Appena entrata individuai subito Fuad, in camicia rosa e occhi neri, che faceva bella mostra di sé, anche lui mi vide e sorrise indicandomi un tavolino prima di sparire dietro al bancone.
Mi sedetti con un sospiro di sollievo, non per altro, ma avevo un paio di scarpe nuove, bellissime, con un tacco da massacro, le sbirciai con la coda dell'occhio e mi convinsi che valevano il mal di piedi.
– Paddy mi ha detto di portarti questo non appena arrivavi – disse Fuad posando sul tavolo un irish coffee e un piatto con un dolce dall'aria seduttiva.
– Cos'è?
– Torta al limone e vaniglia.
– Ho capito – sospirai, – volete farmi diventare una matrona.
Fuad sedette vicino a me e mi accarezzò la mano.
– Se mettessi su un paio di chili sarebbe meglio, sei dimagrita troppo, sai?
– Senti chi parla. E poi tu vivi con Paddy, chiunque sembrerebbe un'acciuga vicino a lui.
Rise e io cominciai a intaccare la mia porzione di torta.
– Senti, Emma...
Ascolta le voci, diceva papà mio, le voci tradiscono. La voce di Fuad mi fece alzare la testa di scatto.
– Se avessi bisogno di parlare con te, in privato, potresti non dire niente a Paddy? – annuii e lo guardai interrogativa – Non è niente di grave, ma non voglio farlo preoccupare.
– Cos'è successo?
– Niente, ti ripeto – sembrava quasi pentito di avermene parlato, – stupidaggini all'università.
Lo osservai. Sotto la carnagione dorata e perfetta era pallido e adesso che ci facevo attenzione, le mani gli tremavano, come la voce.
– Non mi sembra una stupidaggine.
Cominciò a seguire con un dito le volute policrome del paralume.
– All'università ci sono degli studenti egiziani come me. Io non faccio mistero che Paddy è il mio compagno e a questi non piace molto – mi guardò. – Potrei fare quello che voglio se solo salvassi le apparenze, ma a me non importa, non mi va. Amo Paddy, perché dovrei nasconderlo?
Aveva alzato la voce e qualcuno, dai tavoli vicini, si era girato. Per tranquillizzarlo, gli posai la mano sulla spalla e lui trasalì.
– Ti hanno picchiato.
– Solo qualche spinta. Paddy crede che sia caduto.
Posai la forchettina e cercai di guardarlo negli occhi.
– Devi denunciarli.
– Certo. Poi viene fuori tutta la storia e mi faccio terra bruciata intorno. Non posso più tornare a casa mia e Paddy si ammala di preoccupazione.
Una brutta sensazione mi strinse lo stomaco.
– Facciamo così – gli dissi, – uno di questi giorni vieni da me e andiamo insieme da un amico di Catia che lavora in polizia – scosse la testa e io lo bloccai. – Aspetta, non ti dico di fare denuncia, si parla e basta. Poi lui, magari, fa un giretto discreto all'università e vediamo se qualche parolina al posto giusto calma le acque. Non sai quanti galletti ho visto abbassare la cresta per molto meno.
Fuad sospirò.
– Basta che Paddy non ci vada di mezzo.
– Ma perché non gli parli? Capirebbe, non è uno stupido.
– No, non è uno stupido, ma è un maledetto sangue caldo irlandese.
Sorridemmo entrambi e lanciammo un'occhiata all'omone biondo che discuteva con due clienti e batteva il pugno.
– E sta parlando solo di calcio, cosa credi farebbe se gli raccontassi tutto?
– Va bene – ammisi, – forse hai ragione. Però non aspettare troppo.
– Vengo da te dopodomani. E smettila di avere quell'aria preoccupata.
Mi baciò sulla guancia e se ne andò da un ragazzo che si sbracciava da mezz'ora.
Bevvi un sorso di caffè, buttai giù un boccone piccolo di torta, ma quella brutta sensazione allo stomaco continuava a tormentarmi. Mi alzai e raggiunsi Paddy.
– Mai bevuto niente di così buono. Come fai a essere tanto bravo?
– Seguo le regole.
– Ce ne sono? – chiesi issandomi su uno dei suoi sgabelli per donne fenicottero.
Paddy mi sventolò sotto al naso tre dita grosse come salsicce.
– Zucchero di canna, whisky scozzese e panna fresca. Se ne salti una, sei fritto.
Dondolai le gambe per aria, un po' per ammirare le scarpe, un po' per prendere tempo.
– Senti – tossicchiai – posso dare un'occhiata alla posta elettronica dal tuo computer?
Mi guardò come se gli avessi chiesto di fare le capriole fra i tavoli.
– Dimmi la verità, quante volte al giorno guardi la posta?
– È per il lavoro – tentai di convincerlo, – può sempre succedere qualcosa.
– Imbroglia chiunque, ma non me. Quante volte?
– Ma, non so... mi fai un altro coso lì, irish coffee?
– Vai, innamorata persa, la strada la conosci.
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