Permetteteci per adesso di soprassedere sull’autore, sulla sua biografia e bibliografia. Vorremmo innanzitutto parlarvi di questo Jack lo Squartatore, uscito nel 1984 e ristampato dalla Bompiani proprio in questi mesi.
Che cos’è un assassino che, alla fine del XIX secolo, uccide "solo” cinque prostitute in confronto ai nostri più recenti mostri di Milwaukee e Firenze in quanto ad efferatezza e numero di vittime? Nulla, direte voi. Ma perché è entrato così prepotentemente nell’immaginario collettivo tanto da innalzarsi ad archetipo del killer tanto intelligente quanto crudele? “La risposta è sempre la stessa, persino banale nella sua semplicità: perché è stato il primo vero serial killer, perché le sue imprese hanno goduto dell’immensa- per allora- cassa di risonanza fornita dalla stampa quotidiana inglese. Perché, da accorto gestore della sua immagine, ha costruito il suo mito attraverso l’uso sapiente di messaggi inviati alla stampa e alla polizia, imponendo così un soprannome destinato a diventare famoso nella fantasia delle masse, che si stavano affacciando ad una più ampia circolazione delle informazioni, pronte ad entrare nella logica di una cultura condizionata dai media” (C. Bordoni).
Londra, agosto 1888, nel quartiere di Whitechapel, focolaio di povertà e degradazione, lo Squartatore comincia il suo personale massacro uccidendo una prostituta. Velocemente a questo delitto ne seguono altri, sempre più terribili in quanto a modalità d’esecuzione: le vittime sono mutilate con chirurgica precisione e inumana freddezza. L’ispettore Abberline e il dottor Mark Robinson si mettono sulle tracce dell’assassino. La lista dei sospettati è a dir poco enorme: in essa figurano macellai, nobiluomini, un ciabattino, un tagliatore di pelli e un folto gruppetto di medici. Fin qui niente di diverso dalle centinaia di migliaia di romanzi polizieschi e thriller che affollano gli scaffali delle nostre librerie. Non è il caso di “Jack lo Squartatore”, che ha dalla sua una narrazione impeccabile e un’ottima compattezza d’insieme. Niente è lasciato al caso. I personaggi sono tutti caratterizzati in maniera eccellente e non risultano affatto deboli o sbiaditi, su tutti Abberline, Robinson e il medium Lees, sua la battuta di Lovecraftiana memoria: “Talvolta penso che i nostri sensi siano limitati […]. Crediamo che ci servano a conoscere, ma invece può darsi che ci impediscano la percezione di orrori che non riusciremmo a sopportare.”
Ogni capitolo a partire dal IV comincia con una citazione storica di atrocità, torture e violenze che vanno dal 2300 a.C. al 1887 d.C., giusto un anno prima dell’inizio delle attività del nostro Jack, ve ne cito una a caso: “Ungheria, 1514 d.C. György Dózsa, capo della rivolta contro i nobili, fu catturato e tenuto digiuno per due settimane, assieme ai suoi complici. Poi i suoi carcerieri lo legarono a un trono incandescente, gli posero in testa una corona incandescente e gli misero in mano uno scettro incandescente. Mentre arrostiva, fu mangiato vivo dai suoi seguaci affamati”. Questa trovata mette in luce un tema ricorrente nell’opera di Bloch, quello cioè della violenza insita nel DNA dell’uomo, da qui anche la scelta di un personaggio emblematico come lo Squartatore.
0Con questo romanzo, Bloch dimostra ancora una volta quanto sia lontano dagli scrittori falsi profeti del delirio venuti dopo di lui, e di quanto questi, più dei loro personaggi, abbiano bisogno dello psichiatra. Vi consigliamo di leggerlo lentamente, assaporando tutta l’atmosfera di una Londra immersa nella nebbia, per intenderci, quella cara a Conan Doyle che, nel corso della storia, incontrerete di persona.
Per chi non lo sapesse, Robert Bloch è l’autore di Psycho. Scusate se è poco…
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