ritrovato tra le pagine finali dedicate ai libri quella de La ragazza dalle ali di serpente da parte del critico cinematografico (e non solo) Giona A. Nazzaro. Una recensione ricca di poesia e che aveva colto perfettamente tutte le sfumature del romanzo. E quando ho saputo che Carlo Oliva aveva recensito positivamente La collezionista di sogni infranti è stata una grande soddisfazione. Fortunatamente, fino ad ora, ho ricevuto delle recensioni lusinghiere da colleghi che stimo, dai siti e dalle riviste di genere. Ammetto che le ho stampate tutte e riposte in una cartellina da rileggere nei momenti più difficili in cui le cose sembrano andare a rilento. Tengo in grande considerazione i miei lettori e le loro opinioni. Per questo motivo, anziché un sito ufficiale vero e proprio, ho aperto una pagina myspace in cui chiunque può dirmi la sua in merito a una delle mie opere. La cosa che mi ha colpito di più è quanto un lettore può comunicarti e come uno specchio restituirti un’immagine rielaborata della tua opera. Ho ricevuto omaggi straordinari da parte dei lettori, vignette ispirate dalle pagine dei miei romanzi, composizioni grafiche, due meravigliose colonne sonore composte appositamente da apprezzati musicisti di Genova, ritratti e fotografie, a prova che un libro può aprire tante porte e la creatività chiamare nuova creatività. I lettori mi chiedono spiegazioni e mi forniscono le loro personali interpretazioni e spesso mi hanno fatto capire meccanismi istintivi su cui non mi ero soffermata a riflettere.
Piccola provocazione: è meglio un lettore contento, ma che ha capito poco, o un lettore che invece ha compreso tutto, ma è scontento?
Preferisco un lettore contento. I miei libri sono disseminati di piccole citazioni e simboli per chi li vuole vedere, ma sono prima di tutto opere di intrattenimento. E poi in un lettore che ha capito poco può scattare la curiosità di rileggere per capire meglio.
Nella Bambola di cristallo ho colto un riferimento forse voluto ad un libro che parla di un’investigatrice bolognese? Parlavi forse di Giorgia Cantini, il personaggio ideato da Grazia Verasani e poi portato sullo schermo da Gabriele Salvatores?
All’epoca non avevo letto il libro, peraltro bellissimo, che la vede protagonista. In realtà pensavo al personaggio di Grazia Negro del romanzo Almost Blue di Carlo Lucarelli. Anche in questo caso ne è stato tratto un film che amo moltissimo.
Il libro che non ti stancheresti mai (o quasi; ) ) di rileggere. E quello che proprio non sei mai riuscita a finire.
Narciso e Boccadoro di Herman Hesse. Lo rileggo in continuazione, è una inesauribile fonte di ispirazione e di emozioni. Un altro libro che adoro è Animal Factory, una piccola bibbia sulla natura umana. Per il resto, ho la pessima abitudine di leggere i libri fino in fondo, anche i più brutti. Come se un pessimo libro lasciato a metà possa tornare a tormentarmi nelle notti insonni!
Altri autori e/o libri che hai amato o ami come lettrice? E quali ritieni possano averti influenzato, direttamente o indirettamente, nel tuo essere scrittrice?
Sicuramente le mie letture adolescenziali mi hanno influenzato moltissimo: Il ritratto di Dorian Gray, che mostra così bene un vizio che non deturpa i lineamenti ma soltanto l’anima, L’insostenibile leggerezza dell’essere che dipinge la passione come un vento che ti travolge, e poi Baudelaire, che ho citato in apertura de La collezionista di sogni infranti. Più recentemente, mi sono innamorata del mondo onirico e simbolico di Neil Gaiman. L’ultimo libro che mi ha fatto piangere e ridere è Middlesex di Eugenides. E poi Daniel Pennac per il suo humor nero e per come riesce a ritrarre la sua città, Parigi, con una sorta di realismo rarefatto, ed Edward Bunker perché mi ha regalato alcune delle mie frasi preferite di sempre, e con cui condivido la concezione di ciò che significano i libri: prismi che riflettono la verità infinitamente variegate dell’esperienza.
Tono ironico, domanda seria: scrivere è un dono o una malattia?
Assolutamente una malattia. Consumarsi nel compimento della propria opera, come un fuoco che arde, e alla fine della stesura di una scena intensa ritrovarmi esausta, come febbricitante. Una malattia, perché quando devi scrivere ma non puoi scrivere stai male e pensi solo a quello. Una malattia perché quando arrivo alla fine di un libro a volte mi capita di perdere il senso dell’orientamento e faccio cose assurde (tipo dimenticarmi come si fa a inserire la retromarcia… mi è successo davvero, non è uno scherzo!)
Estrapolo una tua frase da una risposta che hai dato in un’intervista per il sito BinarioGiallo: “(...) a volte non si può nulla contro l’evolversi degli eventi. Un tema a me caro anche quando scrivo.”
Stai parlando di predestinazione? O, piuttosto, vuoi dire che la vita a volte ti viene addosso alla velocità e massa d’un TIR?
Vuoi spiegarti un po’ meglio, contestualizzando rispetto alle tue opere?
C’è una buona base di predestinazione, quasi che il fato si diverta a complicare la vita dei protagonisti: certe cose è come se debbano succedere, sono scritte sulla linea della vita, ma sta ai personaggi decidere se lasciarsi travolgere passivamente o lottare. I personaggi de La bambola dagli occhi di cristallo sono costretti a fronteggiare ogni giorno le conseguenze delle proprie scelte e il confronto può essere rimandato, mai evitato. Eva è frustrata da un lavoro che non la soddisfa, Viola è soffocata da una relazione malata con un convivente violento, Giulia indossa una maschera di ipocrisia in uno stato di perenne non-felicità euforica. Per tutte e tre la resa dei conti con le proprie aspirazioni non tarderà ad arrivare. L’ispettore Marconi percorre la spirale discendente che lo porta ad entrare in contatto con un mondo torbido in cui non ci sono innocenti e da cui non c’è ritorno, proprio come nel racconto Dorothy non vuole morire o ne La sindrome felicità repulsiva, in cui il destino dei protagonisti appare inevitabile, date le premesse. A volte invece è proprio la vita a colpire duro proprio dove fa più male, all’origine delle nostre paure: come in Una storia da rubare, in cui la protagonista non riesce a trovare la via d’uscita dal labirinto fatto di allucinazioni, desideri mai appagati e desolazione psicologica in cui è rinchiusa.
Presente e futuro come scrittrice: “lavori” in corso?
C’è un racconto che uscirà in un’antologia curata da Danilo Arona. Si tratta di una variazione sul tema di Melissa, già protagonista di alcune delle sue opere. Per chi si è innamorato de La bambola dagli occhi di cristallo, dico solo che si sentirà ancora parlare di lei; )
OK, Barbara. Grazie per la bella chiacchierata. Ai lettori ricordiamo che trovano La bambola di cristallo in edicola per tutto il mese di giugno. Alla prossima!: )
Grazie a te, Fabio, per la gentilezza e la sensibilità dimostrate. E grazie a tutti quelli che vorranno leggermi.
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