Se Gomorra frantuma la narrazione in cinque episodi diversi uno per tutti e tutti per uno, Tropa de Elite – Gli squadroni della morte di José Padilha, ha un andamento assai diverso, preferendo a un movimento sparpagliato su vicende differenti uno avvolgente e circolare che torna costantemente ad un argomento unico fatto di carne, sangue, spirito di appartenza, il tutto calato all’interno di una situazione di estremo degrado dove le differenze sociali tra chi ha molto e chi non ha nulla, si fanno quanto mai lancinanti.

Con uno stile guerreggiante, risultato del ricorso quasi esclusivo alla macchina e mano e un montaggio di conseguenza molto frastagliato, Tropa de Elite, vincitore a sorpresa dell’Orso d’Oro a Berlino 2008, tratto dal best-seller Elite da Tropa dell'antropologo Luiz Eduardo Soaresa, si presenta come intenzionato a prendere di petto da subito un tema in particolare fino ad indagarne tutte le sfaccettature che lo compongono. Il tema che Tropa de Elite rincorre incessantemente concedendosi poche ma opportune “uscite”, è il significato dell’appartenenza di alcuni poliziotti ad un corpo d’elite della polizia brasiliana chiamato BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais) incaricato, in quel di Rio de Janeiro, di portare a termine operazioni contro lo spaccio di sostanze stupefacenti che ha luogo nelle favelas dove la polizia metropolitana non è in grado di operare mentre il BOPE, in virtù della sua collocazione al di là della legge ha mano libera (il che tradotto.significa potere di vita e di morte sui narcotrafficanti stessi).

Al pari dei marines di FMJ, dall’addestramento al quale i membri del BOPE sono sottoposti fuoriescono strani esseri, metà disciplina, metà spirito di corpo spinto fino all’estremo, esseri per i quali la morte equivale al nulla, visto che il verificarsi di un simile evento è una tragedia non per il membro del BOPE che ne è vittima, ma per chi sciaguratamente se ne rende autore, poiché c’è da star certi che qualora ciò accada la vendetta sarà spietata.

Certo, il film si nutre anche di altri elementi, ad esempio i tentativi del capitano Nascimento (Wagner Moura), a capo di una delle squadre del BOPE, di tenere assieme una vita famigliare che ruota attorno alla moglie incinta e le missioni sempre più pericolose che è chiamato a condurre insieme alla ricerca di un sostituto alla sua altezza al quale affidare in futuro il comando della squadra, o i conflitti di Matias (André Ramiro), un altro membro della squadra, con i colleghi universitari che nulla sanno della sua seconda vita da poliziotto. Non manca (non potrebbe mancare…) l’abbozzo di un’analisi del fenomeno spaccio, forse troppo semplicistico (è la domanda che determina l’offerta il che sta a significare che è il consumatore a creare il suo spacciatore…).

Certo è che il film acquisisce forza mano a mano che si avvicina alla fine: da un lato Padilha scandaglia sempre più a fondo la psiche dei membri della squadra, nel bene e nel male, dall’altro, senza indulgere troppo in retorica, sa come ripercorre i punti salienti del revenge-movie.

Sarà stato di sicuro questo martellamento ossessivo sullo spirito di corpo, sulla missione come categoria dello spirito, sulla chiarezza con la quale il male (gli spacciatori e i poliziotti corrotti…) viene identificato e sul sapere altrettanto bene come porvi riparo, a far piovere in patria sul film l’accusa di “film fascista”. Riguardo a ciò forse vale la pena di tener presente che tanti altri film sono stati definiti nello stesso modo, senza peraltro che fosse mai chiarito cosa si intenda per film “fascista”. Qualche titolo? Arancia Meccanica, Cane di Paglia, Il cacciatore.

Va da sé che allora Tropa de Elite è in buona, anzi in buonissima, compagnia…